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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 03/10/2005 :  11:39:19  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
Sulla terrazza

Sulla terrazza, Giuseppe ed Agata scherzavano e contemplavano le stelle. Quando era piccola, lei era stata innamorata segretamente di lui e ora ricordava quei tempi ridendo di se stessa. Però continuava a essere attratta da quel ragazzo muscoloso e aitante.
Agata somigliava molto a Maria, la fidanzata di Giuseppe, e questo l’aveva colpito. La ricordava giovanissima e diversa da ora. Era divenuta una bella ragazza, non molto alta, ma aggraziata e armoniosa nelle forme. Bruna, con i capelli appena ondulati. Non si truccava e risultava molto semplice anche nell’abbigliamento, che era comunque sobrio e di gusto.
“Sei fidanzata Agata?” aveva chiesto.
“No perché sono stata sempre innamorata di te e quindi non ho trovato nessuno che potesse sostituirti ah ah ah ah. Aveva riso allegramente,
ma come accade di solito, ridendo, aveva quasi detto la verità. Naturalmente in quegli anni aveva avuto varie storie e vari fidanzati, ma nessuno mai era durato a lungo.
“Tu sei legato a una ragazza, vero Giuseppe?”
“Sì, la mia ragazza abita in un altro paese e l’ho conosciuta mentre studiavo là. Non ci crederai, ma ti somiglia moltissimo.”
“Ma va’! Davvero? Dunque ti piaccio pure io ah ah ah ah.”
Lui stava pensando intanto a Maria. Alla sua poca sincerità verso di lui e si accorgeva che il ricordo di lei andava sfumando nella mente. Come se qualcosa, nel frattempo, gli avesse suggerito che M aria non teneva molto a lui e che avrebbe dovuto essere più onesta. Adesso aveva davanti Agata che gli ricordava la fidanzata lontana, ma nel contempo, destava maggiore stima, faceva sperare orizzonti migliori e insomma, lo metteva di buon umore.
“Dai su, Giuseppe, rientriamo. Tanto al solo pensiero della tua amata ti sei intristito.”
“No, però ho ricordato una cosa di tanti anni fa. Cioè a quando mio padre mi raccontò una vecchia leggenda pellerossa della tribù dei Kiowa, secondo cui esistevano delle tribù con sentimenti comuni, ma separate da montagne, che mai si sarebbero potute incontrare. Allora i loro spiriti protettori, per aiutarli, utilizzavano le forze della natura affinché arrivassero presso loro quelle migrazioni che avrebbero poi generato conoscenza e mutuo soccorso.”
“E con questo che vuoi dire? Scusa Giuseppe, ma non ti seguo nel ragionamento.”
“Vedi, secondo me, tutto non succede a caso. Ora, parrebbe che noi ci siamo rivisti per caso dopo tanto tempo. Invece tutto potrebbe essere
preordinato.”
I due presero a frequentarsi molto spesso. Avevano pensato di poter essere solo amici, escludendo ogni coinvolgimento sentimentale. Ma l’amicizia tra uomo e donna è una cosa difficile da realizzare. Una realtà bellissima se davvero si concretizza, però ardua da portare avanti. Le amicizie più salde sono quelle tra persone dello stesso sesso e raramente si formano tra sessi diversi. Tra l’altro, bisognerebbe tenere le amicizie in continuo restauro, quindi a quelle tra uomo e donna bisognerebbe fare un perenne lifting.
In poche parole, il sodalizio amichevole tra Giuseppe ed Agata era stato di breve durata. Ben presto l’antico amore della ragazza s’era riacceso e non poteva fare a meno di dimostrarglielo, pur non volendo. Arrossiva se lui le faceva qualche complimento scherzoso, si ritraeva se le prendeva la mano. Ma che amica era? Era innamorata e Giuseppe lo capiva e lo sapeva perfettamente. Ora, siccome il richiamo dei sensi e ogni femminile propensione amorosa non lasciano gli uomini indifferenti, anche il ragazzo aveva iniziato a subire il fascino di Agata e del suo amore. Tra l’altro gli ricordava la sua fidanzata lontana, la sua semplicità e modestia che sempre l’avevano coinvolto. Agata era più sincera, più spontanea, forse più graziosa. Lo amava da sempre e non gli aveva mai mentito. Rideva spesso e lo faceva divertire con il suo umorismo innato. Come resisterle? Allora anche Giuseppe aveva cominciato a fare il cascamorto, sin tanto che non erano caduti l’uno nella braccia dell’altro. Aveva inviato diverse e mail a Maria e le aveva fatto capire che le cose, tra loro, non potevano più durare, che s’era innamorato di un’altra. Dunque l’aveva lasciata.
La gioventù moderna agisce in questo modo, senza inibizioni e con la massima libertà di azioni e decisioni. E’ il periodo migliore della nostra vita. La nostra breve primavera, l’età delle follie e delle illusioni.
Tempo dopo, trovandosi sulla medesima terrazza, Agata gli parlò della sua vita di insegnante e gli narrò, tra l’altro, di avere avuto un’alunna di circa undici anni che una volta stava morendo al luna park: “La mia alunna e le sue amiche erano entrate nel ‘Tunnel della paura’. Deve la vita a un signore che è riuscito a soccorrerla. Difatti, sotto l’effetto di una crisi di panico, stava per rimanere soffocata. Camminava attraverso il sentiero degli orrori in cui si mescolavano effetti di luci psichedeliche con suoni raccapriccianti. Pare che il rumore assordante di una sirena l’abbia scossa terribilmente. Ha cominciato a gridare, a tremare e poi è caduta a terra. La sua lingua si è arrotolata impedendole di respirare. Un signore l’ha vista tra le luci a intermittenza e, senza esitare, le ha aperto la bocca e le ha tirato fuori la lingua. Poi l’ha trascinata via all’aperto. Pochi minuti dopo è arrivato un medico e ha somministrato un calmante.”
Giuseppe aveva detto saggiamente: “Le luci abbaglianti e i suoni assordanti rappresentano un’aggressione per l’organismo, però quella tua alunna dovrebbe fare esami approfonditi del sistema neurologico. Una reazione così violenta può essere stata causata, secondo me, dal riaffiorare repentino di un trauma precedente, qualcosa che era sepolto nel subconscio.”
“Hai ragione, infatti quella ragazza era ipersensibile ed emotiva anche a scuola.”
“Ho letto dei saggi di psicologia e viene spiegato che una reazione come quella che tu hai descritta, ricalca lo schema di una crisi epilettica e non può che avere radici neurologiche o psicologiche.”
Agata, di carattere gioviale e cordiale, gli aveva poi parlato d’altro: “Dimmi Giuseppe, è vero che hai parenti in Sicilia e ne conosci molte?”
“Cara Agnese, è un incanto! E’ un luogo che stimola la fantasia e lo spirito, con silenzi di posti incantati, antiche rocce vulcaniche dalle forme fantasiose, luce accecante di un sole particolare, profumi di erbe aromatiche!”
“Che meraviglia! E sai cosa sia il cous cous? L’hai mai mangiato? So che è un cibo di origine araba.”
“Sì, si mangia in Tunisia, Algeria, Marocco e in Sicilia dove l’hanno portato gli Arabi. Lo mangiai lì e mi piacque molto. Nei paesi arabi lo chiamano in vari modi: kseksou, cuscussù, sekso, burgul, tabouleh. Si può mangiare con il manzo, albicocche e mandorle; oppure con il pollo, patate e ceci. Ovvero esiste un’altra versione con agnello, salsa piccante e aglio. Però ricordo che ho preferito quello con il pesce, un pesce freschissimo e che sapeva di mare.”
Al pensiero dei tempi andati, ebbe un attacco di nostalgia e sospirò. Allora
Agata, cambiando ancora argomento, gli riferì un antico precetto cinese:
“Sai, un vecchio adagio della Cina dice che il denaro può comprare una casa, ma non un focolare; può comprare un letto, ma non il sonno;
può comprare un orologio, ma non il tempo; può comprare un libro, ma non la conoscenza; può comprare una posizione, ma non il rispetto; può pagare il dottore, ma non la salute; può comprare l’anima, ma non la vita;
può comprare il sesso, ma non l’amore.”
Il suo interlocutore le sorrise dolcemente rivelando l’amore che ormai nutriva per quella ragazza che sapeva rivelarsi colta e intelligente. Una persona affettuosa e sincera. Proprio quella che ci voleva per lui.
“Ehilà fanciulla! Ma tu sai cosa sia veramente l’amore?”
“Beh sì, credo di sì. Credo sia ciò che proviamo reciprocamente io e te.
D’altro canto cosa è mai la vita? E’ l’ombra d’un sogno fuggente. Siamo tutti di passaggio. Secondo me, la verità immortale è l’amore. Iddio è amore. Cioè intendo dire che la vita potrebbe essere solo un sogno, ma l’amore è un sentimento che va oltre la morte.”


Gabriella Cuscinà

   
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