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Roberto Mahlab
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Inserito - 06/08/2006 :  20:43:56  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Fu il gracchiare dei corvi che spezzò la mia concentrazione dalle pagine dell'avvincente giallo che mi aveva rapito. Alzai gli occhi al cielo e osservai i neri volatili abbassarsi in cerchi dapprima concentrici e poi via via disordinati, come fossero inseguiti da un essere oscuro.

Ero seduto su un panchina in mezzo al parco, al riparo dal sole accecante di quel pomeriggio di una estate che sarebbe passata alla Storia per le elevatissime e insopportabili temperature, sotto gli altissimi pini trovavo refrigerio e trascorrevo i pomeriggi leggendo, fino al calare della notte, fino a quando diveniva impossibile riconoscere le lettere stampate sulla carta.
Mi ero portato dietro un pacchetto di patatine acquistato in una rosticceria del centro della città quel mattino, costavano tre volte quanto avrei pagato in un qualsiasi supermercato, ma il gusto squisito e la freschezza del prodotto giustificavano la differenza di prezzo.
Il mio mondo era tutto attorno a me su quella panchina, c'era il quotidiano preferito di cui pregustavo gli eccellenti articoli di politica internazionale, la bottiglietta di tè freddo, le patatine, il libro. Era come immergersi in paradiso, un sospiro di soddisfazione e di gratitudine per la bellezza della vita. E il cielo azzurro, la brezza della sera. Un pensierino all'ombrello l'avevo fatto, prima di uscire di casa, le cartine suggerivano l'arrivo di temporali, ma decisi di sfidare la sorte, il servizio meteorologico non era famoso per azzeccare più di una previsione su tre.

Gli strati di scure nubi scivolavano l’uno sull’altro, a rincorrersi nell’occupare gli spazi nell’azzurro e ben presto quella colorata giornata si trasformò in una pellicola in bianco e nero, “non adesso, per favore”, il mio animo supplicava, non proprio mentre sgranocchiavo una delle patatine nel preciso istante in cui il protagonista del libro confessava il delitto.
Un lampo sguarciò l’orizzonte e dopo pochi istanti un tuono, ricordai da antichi studi che il numero di secondi tra lampo e tuono indicava la lontananza in chilometri del temporale, forse ce l’avrei fatta a richiudere il pacchetto di patatine e a leggere contemporaneamente l’ultimo capitolo del libro. Una goccia, diritta sulla pagina, feci finta di nulla, forse anche il temporale mi avrebbe saltato, che fastidio potevo essere per la potenza della natura, io piccolo essere che occupavo neppure un metro quadrato di un parco, mentre gli elementi avevano a disposizione tutto il resto del pianeta per scatenarsi? Evidentemente si accorsero anche di me e considerarono che non potevo essere risparmiato, perché uno scroscio di altre gocce di pioggia disegnò una circonferenza sull’acciottolato attorno a dove mi trovavo, compresi che era l’ultimo avvertimento, o me ne andavo o sarei stato considerato una preda.

Mi alzai, sempre leggendo quelle ultime righe, quasi senza vedere riposi la bottiglietta vuota di tè in un cestino, raccolsi il quotidiano e il pacchetto e iniziai ad incamminarmi verso l’uscita del parco, calcolai di avere come minimo dieci minuti per raggiungere una qualsiasi pensilina e poi non escludevo che valesse il detto che tanto tuonò che poi non piovve. La natura invece calcolò di avere come massimo pochi secondi per ricoprire di grandine l’esistente, tanto da dimenticarsi anche qualche tuono e piovere direttamente.
Mi rifugiai sotto un enorme albero, il libro al sicuro nel sacchetto con il quotidiano, ma lo stomaco sempre affamato, posai gli occhi dentro al pacchetto di patatine, almeno quella soddisfazione nessuno poteva togliermela.

Osservai con la coda dell’occhio che qualcosa si muoveva sulla prima patatina del pacchetto, la paura dell’ignoto, le certezze che crollavano, “gli elefanti non volano, le patatine non si muovono”, ripetei a me stesso con tono che voleva tranquillizzarmi. Misi quasi il volto nel pacchetto per comprendere che cosa stava accadendo e mi ritrovai muso a muso con un corpicino rosso e a macchie nere, un maggiolino, strappato dalla forza del vento da qualche foglia di un albero era stato trascinato proprio tra le mie patatine. Forse fu perché la bestiola mi commosse o piuttosto perché sono così schizzinoso da cambiare forchetta ad ogni piatto, ma tra me e le patatine tutto era finito.

…Il giornalista mise in moto, i ribelli sparavano con i kalashnikov, la rivoluzione era scoppiata, non avrebbe voluto essere ancora lì quando fosse iniziata la resa dei conti con i governativi, doveva correre all’aereoporto attraversando il cordone umanitario e rientrare in patria. Aggiustò lo specchetto retrovisore e si rese conto di non essere solo, un paio di occhi spaventati lo imploravano dal sedile posteriore, chiedevano di portarlo oltre le linee dei ribelli per salvargli la vita. Una decisione rapida, inserì la marcia e si avviò lentamente, la grande scritta “stampa” sui lati dell’auto l’avrebbe protetto ancora per un poco, percorse diversi chilometri, fino alla recizione dell’aereoporto, arrestò l’auto, non potè mai dimenticare lo sguardo di sollievo e di gratitudine dell’essere umano che scivolò fuori dall’automobile e sparì nella protezione della savana, dove i controrivoluzionari avevano trovato scampo…

Avevo raggiunto il cancello del parco, in un angolo c’era una specie di cavernetta naturale formata dalle pietre utilizzate in forma artistica per abbellire il recinto, vi posai dentro il pacchetto di patatine e il maggiolino, dissi addio al mio agognato pasto, ma almeno lui sarebbe stato in salvo e un giorno chissà, forse passando per le strade del mondo ci saremmo rivisti e avremmo ricordato quel giorno del destino.

Ma ora dovevo pensare a me stesso, l’acqua stava cadendo dal cielo con la forza di una cascata, mi resi conto che non sarei mai riuscito a raggiungere una pensilina dei mezzi pubblici, la mia vista si sforzò di spaziare a grandangolo, ma l’unico riparo che potevo scorgere era un metro quadrato sotto un balcone che sporgeva dal primo piano di una casa dall’altra parte della strada. Corsi e ci arrivai bagnandomi il meno possibile, avrei atteso che l’acquazzone si chetasse per tornare a casa oppure, perché no, ritornare sulla panchina a finire il libro.
Passarono cinque minuti e il temporale si trasformò in una tempesta, chicchi di pioggia talmente grossi e compatti che rimbalzavano sul selciato e si avventavano contro di me. Ben presto il riparo del balcone si dimostrò scarsamente utile e i miei vestiti si inumidirono.
Dalla strada ridotta a ruscello si avvicinava con fatica un motorino, finalmente raggiunse il mio riparo e una ragazza si tolse il casco e mi indicò il portone sotto il balcone che mi riparava, le rivolsi delle parole di scuse, gridando per superare il frastuono della pioggia, ma lei ricambiò con uno sguardo triste e mi rispose che dopo tutto era arrivata a casa, ma per me si prospettava ancora una lunga prigionia e mi faceva gli auguri, eppure le sue parole di incoraggiamento mi diedero la forza di sopportare ancora. Anche se la realtà era che mi trovavo abbandonato a subire la furia degli elementi.

…Era uscito in mare seppur la guardia costiera avesse lanciato l’avviso di rientro a tutti i natanti, ma la sua cocciutaggine nell’inseguire l’enorme squalo bianco che terrorizzava la costa non gli permetteva di accettare una qualsiasi tregua. In quel momento detestò il suo spirito di avventura, il suo battello rollava senza controllo tra le onde impazzite, le vele erano state strappate via dall’uragano, i segnali radio di mayday non ricevevano risposta. Nessuno sapeva neppure che non era agli ormeggi e la guardia costiera non sarebbe venuta a salvarlo, era solo in mezzo all’oceano in tempesta…

Ero fradicio, dalla testa ai piedi, non c’era riparo alcuno, stare sotto il balcone era esattamente come stare in mezzo al marciapiede, il temporale non dava segno di voler cessare, le rare automobili avanzavano a fatica lungo la strada divenuta come un fiume in piena, la speranza che passasse almeno un taxi era cancellata dall’amara considerazione che, anche se ne fosse passato uno, non mi avrebbe visto, la cortina dell’acqua era divenuta impenetrabile.

Un uomo correva a zig zag, una borsa in pelle in una mano, con l’altra tentava di proteggersi il viso sferzato dalla pioggia, inutilmente, scorse il mio riparo, con un ultimo sforzo si gettò letteralmente sotto il balcone, ansimava, si appoggiò al portone, stremato. Mi chiese se non disturbava, se potevo dividere quel tenue diaframma con lui, l’acqua gli colava dalla testa, tossiva, il pregiato abito principe di Galles aveva assorbito tanta di quell’umidità che difficilmente avrebbe potuto essere indossato di nuovo in quella stessa stagione. Mi soffermai su come ero conciato io, ma indossavo solo una camicia e un paio di pantaloni sportivi, non era un danno equivalente a quello del mio ospite. Era magro e pallido, frugava nervosamente nelle tasche fino a che trovò una pipa in ciliegio, se la mise alla bocca senza accenderla perché sarebbe stata un’impresa impossibile, ma il solo gesto parve calmarlo. Senza che lo sollecitassi, iniziò a parlarmi della sua giornata e della sua vita, era un avvocato, la sua auto si trovava nel garage a cento metri di distanza dal nostro riparo, aveva lavorato ad un caso difficile tutto il giorno e adesso non se la sentiva di affrontare ancora l’uragano, non aveva le forze per quegli ultimi cento metri allo scoperto.

…La giungla era un brulicare di proiettili traccianti, il tenente e il soldato erano gli unici superstiti del battaglione, i nemici erano loro alle costole, si resero conto che non potevano salvarsi entrambi, uno dei due avrebbe dovuto trincerarsi e fermare le orde avversarie, di modo che l’altro potesse fuggire e avvertire il comando dello sfondamento. L’ordine del tenente fu perentorio, sapeva che il soldato aveva una famiglia che l’aspettava in patria, scartò con un deciso cenno della mano le proteste dell’uomo, lo rassicurò sul fatto che avrebbe non solo rallentato il nemico, ma che sarebbe riuscito subito dopo a mettersi in salvo anche lui. Mentre si allontanava verso la salvezza, l’anima del soldato si dilaniava nel dolore per il sacrificio che il suo comandante stava per compiere per salvarlo…

Gli dissi all’improvviso che io potevo risolvere il suo problema, avrebbe potuto raggiungere il garage senza bagnarsi troppo ancora, mi osservò stupito, io estrassi il quotidiano dal sacchetto e glielo porsi, spiegandogli di metterselo a copertura della testa e poi di correre a più non posso fino al garage. Mi chiese se lo avevo almeno letto e io gli risposi di non preoccuparsi, non importava, quello che contava era che lui potesse raggiungere al più presto la sua auto e quindi la sua famiglia che lo attendeva per cena. Accettò con commozione, mi ringraziò stupito che il mondo potesse nuovamente riconciliarlo con un disegno di cui aveva perduto la memoria, nella giornaliera sopravvivenza tra le grettezze delle cause in tribunale. Si allontanò con il mio giornale sulla testa, aperto completamente per non bagnarsi, vedevo le parole che non avevo ancora letto e che non avrei mai più letto decomporsi e scomparire sotto l’aggressione delle sferzate di pioggia umida.

Ero davvero solo adesso, non più le parole d’incoraggiamento della ragazza in motorino, non più la solidarietà dello sventurato compagno di avventure che si era salvato grazie al mio giornale, non più le deliziose patatine, non più la visione del magico maggiolino dagli splendidi colori. Mi sentivo un tutt’uno con l’acqua che continuava a cadere inesorabile, proteggevo ancora solo il libro giallo riposto nel sacchetto, ma sarebbe durato ancora poco, visto che quando le raffiche erano più forti, lo alzavo di fronte al volto, ero talmente inzuppato che tremavo per i brividi di freddo che mi sguazzavano nelle ossa.

Smise così come era iniziato, non credevo ai miei sensi, stravolti dalla stanchezza, abbandonai con prudenza il povero riparo del balcone, pronto a correre indietro se fosse stato un falso allarme, ma solo gocce trattenute cadevano ormai dalle fronde degli alberi, dalle tettoie delle case. Alla cronaca della città sarebbe stato ricordato come il giorno del grande arcobaleno, le fotografie di una meraviglia raramente osservata continuarono ad essere pubblicate per qualche settimana ancora.

Nessun quotidiano però raccontò di come le strade di esseri tanto diversi, del mondo umano e del mondo animale, si ritrovarono ad incrociarsi e affratellarsi durante una temporanea pausa della vita tumultuosa e caotica della metropoli, in una tempesta d’estate.

…Terminò di battere la sceneggiatura sui tasti della consunta macchina da scrivere, il produttore era stato chiaro :”devi tirar fuori una trama da qualche goccia di pioggia”, e l’indomani voleva il copione sul tavolo…

Roberto Mahlab


   
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