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 "Chi sono?" e la poetica di Palazzeschi
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Paolo Talanca
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CHI SONO?
Aldo Palazzeschi

Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell'anima mia:
"follia".
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore la tavolozza dell'anima mia:
"malinconia".
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c'è che una nota
Nella tastiera dell'anima mia:
"nostalgia".
Son dunque...che cosa?
Io metto una lente
Davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell'anima mia.

E’ una poesia di Aldo Palazzeschi contenuta in “Poemi” del 1909.
“Poemi” rappresenta una tappa importante nella vita poetica di Palazzeschi. E’ la sua terza raccolta dopo “Cavalli bianchi” e “Lanterna”. Queste raccolte furono pubblicate dal poeta a proprie spese ed attirarono da subito l’attenzione degli intellettuali del tempo e di poeti come Corazzini e Moretti.
Il titolo di questa terza raccolta ci conduce già al cambiamento che inizia a delinearsi nell’universo poetico di Palazzeschi. “Poemi” rimanda ad una dimensione di libro che rispecchia un ambito consolidato di poesia. Le due precedenti raccolte erano abbastanza scarne nel numero delle poesie, per non parlare dei temi che erano meno corposi. In quelle raccolte era molto forte la separazione tra interno ed esterno, non già per interrogarsi sullo scarto, ma proprio per rispettare la coerenza di una sensazione di diversità rispetto alla massa, dopo aver unicamente avvertito questa diversità. Così le poesie di “Cavalli bianchi” e “Lanterna” abbondano di immagini monotone (in un senso assolutamente non negativo), meccaniche, con una poesia molto seria quasi a rispettare la consapevolezza di non poter scherzare con un universo che non si conosce. Lì sono frequenti i rimandi a simboli crepuscolari come cipressi, immagini di morte che rispondono alla disposizione dell’io poetico a nascondersi: in “Cavalli bianchi” non c’è mai l’io poetico, si racconta tutto in terza persona con una scrittura naif, al di fuori di una stratificazione culturale, con una scrittura semplice e ad imitazione di un racconto fiabesco. Non si direbbe un’eresia affermando che queste poesie rimandano vagamente all’impostazione poetica dei poeti religiosi del ’200 ed a Francesco d’Assisi (con versi in ex ergo). In “Lanterna” Palazzeschi riprende la dimensione favolosa della raccolta precedente. Anche qui ci sono luoghi circoscritti e litanie meccaniche ma il discorso si comincia a spostare e già l’utilizzo del verso libero è sintomo di un cambiamento lento ma significativo. Mentre in “Cavalli bianchi” si adotta una metrica ripetitiva con un ritmo ternario (di solito atona-tonica-atona) che rispecchia il messaggio della raccolta, in “Lanterna” Palazzeschi comincia ad adottare il verso libero, anche se costruito a partire dalla versificazione tradizionale. In questa raccolta è diversa anche la spiegazione del ruolo dei personaggi, che iniziano ad assumere caratteristiche precise ed un certo compito, non più movimenti meccanici ma un inizio ed una fine, una diacronia metaforica che accompagna ogni sillaba dei personaggi delle poesie (ad esempio il Kinik de “Il tempio serrato” o la Mirena di “Palazzo Mirena”).

“Poemi” si presenta in modo diverso a partire già dall’articolazione interna, formata da tre sezioni distinte: a) Galleria Palazzeschi; b) Le mie ore; c) Il frate rosso. Ciascuna circoscrive all’interno un’altra articolazione. Pur presentando testi separati, Palazzeschi esprime una volontà narrativa complessiva, un percorso che si sviluppa in sezioni e sottoscrizioni, fino a “Il frate rosso” che è una specie di piccolo poema con la presenza di più personaggi ipostatizzati. Come si nota la differenza con le due diverse raccolte è enorme per la presenza del discorso diretto e per la metrica usata, che non rispetta sempre il ritmo trisillabico, e con rime che non sono formate da ripetizioni di termini (caratteristica che nelle altre due raccolte donava una ripetitività ossessionante).
E’ interessante, a questo punto, citare una caratteristica delle poesie di D’Annunzio presente nell’Alcyone: la strofe lunga. C’è una poesie intitolata “L’onda” dove D’Annunzio descrive, sulla base di un dizionario tecnico di termini marinari, le caratteristiche del moto ondoso e alla fine cita proprio la strofe lunga, come se questa poesia ne fosse un inno. La strofe lunga ha un effetto ritmico e melodico generato su due modalità di ritmo: quadrisillabico e soprattutto trisillabico. Non è da escludere che questo ritmo ternario di Palazzeschi derivi da suggestioni d’orecchio di d’annunziana memoria, anche se usata con fini completamente diversi (magari in forma di parodia celata). A confermare questo in “Poemi” c’è una poesia dal titolo “La fontana malata”, in una dimensione quasi crepuscolare che in realtà mette in crisi il crepuscolarismo perché e parodistica, quasi a fare il verso alle poesie di Corazzini. Comprendendo questo spirito parodistico si è andati oltre e si è esteso lo spirito dissacrante anche verso poesie come la “Pioggia nel pineto” e, soprattutto, alle “Fontane murate” delle “Vergini delle rocce”. Tutto questo conferma i tratti del carattere poetico di Palazzeschi, mai ascrivibile ad una corrente o ad uno stile predefinito.

Sicuramente la caratteristica più importante di “Poemi” è la presenza dell’io per la prima volta. Presenza che diventa quasi centralità, una centralità che non impedisce uno sguardo verso l’esterno, non più come in “Cavalli bianchi” dove la differenza interno/esterno era solo avvertita. In “Poemi”, ed in particolare nella poesia “Chi sono?”, che precede le tre sezioni della raccolta, l’io esamina l’interno anche in funzione dell’esterno e della gente, alla quale vuol far vedere addirittura il cuore.

A questo punto converrà entrare più a fondo tra i versi di questa poesia. Ci renderemo conto che gli interstizi che riusciremo a crearci, tra il ritmo quasi celato dei versi, saranno comodi e quasi programmatici ed esalteranno la fenomenale abilità poetica di Palazzeschi.
Tecnicamente la poesia inizia senza rime, procedendo poi con rime regolari anche baciate o con assonanze. Questo dona dei forti legami fonici, quasi a voler alludere ad una filastrocca sciocca e dissennata. Sono proprio queste peculiarità foniche, aggiunte ad una sintassi semplificata, che rispecchiano uno stile palazzeschiano che riprende la monotonia delle prime due raccolte, il ritmo ternario quasi ossessivo della cantilena.
Si parte con un problema d’identità. Si può riconfermare una certa impostazione crepuscolare ma ci sono delle diversità che diventano fondamentali e decisive: i crepuscolari affermano di non essere poeti e questo succede anche in questa poesia, ma sistematicamente qui alla fine delle negazioni c’è uno scarto ironico e sarcastico che è, ineluttabilmente, l’affermazione di qualcosa: sono “Il saltimbanco dell'anima mia”. Il saltimbanco è un buffone che senza una veste aulica agisce sull’anima sia per conoscerla, sia per offrirla alla gente camuffandone la natura. Il saltimbanco qui colma il rapporto mancato in “Cavalli bianchi” e “Lanterna” tra l’io e la gente, mette a disposizione della gente il proprio interno quasi per farla ridere e, soprattutto, per esorcizzare la separatezza che sente verso le persone (emblema è il non aver trovato un editore), donando loro le chiavi di casa.
Il problema dell’antiteticità tra io e mondo esterno è un passo cruciale. Qui l’io diventa saltimbanco, dunque il poeta è già qualcosa di altro, già viaggia in una dimensione sfocata e divergente rispetto alla propria personalità. Direi che, in maniera molto coerente, Palazzeschi sviluppi la tematica dell’io a partire da “Lanterna”. Attenzione però: prima abbiamo detto che l’io entra in gioco per la prima volta in “Poemi”. Questo è vero, ma in “Lanterna” è presente proprio un testo che esplica l’impossibilità di scrutare nell’io: “Gioco proibito”.

“Rasentano piano gli specchi invisibili,
avvolti di nebbia
non lasciano traccia ne l’ombra,
gli specchi non ànno riflessi,
non cade su loro de l’ombra una macchia,
neppure la macchia dell’oro […]”

Magistralmente qui il poeta introduce la sensazione di una dicotomia tramite l’assenza di un secondo elemento, attraverso uno delle componenti più prolifiche in poesia: lo specchio, importante nel surrealismo oltre che in poeti come Montale dove l’ombra in “Non chiederci la parola” diventa fondamentale perché chi non la vede è un uomo sicuro e si contrappone al poeta, identità possibile solo in negativo. In una intervista il poeta Franco Fortini diceva che la poesia nasce da un “movente psicologico: una certa forma di insicurezza e l’esigenza di oggettivare un altro se stesso, che sia lo specchio di se stesso. […] Il poeta è uno che riesce a stabilire una specie di strano rapporto fra se stesso e quell’altro se stesso che lui ha fabbricato.”
In “Gioco proibito” il doppio è intercettabile ma “gli specchi non ànno riflessi” (opera in prosa del 1908 di Palazzeschi, “Riflessi”) e questa mancanza rimane nell’ambito del solo avvertimento, caratteristica delle prime due raccolte, che si svilupperà, come detto, in “Poemi”. Il saltimbanco di “Chi sono?” è già, come detto, una consapevolezza di diversità dal proprio io: “Il saltimbanco dell’anima mia” significa che il saltimbanco è un soggetto, e l’anima mia una cosa altra: spartizione, separazione che in “Poemi” diverrà sempre più vertiginosa e ampia fino a poesie situate alla fine della raccolta come “Lo specchio” (titolo esemplare) e “Il Frate Rosso”. In “Lo specchio” Palazzeschi descrive le diversità tra l’io e l’immagine riflessa: lo specchio riflette un io nel quale l’io poetico non vuole riconoscersi. Sin dall’inizio c’è una opposizione verso lo specchio, lui offende lo specchio. Qui il guardare dello specchio è percepito come violenza della sua intimità, mentre in “Chi sono?” Palazzeschi dona la chiave del suo cuore alla gente. In questa poesia non si accetta il riflesso che lo specchio dona dell’io. Torna il pagliaccio – saltimbanco – con la “faccia bianca”, riflesso dello specchio che non combacia con ciò che l’io poetico sente dentro e che sfocerà nell’altra poesia sopraccitata “Il Frate Rosso”. E’ l’unico poemetto di “Poemi”. Qui c’è un frate (io poetico) con una faccia bianca, capelli rossi e veste rossa, con un forte problema di identità (il frate non ha un nome). La faccia bianca è naturalmente il rispecchiamento della piattezza esteriore. Il rosso è l’io poetico, finalmente sicuro di sé. Ma il rosso dell’io poetico non è accettato dalla società, non è accettato dalla gente. Da “Il Frate Rosso” nasce quella esaltazione dell’io poetico che si è sdoppiato dai personaggi precedenti e che è aggressivo nei confronti della folla. La poesia termina con un verso “Se lo mettessero in prigione?”. Ecco che nella raccolta successiva “L’incendiario” la poesia eponima inizia con un individuo dentro una gabbia, un incendiario appunto. Questo incendiario è il poeta liberatosi dalle paure, da tutto ciò che gli impediva di eliminare le piattezze esterne, il bianco informe della massa. Il percorso è stato molto lungo. Si è partiti dalle descrizioni fredde delle poesie di “Cavalli bianchi” e si è arrivati all’incendiario in gabbia con una nuova consapevolezza. La gente fuori dalla gabbia passa, lo schernisce, si unisce al pensiero di una maggioranza meschina (De André “Smisurata preghiera”). La folla lo schernisce ma c’è tra di loro un poeta, un poeta grigio nel colore perché è tra di essi, che è l’unico a comprendere l’incendiario all’interno della gabbia ed anzi lo venera e maledice la gente attorno alla gabbia.

Questo percorso all’interno della poetica palazzeschiana mi è sembrato necessario per spiegare la tematica fondamentale del poeta, per la quale sicuramente “Chi sono?” rappresenta un punto cruciale.
Rilevanti sono anche le tre caratteristiche: follia, malinconia, nostalgia. Come si nota le ultime due caratteristiche sono crepuscolari, ma è quasi una ripresa parodica anche verso i recensori di “Cavalli bianchi” e “Lanterna”. In realtà, come già ampiamente detto prima, la dimensione crepuscolare è fortemente corrosa.


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Elena Fiorentini
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Inserito - 10/08/2003 :  08:55:56  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Elena Fiorentini  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Elena Fiorentini
Ricordo quando ti stavi preparando all'esame riguardante questi scrittori e del tuo entusiasmo.
Ed ecco finalmente una tua produzione.

E' forse l'unico momento della poesia italiana che amo molto, forse la più vicina ad una letteratura europea.
Corazzini, Palazzeschi D'Annunzio, i grandi autori triestini, un fascino solo a pronuciare i loro nomi...

In genere la letteratura italiana mi ha lasciato abbastanza indifferente, forse il motivo è che sia la musica che il cinema per certi versi mi hanno condotto ad esplorare e a conoscere altri poeti, altri autori, altre storie inevitabilmente legati al mondo musicale.

In Italia il gigante che ha dominato un secolo di musica non è stato tanto vicino al mondo intelletuale di poeti e scrittori ( non che non lo fosse anche Lui in prima persona!) quanto ai costumi, ai modi di vivere della società.

I poeti studiati da Paolo sono lontani dai loro contemporanei musicisti, eredi di Verdi.

Ecco perchè è più facile per me conoscere un autore tedesco avendo studiato Beethoven, Schumann, Brahms ecc.o un autore francese o russo o norvegese.(1

Ben venga perciò il valido e originale contributo del nostro giovane autore Paolo che mi apre nuove porte, nuovi orizzonti.

Ho già la stampante accesa e il foglio pronto a ricevere le cartelle da inserire negli aggiornamenti della "Storia della lettertura italiana"
E.F.
Elena Fiorentini

1)
Mi spiego meglio.I musicisti da me nominati sono oggetto di studio e di lavoro per gli allievi pianisti ( e strumentisti in genere)che completano la loro cultura con i conterranei. In Italia la musica era prevalentemente basata sul melodramma, perciò scrittori e letterati in genere venivano cercati tra autori di teatro. D'Annunzio scrisse il testo per "Il martirio di S. Sebastiano" di Claude Debussy,poeti e scrittori come quelli studiati da Paolo non si occupavano di melodramma.In un modo o nell'altro la cultura sulla letteratura italiana da parte di noi musicisti è scarsina.


Edited by - elenafior on Aug 10 2003 19:38:47Vai a Inizio Pagina

Paolo Talanca
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Inserito - 11/08/2003 :  19:10:02  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Paolo Talanca  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Paolo Talanca
Grazie mille per il tuo messaggi ocara Elena.
a dire il vero avrei voluto semplicemente commentare la poesia "Chi sono?" ma poi mi sono reso conto che era impossibile farlo senza cercare di spiegare l'iter poetico di Palazzeschi, così il mio post ha camzbiato forma.

Il rapporto tra la musica e la poesia in Italia è abbastanza complesso. Nell'ultimo anno vado continuamente alla ricerca di libri che parlino di musica e poesia e che prendono in esame anche il rapporto tra le parole e la loro facilità ad essere messe in musica.

In effetti dal quadro generale che ne ho tirato fuori mi sono fatto l'idea che in Italia il rapporto tra musica e poesia è stato leggermente snaturato nel novecento. Mentre nel cinquecento, ad esempio, c'erano bellissimi componimenti poetici di grandi autori come Michelangelo, Parabosco ed altri che venivano musicati (da non dimenticare che, ad esempio, un componimento come il madrigale è scritto esclusivamente in funzione della musica), dalla fine dell'ottocento la musica del melodramma prende il sopravvento e tutto il novecento forma uno iato fortissimo tra musica alta e musica d'uso. Purtroppo questo si vede fino agli ultimi trent'anni, dove la musica delle cosidette canzonette trae le sue radici su una impostazione niente affatto colta e la melodrammatica rima cuor/amor la fa da padrone. Negli anni sessanta ci fu un gruppo torinese che prese il nome di Cantacronache che cercò di porre in qualche modo rimedio a quest'ondata. I Cantacronache erano formati da uomini di cultura come Eco, Calvino o Fortini e cercarono di spingere la musica verso un taglio più elevato culturalmente, più impegnato. A grandi linee il primo cantante a dare una sferzata di cambiamento fu Modugno che cercò di allontanarsi dalle composizioni con parole ossitone a fine di verso (quei termini apocopati del tipo fior o ciel, che oggi resistono nei componimenti di molte canzonette commerciali) al modo di Claudio Villa, residui di melodramma che raccontavano storie di amori strppalacrime.

Purtroppo c'è sempre stata una divisione tra musica d'uso e musica d'arte e pochi sono i tentativi di cambiare le cose se si eccettuano i Cantacronache che hanno portato ai vari Guccini, Vecchioni, Gaber e alla scuola genovese con i vari De André, Lauzi, Paoli o Endrigo. Si può considerare fallito il tentativo di Dalla e Roversi alla fine degli anni setanta ed altre collaborazioni, come Sgalambro-Battiato, non hanno sortito i frutti sperati.

Hai ragione però cara Elena quando dici che l'Italia è diversa rispetto alle altre nazioni.
Potrei citare il caso degli chansonniers francesi (ripresi da Guccini e soprattutto da De André) come Brel o Brassens che scrivevano versi alessandrini per comporre le canzoni o riprendevano testi di grandi poeti francesi come Verlaine o Villon.

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Elena Fiorentini
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Inserito - 12/08/2003 :  14:36:05  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Elena Fiorentini  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Elena Fiorentini
E' commovente che si possa sentire l'esigenza di approfondire questi difficili argomenti.


"...ripresi da Guccini e soprattutto da De André) come Brel o Brassens che scrivevano versi alessandrini per comporre le canzoni o riprendevano testi di grandi poeti francesi come Verlaine o Villon."
...e...
Nanni Svampa, con le sue colorite e intense interpretazioni delle canzoni di Brassens che ha tradotto e cantato in dialetto milanese.
......

la poesia per musica

Di quest'argomento ho parlato in "Chiacchere nel foyer", piu' che altro per quanto riguarda l'importanza che si dà nel comporre musica drammatica , cioè per il teatro musicale.
In genere dovresti leggere il libro di Massimo Mila su Verdi, è illuminante al riguardo.(M.Mila - Il melodramma di Verdi ed. Einaudi) e in genere tutti gli scritti di M.Mila, compresa la piccola ma intensa "Breve soria della musica", un po' scarsa neòòa parte piu antica.

Quanto ai poeti dell'ultimo Ottocento e del primo Novecento, tieni presente che un tuo grande compatriota, D'Annunzio, è stato musicato anche da Paolo Tosti, l'unico musicista italiano insignito dal titolo di Sir alla Corte Inglese.
Di D'Annunzio/Tosti è edita da Ricordi la raccolta delle canzoni in un volume, tradotta anche in coreano e giapponese,anzi Tosti viene regolarmente riproposto da tutti i cantanti fuorchè quelli italiani.
Oltre alla celebre A'vucchella, in dialetto napoletano di D'Annunzio ( in napoletano c'è anche "Quanno spunta la luna a marechiaro, di Salvatore Di Giacomo, mi sembra)troverai la bella poesia musicata in modo altrettanto straordinario che è " L'alba separa dalla luce l'ombra"sempre di D'Annunzio.

Però sfogliando le edizioni, forse con internet puoi entrare nelle biblioteche musicali e accedere agli spartiti per canto e piano
di Tosti, che scrisse oltre cinquecento canzoni di alto livello, avrai la sorpresa di scoprire quanti poeti che hai letto nelle antologie di letteratura del tardo ottocento sono stati messi in musica da Tosti.

Io ho avuto tra le mani questi spartiti, ma ora ho reso i libri e non saprei dare informazioni precise.

Per entrare in dettagli piu precisi ci sono alcune facoltà che trattano il rapporto poesia e musica, ad esempio "Paleografia e filologia della musica" a Cremona, oppure nelle cattedre universitarie di Storia della musica. A Milano ad esempio c'è la cattedra di Francesco Degrada, profondo conoscitore della musica del rinascimento italiano.
Si tratta di persone eccezionali che hanno titoli musicali vari e lauree di tipo umanistico, ci vuole una vita!

Ciao
e grazie a tutti coloro che sono arrivati a leggermi fino a qui.

E. F.

Post Scritpum
Per migliorare la tua ricerca devi almeno leggere un libro di storia della musica .Nella tua facoltà non c'è un corso di storia della musica? sarebbe la cosa migliore.Lo studio del passato serve anche per capire il presente.

in google, sotto la voce "madrigale" trovi notizie sui madrigalisti G. Da Venosa, scaricabile, S. D'India, Monteverdi e altri.

E' importante leggerti anche in google la voce "Madrigalismi".

La caratteristica delle voci è una delle componenti per capire il rapporto parole e musica . Leggi "Chiacchere nel foyer" e "Concerto per sooprano di coloritura" Non ricordo i riferimenti esatti, eventualmente li cercherò io . Sono in "musica e canzoni" oppure sotto "AAAMilano".


Edited by - elenafior on Aug 12 2003 16:59:30Vai a Inizio Pagina

Paolo Talanca
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Inserito - 12/08/2003 :  19:08:00  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Paolo Talanca  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Paolo Talanca
Grazie Elena, le leggerò senz'altro.

L'anno prossimo ho già in programma di seguire il corso di Storia della musica del prof. Rostirolla a Chieti e dopo la laurea di certo mi iscriverò ad un master di critica musicale

In quanto a D'Annunzio lo leggo oramai da anni ed ho sempre notato la sua dimestichezza nel campo musicale. In particolare nei suoi romanzi (come "Il trionfo della morte") si addentra in analisi musicali e sensazioni che i più grandi di ogni tempo provocavano nei protagonisti dei suoi racconti: da Federico Chopin (come ama scrivere lui) a tutti i più grandi. Se non vado errato in alcune sue composizioni cita anche Tosti.

Comunque questo è un campo che oramai mi ha completamente investito e che forse un futuro mi permetterà di sentirmi realizzato professionalmente. Sono sempre stato dell'idea che se si riesce a conciliare il lavoro con la passione personale la vita si colora di colori perfetti e cangianti.

Incrocio le dita e stringo i pugni per il momento.
Grazie Elena e grazie a tutti voi.
-Paolo-

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