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Roberto Mahlab
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Inserito - 20/10/2008 :  22:31:33  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Avevo deciso di diventare il più forte della palestra entro la fine dell'anno. Ci ero andato ogni sera. E avevo riempito la sacca per andarci anche quest'ultima sera di metà ottobre. Non mi ero reso conto che fossimo in quella data di ottobre, il mio orologio non ha la data. E anche se l'avesse, non sarebbe la data del calendario lunare. E da qui nacque il problema.

Qualcuno potrebbe osservare che andare in palestra ogni sera spossa, che il breve lasso di tempo non consente ai muscoli di sciogliersi, che saltare la pausa tra un allenamento e l'altro riduce la massa muscolare anzichè aumentarla. Tutto vero, ma per me non era così, mi sentivo euforico, salivo il predellino del tram con un salto, durante il tragitto non mi sedevo nonostante le panche fossero libere, in palestra feci quattro volte il percorso di step, addominali, flessioni sulle braccia e dorsali. L'istruttrice mi si avvicinò meravigliata per domandarmi che cosa stesse accadendo e io, senza rallentare un istante, mentre contavo mentalmente la centesima flessione, le sgranai le quotazioni di buona parte dei titoli dell'apertura a Wall Street, suppongo che non fosse quello che le interessava sapere, ma è un esercizio notevole contare contemporaneamente sia il numero di flessioni che il numero delle azioni cadute durante la giornata, senza una sola esitazione nella respirazione coordinata.

Finito l'allenamento, una doccia veloce e poi di corsa a riprendere il tram per tornare a casa, il corpo trasformato in macchina, gli arti inferiori simili a leve. Con una mano sola sollevo la pesante carrozzina che una coppia di turisti forestieri sta cercando faticosamente di far salire sugli scalini del mezzo pubblico. Poi mi siedo vicino a loro, sono simpatici, sono contenti, pianificano tante visite ai monumenti e ai ristoranti della metropoli. Il bimbo nella carrozzina dorme il sonno dei giusti. Il tram riprende il tragitto, salgono molte persone alle fermate, poi una frenata improvvisa a causa di una manovra imprevista di una automobile che si è inserita sulle rotaie. La coppia è presa alla sprovvista, la carrozzina si libera dalla presa delle mani dell'uomo e comincia a scivolare lungo il mezzo, prende velocità e si dirige verso la parete posteriore, come la carrozzina che nella sequenza della scalinata di Odessa nel film "la corazzata Potemkin" scende acquistando velocità e precipitando verso il vuoto, i passeggeri poco a poco prendono coscienza di quanto accade e le loro bocche assumono la forma del caratteristico ovale della sorpresa, i miei riflessi sono rapidi, un passo agile, la mia mano si allunga, arresto il moto della carrozzina con un lieve tocco sul tettuccio superiore, poi la riporto alla sicurezza dei genitori. Non posso non pensare che se qualcuno del mio branco fosse stato a Odessa nella medesima circostanza, avrebbe arrestato il moto della carrozzina e ci saremmo evitati decenni di comunismo.

I genitori mi ringraziano e lo fanno ancora quando li aiuto a far scendere la carrozzina alla loro fermata, il bambino si risveglia e i suoi occhi celesti da cucciolo mi squadrano, ma non dice nulla, non un lamento, il volto non mostra alcuna sorpresa, continua ad osservarmi fino a quando scompaio dalla sua vista perchè il tram riparte. O forse osservava le mie mani, anche io, per questo tentavo di nasconderle sotto la manica. Il branco ad Odessa, il cucciolo sul tram, scuoto la testa per schiarirmi le idee, non comprendo perchè mi vengono in mente quei termini.

Mi risiedo, una donna dallo sguardo stanco e scavato è seduta di fronte a me, noto che mi osserva in volto, poi chiude gli occhi, il volto esprime depressione, come se ne avesse viste così tante che nulla più la sorprendeva. Sollevai la manica verso il mio viso, una barba decisamente più lunga di quella che normalmente rado al mattino, e mi ero rasato quel mattino. Sento attrazione verso il cielo che si intravede dal finestrone del tram, la luna piena, la notte talmente luminosa che si intravedono i mari scuri dell'astro, poche piccole nuvole dalla forma diradata la attorniano, un panorama sinistro, desolato. Il mio animo si ribella, è come se ne fosse risucchiato. Mi tira. La pelle del viso. Digrigno i denti, la donna dall'aria stanca mi intravede e i suoi lineamenti passano dalla spossatezza all'orrore, poi richiude gli occhi e li tiene chiusi a forza, mi accorgo che sta tremando. Fatico a tenere la bocca chiusa, avverto la dentatura che si spinge in avanti, il mio naso emette uno sbuffo, il respiro si fa affannoso, gli occhi mettono a fuoco tutti i passeggeri del tram, alcuni evitano il mio sguardo facendosi i fatti loro, altri alzano a malapena un sopracciglio. La direzione del tram rimane parallela alla posizione della luna piena.

Il calendario, comprendo all'improvviso, mi ero dimenticato che in certi giorni non dovevo uscire, per me, per gli altri. I vestiti si stanno lacerando, cerco di coprire il suono di rottura canticchiando, ne esce quasi un ringhio. Non c'è più tempo, la porta del mezzo si apre alla fermata, salto giù a quattro zampe, la sacca della palestra tra i grossi denti. Sono del tutto trasformato ormai, mi nascondo dietro un albero, fino a che il tram non riparte, gli occhi della donna stanca sono spalancati e incollati al vetro, la smorfia del suo volto indica che sta per urlare. Fà freddo, ma lo spesso pelo mi protegge. Scivolo con agilità nel buio della notte, mi sposto tra tronco e tronco per evitare l'incontro con i passanti. Appena il semaforo diventa verde spicco un salto di otto metri fino alla carreggiata opposta, atterro soffice, le unghie delle zampe si aggrappano al tronco della quercia le cui fronde arrivano fino balcone del mio appartamento, salgo leggero sul ramo orizzontale, con sullo sfondo sempre la luna. La guardo e spicco il volo. Sono sul terrazzino. Mi volto, ululo. Il mio vicino esce sul suo balcone, la moglie gli ha chiesto di andare a vedere se quel suono è un allarme, l'uomo osserva la strada, poi per caso alza lo sguardo verso il mio appartamento, quanto vede deve gelargli il sangue nelle vene, torna all'interno del salotto, si siede con pesantezza sul divano, la moglie gli chiede di che cosa si fosse trattato, senza spostare l'attenzione dalla telenovela sullo schermo, lui non risponde, scuote la testa, come a togliersi di dosso una sensazione inconcepiblile.

Mi abbandono sulle piastrelle del mio terrazzino, gli occhi seguono il moto della luna, dopo non mi ricordo più di nulla, mi devo essere addormentato. Al mattino mi risveglio infreddolito, mi tocco il viso con la mano, mi accorgo che non è più una zampa, è cresciuta la barba, ma è quella normale di un giorno. I vestiti sono ridotti a brandelli, di nuovo, come il mese scorso, devo stare più attento. Il titolare del negozio di abbigliamento mi accoglie con uno sguardo sempre più dubbioso, mi dice di essere contento di rivedermi ogni mese, mi chiedo se non nutra dei sospetti. Incontro il vicino di scala nell'ascensore, un saluto educato, niente di più, noto che mi osserva di sottecchi e che, quando lo guardo anche io, distoglie lo sguardo nervosamente. Quasi quasi lo seguo mentre esce a portar fuori il sacco dell'immondizia, la sera successiva, gli arrivo alle spalle in silenzio e gli metto una mano sulla spalla. Così si volta, vede che sono solo io, normale, sospira di sollievo e si mette a ridere delle sue paure.

Spero solo che non mi capiti di rassicurarlo durante una notte di luna piena. Devo ricordarmi, in quei giorni, di non uscire.

Roberto Mahlab

   
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