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 4 Favole e Racconti / Tales - Galleria artistica
 Addio, Andrew
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July
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Inserito - 16/08/2006 :  00:46:17  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a July

Addio, Andrew

I coniugi Anne e Jordan Grant giunsero in macchina presso il garage della loro abitazione. Avevano appena ritirato dalla lavanderia l’abito verde di seta plissettata che Anne avrebbe indossato al ricevimento cui erano invitati quella stessa sera. Proprio Anne lo teneva sul grembo, avvolto dentro un’abbondante quantità di carta crespa lilla, che recava ancora impresso l’odore caratteristico della lavanderia.
Erano entrambi lievemente eccitati; si auguravano che almeno fino a lunedì tutto andasse liscio, e nessuna sgradita sorpresa turbasse l’atteso evento.
Entrarono a casa, e subito dal piano di sopra giunse uno scalpitio di pantofole che segnalò la presenza di Christina, l’unica figlia che a loro rimaneva.
La loro figlia quindicenne.
La loro unica e sfortunata figlia.
Era rientrata dal lavoro, sicuramente. Lavorava in un negozio di CD musicali, di proprietà di una loro lontana parente. Unica possibilità che a Christina rimaneva per poter lavorare; lavorare alle dipendenze di chi già sapeva che una buona quantità di volte avrebbe dovuto chiudere un’occhio di fronte alle sue mancanze.
Aveva abbandonato gli studi in seguito all’incidente. Jordan ancora rabbrividiva a pensare alla data fatidica in cui la sua Chrissie, allora quattordicenne, e il suo Andrew, allora diciottenne, attualmente defunto, avevano preso la macchina per l’ultima volta insieme.
Andrew si era appena diplomato, col massimo dei voti, e aveva avuto in regalo dai nonni una macchina nuova fiammante tutta sua; ed era così felice che temeva che la sua gioia potesse dissolversi in una bolla di sapone da un momento all’altro.
Non avrebbe più dovuto chiederla in prestito a papà. Era motorizzato come i suoi amici.
Così quella sera del 15 Luglio, che in realtà non era neppure una data particolare, e in realtà Andrew ne avrebbe potuto anche fare a meno, aveva deciso di andare in discoteca. Era ubriaco dalla voglia di musica e di danze, di alcool e di donne, e preso dalla foga si era fatto persino impietosire dalle preghiere della sorellina, che fino ad allora aveva avuto il permesso di andare in discoteca solo in compagnia del fratello maggiore. Inizialmente no, poi a poco a poco i piagnistei di Chrissie avevano avuto la meglio sul campo di battaglia.
Così si erano messi in viaggio; jeans e maglietta strappata lui, minigonna, capelli raccolti e trucco supersexy lei. Quello era lo stile che imperava il giorno in cui era finita la festa.
Per Andrew, soprattutto. Ma a onor del vero, tutti avevano avuto la loro parte, quel giorno.
La serata non era neppure iniziata; viaggiavano con la radio a tutto volume, davanti a loro un’altra macchina di amici. Il destino aveva voluto che con loro non viaggiasse nessuno, perché erano gli unici non fumatori, e gli altri quattro dovevano fumare. Ancora non lo sapevano, ma meno di due ore dopo avrebbero ringraziato il Signore, Gesù in persona, Nostra Signora e tutti i Santi del Paradiso perché nessuna delle loro suole aveva oltrepassato il bordo metallico del gioiello nuovo di Andrew, sebbene fosse nuovo e sebbene fosse fiammante.
Christine non ricordava quasi niente, a parte l’odore fresco della sera che aveva chiuso fuori dallo sportello alla sua destra, le stelle che brillavano, sparse sullo sfondo color carta da zucchero, che la guardavano attraverso il vetro, e la sensazione, eccitante da far venire i brividi, dell’aria condizionata sulla sua pelle scoperta. Se fosse stato ancora vivo, Andrew avrebbe invece raccontato tutto nei dettagli. A partire dai fari della Mercedes, nera al punto da mimetizzarsi alla perfezione nella notte, che gli si puntavano contro.
Ma che sta facendo aveva dapprincipio pensato. La Mercedes era andata fuori strada, l’auto di Luke che la evitò per un soffio, quasi come se la mano della provvidenza fosse spuntata dal nulla a dare un colpetto sul gomito del ragazzo per farlo sterzare, Andrew sbarrò gli occhi in un’espressione di orrore…
“Attento!” gli aveva urlato addosso Chrissie, e la sua voce, resa acre e tagliente dal crescendo di paura, era stata subito risucchiata dal rumore stridente dei freni. Si, perché Andrew aveva fatto in tempo a frenare.
Pur nello stupore e nell’incoscienza di chi sta vedendo avventarsi contro di lui una minaccia pura e palese di morte – era la morte, non una stupida macchina da miliardari, che gli si scagliava contro coi fari accesi e l’espressione ridente e bastarda, e lui lo sapeva bene, per questo era nera, per questo rideva e coi fari sembrava quasi lanciargli una sfida – era riuscito a sterzare, e poi a frenare. E mentre la povera, sparuta macchina di un povero, sparuto Andrew, il cui sguardo vagava, incredulo, nel nulla - o forse nel tutto, l’immenso tutto che lo sovrastava pesantemente – piroettava su sé stessa come la macchinina telecomandata di un bambino di otto anni che ha appena evitato la gamba della sedia della sua cameretta, sull’asfalto si delineavano due striscie serpeggianti e bianche , che ad un certo punto si incurvavano, si incrociavano, e formavano una specie di fiocco. Strette in un nodo lugubre, il giorno dopo sarebbero state sbattute in prima pagina su tutti i giornali, a fianco alla foto del ragazzo che sorrideva ignaro il giorno del diploma, sotto i caratteri cubitali del titolo

Addio, Andrew!

Chrissie aveva urlato, imprecato, persino pianto in mezzo al rumore delle lamiere che sbattevano e che si accartocciavano, e in mezzo ai fumi e agli odori nauseabondi della gomma bruciata , e dopo tutto questo era svenuta. Perdendosi l’ultimo gemito di suo fratello, i cui occhi disperati avevano ripreso tutto, dal primo all’ultimo istante dell’orrore.
Si, perché Andrew aveva visto tutto. Non si era perso neppure un minuto.
Invano, negli ultimi istanti del folle giro della morte, egli aveva tentato di tenere sotto controllo la situazione, ma era riuscito solo a portare l’ auto a sfrecciare a vuoto. Guardando i fari della Mercedes aveva pensato “Adesso mi ammazza”, in un misto di sorpresa e di disperazione; aveva udito il rumore delle lamiere, e le urla della sorella, e aveva fatto in tempo a pregare che almeno lei si salvasse; lui era escluso, ormai. Non sapeva bene da che parte avesse battuto, o cosa dentro di lui si fosse rotto, ma sapeva che qualcosa si era rotto.
Qualcosa di importante, era fuori di dubbio. Qualcosa la cui rottura avrebbe fatto si che egli non avrebbe più avuto bisogno di alcunché d’ora in poi.
Il dolore si faceva percepire in ogni angolo della sua persona, quasi un’entità divisa, eppure amalgamata con la sua. Vide di scorcio, sullo specchietto retrovisore stranamente intatto, un rivolo di sangue che gli colava dalla fronte tumefatta, impiastricciandogli il viso. Voltò il volto insanguinato, livido e perché no, stanco – a dispetto della notte ancora giovane, e del mondo maledetto e traditore che gli chiudeva attorno il sipario – verso la sorella, che aveva appena perso i sensi, e mormorò piano:
“Chrissie…”
Poi morì.
Da quel giorno, niente fu più lo stesso, a casa Grant.
Andrew era morto e Chrissie era ancora viva, ma c’era una novità. Ebbene si, c’era una novità, che sapeva tanto di libri ambientati in Transylvania e di articoli sulle pagine di riviste che trattano di paranormale.
La novità era che Chrissie, dopo l’incidente, vedeva e sentiva cose che non avrebbe mai pensato di vedere e di sentire.
Ad esempio, vedeva squarci del passato o del presente della gente che incrociava.
Sentiva, rasentando un vicino, l’odore del sangue del figlio che era appena caduto dalla bicicletta, e moriva dalla voglia di dirglielo, ma non poteva.
Vedeva frammenti di immagini, che dovevano ancora avvenire, frammenti del futuro di coloro che toccava.
E così via.
Le era successo per la prima volta al funerale di Andrew, al quale aveva presenziato, seppure con un braccio rotto ed un enorme cerotto sulla fronte. Quel giorno aveva saputo che una settimana dopo avrebbe preso fuoco la casa di un’amica del fratello.
Da allora era diventata ordinaria routine per lei.
Ordinaria, macabra routine. L’aveva raccontato ai genitori, i quali avevano pensato di inviarla da uno psichiatra. Poi, avevano notato le coincidenze, una dietro l’altra, e le mille pagine della vita avevano iniziato a collimare con le previsioni fatte da Christina.
Non era una cosa bella, avevano pensato all’inizio. In seguito avevano cominciato a pensare che fosse una condanna; per Chrissie, ma anche per loro.
Jordan cominciava a tremare come una foglia quando vedeva le labbra di sua figlia torcersi in quella smorfia tipica, inconfondibile, che non gli diceva niente di buono. Succedeva quando a casa giungeva qualche ospite, spesso quando bussavano venditori ambulanti – e Chrissie leggeva eventi terribili nel loro passato - , talvolta semplicemente mentre stava seduta davanti allo schermo della TV.
Allo stesso tempo, così come aveva acquistato una facoltà del tutto nuova, ne aveva perso delle altre. Chrissie soffriva di gravi deficit della memoria a breve termine, il che l’aveva obbligata a lasciare gli studi e a mettersi a lavorare.
E così anche per lei la festa era finita. Non in maniera perentoria, come per Andrew, ma a suo modo era finita anche per lei.
Chrissie discese le scale, presentandosi ai suoi genitori con addosso un paio di jeans a tre quarti e una canottiera dalle spalline annodate in cima.
Anne vide che c’era. Quell’espressione c’era.
E come spesso faceva, la ignorò.
“Sei già tornata a casa, tesoro?” le domandò.
Chrissie non rispose. La sua espressione grave tradiva un grosso, grossissimo segreto.
“Che c’è? – domandò Jordan. - Ti senti male?”
Chrissie, che si era fermata al penultimo gradino della scala in marmo, scese lentamente e avanzò verso i genitori.
“Devo dirvi una cosa.” Annunciò.
Oh Mio Dio, pensò Anne angosciata, Cosa sarà successo Signore fa che non sia nessuno che conosco fa che non sia nessuno che conosco fa che non sia nessuno che conosco
“C’è una donna morta lassù.”
Il suo dito si era levato ad indicare un punto aldilà della finestra dagli infissi marroni, e con gli occhi fissava un qualcosa di invisibile sulla stessa traiettoria. Jordan si voltò, con aria sorpresa, e osservò l’immagine dei monti che circondavano il paese.
“Su…sulla montagna, cara?” balbettò Anne.
“Proprio lì. – rispose Chrissie, e in quel momento le lacrime le salirono agli occhi.- E’ legata attorno a un albero con uno spago…di cui…di cui porta i segni…sanguinanti…sulla pelle…”
Jordan si precipitò ad abbracciarla.
Anne si prese il capo fra le mani, chiedendosi perché.
Perché quel dono maledetto era toccato proprio a sua figlia.
“Sei…sei sicura che sia morta, Chrissie? Hai detto che era legata.”
Chrissie iniziò a singhiozzare, tanto che il padre dovette condurla a sedersi sul divano.
“E’ morta, papà. – urlò – Le hanno sparato! E’ piena di fori lasciati dai proiettili…sul petto…e sulla pancia….”
Riprese a singhiozzare, nascondendo il viso sulla spalla del padre.
Anne, in piedi con le braccia incrociate, inviò al marito un’occhiata risoluta.
“Dobbiamo fare qualcosa, Jordan.”
“Che possiamo fare, Anne? Chiamare la polizia e dire che forse sui monti c’è una donna assassinata?”
Anne scosse il capo. Christina sollevò il suo dalla spalla del padre.
“Io…credo di sapere chi è…”
“La conosci?”
“No, ma credo di sapere chi è…allo stesso modo in cui…so che è lì.”
“E chi è, tesoro?”
“Credo che sia …Eleanor Garrett.”
(continua)
July


   
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