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 Sara e` tornata
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July
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Inserito - 05/01/2006 :  17:18:56  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a July

Sara è tornata

Il vagone del treno su cui Sara viaggiava era quasi vuoto, quella sera. Erano presenti solo un giovane uomo vestito da militare ed un signore dall’aria distinta, assorto nella lettura di un quotidiano. Sara non divideva il proprio sedile con nessuno di loro.
Aveva scelto di andare in paese in treno per paura che nevicasse e non potesse tornare a casa in auto, eventualità che l’avrebbe costretta a tornare a casa per la seconda volta. La seconda volta in dodici anni, perché era da allora che Sara mancava.
Dodici anni che non vedeva sua madre. Dodici anni che non vedeva suo padre, e non l’avrebbe visto nemmeno questa volta. Quando, una settimana prima, aveva letto sulla pagina del telegramma il conciso messaggio col quale la madre la informava del suo decesso, ella si era sorpresa nel provare una punta di dolore. Non avrebbe mai pensato di provare dolore per la morte dei genitori; era sempre stata convinta che quando fosse arrivato il momento si sarebbe sentita sollevata, o, tutt’al più, indifferente.
Invece non era stato così. Anche se il dolore non era stato di consistenza tale da farle versar lacrime.
Suo padre era morto il giorno dell’antivigilia di natale. Aveva deciso di non prender parte alle esequie, ed aveva preferito non trascorrere nemmeno il Natale a casa. Non aveva nessuna voglia di incontrare i parenti e i vecchi conoscenti che le porgevano le condoglianze. Non aveva senso pensare che avrebbe festeggiato a casa, non per il lutto recente, ma perché a casa sua i festeggiamenti erano stati aboliti da tempo immemorabile. Quando era andata via e si era trasferita in città aveva diciannove anni; adesso aveva serie difficoltà a credere che nell’ultima dozzina d’anni i suoi genitori avessero sviluppato il culto del Natale.
Si era messa in viaggio che era il pomeriggio del 30 Dicembre; erano passate un paio d’ore, il sole era gia scomparso all’orizzonte per lasciar posto al calar dell’oscurità, e Sara guardava, attraverso il vetro appannato, le immagini degli alberi, o quel che di essi affiorava nel buio, coi rami appuntiti che fendevano, nudi, l’aria fredda e umida.
Smaniava dalla voglia di fumare una sigaretta. Sapeva che in treno non poteva, ma l’occhio non faceva che cadere sulla borsa semiaperta di fronte a lei, dalla quale si intravedeva un pacchetto aperto di Marlboro ed i lembi di un foulard. Immaginò per un attimo sé stessa che accendeva la sigaretta, una piccolissima luce che brillava nell’oscurità della notte e dell’inverno; era un’immagine che, chissà perché, riusciva, a distenderla, quasi stesse realmente avvenendo.
Quando era andata via di casa non fumava ed era completamente astemia. Poi era arrivato il lavoro; erano arrivati i soldi, erano arrivati gli amici, se così potevano chiamarsi, era arrivato il fascio del gruppo.
Così in quegli anni, sia pure in maniera graduale, Sara aveva aperto la propria vita ai vizi. In passato, il pensiero che suo padre fosse dedito al bere era stato un deterrente; col tempo, era divenuto una scusante. E la sigaretta era diventata la subdola amica e la compagna intrigante dei momenti di solitudine.
Ce n’era tanta, di solitudine, nella sua vita, pensava Sara senza troppo rimorso. L’amara constatazione aveva smesso da tempo di farle rimpiangere gli anni in cui avrebbe potuto scegliere di percorrere strade diverse. Gli anni del fiore della giovinezza, quando sul suo viso fresco ancora non avevano fatto comparsa le prime rughe attorno agli occhi e alla bocca, e nessun filo d’argento viaggiava fra i capelli corvini; gli anni in cui avrebbe potuto scegliere il calore di una famiglia propria, anziché gli avanzi dell’amore di cui troppo spesso si era nutrita.
Quando era andata via di casa aveva un viso da cucciola e un cuore grande e pieno di emozioni, di speranze e di passione; adesso aveva trentun anni. Era magra e il suo viso era come sfiorito, dimostrava certamente più della sua età. Beveva troppo, e fumava una sigaretta via l’altra. Ma soprattutto, di quell’enorme distesa di emozioni che era stato un tempo il cuore non rimaneva che una spiaggia desolata, una campagna inaridita e resa brulla dagli anni e dalle delusioni. Che erano arrivate, immancabilmente, una dietro l’altra, come giri di giostra in serie. A volte pensava che la sua vita era una vecchia giostra arrugginita rannicchiata nel cuore di un vecchio lunapark dimesso, una giostra che nonostante il marciume, la ruggine e il muschio che cresce sui sedili, continua a girare. Ti fa venire il mal di mare, ed è fredda e gelida e sporca, eppure continua a girare.
A Sara dispiaceva che per il proprio lento inaridire non potesse incolpare la famiglia, e le vessazioni qui subite; sarebbe stato comodo, ma non era così.
Sentì il fischio del treno, mentre si riscaldava stretta nel suo cappotto blu, e capì di essere arrivata. Avrebbe acceso subito una sigaretta, subito appena scesa, e poi sarebbe andata a casa col suo modesto bagaglio.
Non immaginava certo di trovare sua madre Luisa che era venuta a prenderla alla stazione.

Si addentrò nel cortile antistante la casa, fatto di cemento, che costeggiava un fazzoletto di terra un tempo adibito a giardino. Adesso si trattava di una ventina di metri quadri di terriccio, umido per via del clima, su cui crescevano la malva e l’ambrosia. Gli alberi dei limoni e delle arance, che in certi anni erano stati carichi di frutti colorati, erano ovviamente spogli, e Sara immaginò che d’estate dovesse essere la stessa cosa. Si trattava di piante che richiedevano acqua in abbondanza, ed una mano attenta che di certo sua madre aveva ormai perso. Anni prima il cortile era stato sovrastato da un pergolato, di cui non rimaneva adesso che la struttura in ferro arrugginito – come la giostra dei pensieri di Sara - qualche foglia secca di edera e grappoli avvizziti, rimasugli di settembre, che richiamavano i ricordi dell’infanzia, e forse, chissà d’affetto.
Se mai l’affetto avesse aleggiato, in casa sua.
Sara si domandò, entrando in cucina, se fosse più invecchiata la mobilia o sua madre; sicuramente avrebbe pensato che fosse la madre, se i lineamenti di costei non fossero addolciti da un qualcosa, forse gioia, che portava impressa sul volto da appena l’aveva vista. Gli occhi di Luisa, azzurri come il mare, non erano mai stati così belli o luminosi, almeno non negli anni dell’adolescenza di Sara.
Il camino era acceso; su un lato della stanza c’era persino un vecchio braciere, altro dettaglio pronto ad evocare ricordi, come se Luisa avesse voluto impegnarsi per far si che la figlia, rientrando, avesse trovato il calore di una casa calda ed accogliente.
Nel tragitto che le portava a casa non avevano parlato affatto, forse perché entrambe erano impegnate a meditare attorno all’abbraccio a cui si erano abbandonate, incontrandosi.
“O forse perché ci siamo pentite quasi subito” pensò Sara, avvicinandosi al camino ed estraendo una sigaretta.
“Posso fumare vicino al caminetto?” domandò.
“Certo.” Replicò la mamma, evitando di domandare a Sara quando aveva iniziato.
“Allora, la mia piccola Sara è diventata una donna. – commentò – E una donna carina, direi.”
Sara non rispose, occupata ad aspirare affinché la sigaretta non si spegnesse.
“Scommetto che in questi anni hai infranto decine di cuori fra i tuoi amici.”
“Oh, non immagini quanti.” Rispose Sara in tono sarcastico.
“E fra questi amici non c’è nessuno che occupi un posto speciale nel tuo cuore?”
Il volto bruno di Sara parve amareggiato.
“Ci sono tanti nessuno.” Fu la risposta.
Luisa comprese di aver toccato un tasto dolente. Ma pensò a quanto fosse difficile toccare il tasto giusto con una persona che non vedevi da dodici anni, a cui avevi smesso dopo i primi anni di assenza di inviare lettere e cartoline d’auguri di Natale e di Buon Compleanno perché tanto non ti rispondeva mai. Diede una rapida occhiata in direzione della tenda bianca stampata a ceste di ciliegie il cui orlo consunto penzolava sopra il vecchio pavimento, e domandò alla figlia se volesse mangiar qualcosa.
“E’ tardi, avrai fame.”
“Non voglio niente, mamma.”
“Sei sicura? Nemmeno il risotto? Un tempo ti piaceva così tanto…”
Sara rispose con un sorriso a metà tra l’ironico e il tenero, pensando che da allora i suoi gusti erano cambiati radicalmente in fatto di alimentazione, ma che tutto sommato sua madre era carina a ricordarsi di certi dettagli. Era come se Luisa volesse riguadagnare il tempo perduto, ed era buffo che quando Sara avrebbe voluto una mamma così ella non c’era; mentre adesso, adesso che desiderava solo concludere al più presto la propria breve vacanza nella casa natìa, sembrava che Luisa fosse fortemente motivata a lanciarle una specie di esca.
“Grazie. – rispose accettando – Hai della birra?”
“Ecco…tuo padre non poteva più bere alcolici, così da diversi mesi li abbiamo totalmente eliminati, in casa.”
“Non importa. Mangerò solo il riso.”

Mangiò solo due forchettate, di fronte a Luisa che la osservava rapita, quasi con le lacrime agli occhi. Sara temeva che scoppiasse a piangere da un momento all’altro, eventualità che non la allettava affatto. Odiava quel tipo di situazioni.
“Sono contenta che tu sia qui.” Disse Luisa dopo aver sparecchiato quell’unico piatto in cui Sara aveva mangiato. Dal tono di voce, Sara capì che non era in procinto di piangere.
“Anche se questo vuol dire che papà è morto? – un alone di cattiveria permeava le parole di Sara – Se così non fosse, io non sarei qui.”
“Anche se questo vuol dire che papà è morto.” Rispose Luisa senza togliere un attimo a Sara gli occhi di dosso.
“Mi crederesti se ti dicessi che mi sei mancata?”
Sara si soffermò un attimo a pensare, prima di sferrare una seconda sferzata.
“Sinceramente, avrei difficoltà a farlo.”
Luisa ignorò la frase.
“Ho letto il tuo ultimo articolo…quello sui viaggi di Natale…”
Sara annuì.
“E’ molto carino. Sapevo fin da piccola che saresti diventata brava…già i tuoi primi temi erano capolavori.”
“Senti, mamma…dove posso dormire stanotte?” tagliò corto Sara.
“Puoi scegliere se dormire nella tua vecchia camera o nella mia, con me. – Luisa esitò per qualche istante, cercando una nota che avesse un qualcosa di accogliente nello sguardo di Sara – Ma immagino che preferisca dormire da sola.”
Sara si alzò, senza parlare, e si diresse verso la propria vecchia camera.

Il mattino dopo si svegliò all’alba. Era piuttosto insolito per lei, ma presto realizzò che la causa del risveglio precoce erano i rumori dei piatti e delle stoviglie per la colazione che la madre era intenta a maneggiare.
Comparve sulla soglia in pigiama, con gli occhi assonnati e i capelli spettinati. Non immaginava certo di trovare, così presto, un ospite. Un ragazzo che doveva avere pressappoco la sua età e che un tempo conosceva bene era seduto al tavolo della cucina e beveva il cappuccino che Luisa gli aveva preparato.
“Oh, Sara, sei già in piedi?”
Il ragazzo, che si era limitato a fissare Sara con aria interrogativa, esclamò:
“Non dirmi che Sara è tornata! Sara, vieni qua, fatti abbracciare!”
“Ma tu…sei Michele.”
Il tono di Sara suonò spento in confronto a quello del vecchio amico, ma egli parve non accorgersene, così come parve ignorare l’aria torva che il suo sguardo aveva assunto negli ultimi anni.
Si abbracciarono, Sara non parve troppo fiera, ma a Luisa sembrò di scorgere qualcosa che luccicava nei suoi occhi, dettaglio difficile da cogliere per via di quanto era diventato sfuggente lo sguardo della sua unica figlia. Sfuggente, oltre che torvo, a dispetto di quanto in passato era stato luminoso.
“Vieni…vieni spesso qui a fare colazione?” domandò Sara.
“Si. Tutte le mattine.”
“Michele fa l’infermiere. – intervenne Luisa – Ed ha fatto a tuo padre un’infinità di flebo ed intramuscolo da quando è malato.”
Sara tacque.
“Passerai il capodanno con noi, Michele?” domandò poi Luisa, frase che fu seguita da un’occhiataccia da parte di Sara.
“Volentieri.” Rispose Michele. Sara intuì che anche lui dovesse essere solo. Non aveva tanta voglia di passare l’ultimo dell’anno con lui, ma si rincuorò pensando che la presenza di una terza persona avrebbe smorzato, se pur moderatamente, l’atmosfera di tensione che si stendeva tra lei e la mamma.
Quella sera, Michele si presentò a casa loro con un mazzo di tulipani portato apposta per Sara. Sara indossava un vestitino nero, aderente, lungo, con una scollatura a v, che la faceva sembrare ancora più magra.
“Questi sono per te.”
“Ma non dovevi disturbarti…” Sara era sinceramente stupita, non era più abituata ai gesti gentili dei corteggiatori. Arrossendo leggermente, portò i fiori in cucina e li sistemò dentro un vaso.
Luisa nel frattempo apparecchiava. Per quanto piccola fosse, la cucina non le era mai sembrata così grande. La tovaglia rossa pendeva, con gli orli sfilacciati, sopra il tavolo rotondo, piena di stampe a candele ed alberi dorati; gli addobbi di natale incorniciavano il camino e scendevano sulle pareti attorno alle porte e alle finestre, luccicanti come stelle nella notte, colmi di immagini natalizie.
Era buffo, ma il primo anno in cui Luisa aveva provato piacere ad addobbare la casa era l’anno in cui il marito era morto.
“E’ un’innovazione?” domandò Sara.
“Non ti piace?”
“Si, mi sembra solo strano che…bè lasciamo stare.”

Cenarono assieme. Per tutta la sera Michele non fece altro che domandare a Sara del suo lavoro. Luisa aveva l’impressione che facesse domande mirate per cercare di carpire dettagli sulla vita privata della figlia, ma Sara era abbastanza refrattaria ad elargire informazioni su di sé.

Arrivò la mezzanotte. Uscirono fuori, e dalle case e le strade vicine cominciarono a giungere i rumori delle bottiglie di spumante che si aprivano, e le voci e le grida della festa, mentre nel cielo si spargevano i colori scintillanti dei fuochi d’artificio.
Era l’anno nuovo, ed anche loro aprirono lo spumante, la spuma colò come una cascata dalla bocca della bottiglia e si scambiarono gli auguri.
Luisa corse dentro a prendere i bicchieri, e in quel momento Sara e Michele si cambiarono un bacio. Prima sulle labbra, Sara sentì le labbra calde di Michele scivolare sulle sue, il battito del suo cuore farsi più celere, un’emozione violentissima prorompere dentro di lei e divampare come un incendio…un’emozione che da anni non provava, ma che era sempre attuale. Sempre nota. Che la faceva sentire di essere sempre la stessa Sara, la ragazzina che non voleva stare a casa ma aprirsi al mondo intero…
Si sciolsero in un abbraccio, e stettero così per qualche istante, gelosi di quel momento magico, quell’attimo di poesia che stavano vivendo, insieme, incuranti dell’anno vecchio che moriva alle loro spalle e quello nuovo che sorgeva, e di tutto il mondo che festeggiava attorno, e consapevoli solo l’uno della presenza dell’altra.
Amanti per un minuto, poi, chissà….


Giuliana carta

   
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