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Capinera
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Inserito - 19/12/2007 :  19:03:33  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Capinera Invia un Messaggio Privato a Capinera
La strada da percorrere era sempre la stessa; tutti i giorni la solita via che nessun motivo poteva evitare perché era l’unica via che lo conduceva sul luogo di lavoro.
E anche il lavoro da qualche tempo era diventato tremendamente monotono, tutti i giorni le solite cose noiose e sempre le solite pratiche da dover sbrigare con la massima fretta. Non accadeva mai niente di nuovo e tantomeno di piacevole, tutto sempre uguale un giorno dopo l’altro.
Tutto ciò che faceva gli appariva quasi inutile, nessuno che entrasse mai nel suo ufficio a verificare il suo operato, nessuno che riscontrasse con lui ciò che aveva fatto. Ogni giorno trovava sulla scrivania pile di carte da mettere in ordine o registri da controllare e trascrivere con un biglietto spillato con scritto sopra “Urgente”; oppure “Molto urgente”, il tutto senza che mai vi fosse scritta una sigla e tantomeno, una firma.
Da quando lo avevano trasferito in quella piccola stanza in fondo al corridoio, nessuno sembrava più curarsi di lui. Così stando le cose era svanito anche il sogno di quella tanto attesa promozione che già da tempo gli era stata promessa. Il vecchio palazzo del Tribunale non gli era mai sembrato così brutto, come il suo ufficio stracolmo di cose, non gli era apparso mai tanto in disordine. Tutto ciò che riusciva a vedere destava in lui solo un profondo malessere. Nessuno che si affacciasse mai da quella porta per scambiare un saluto o una sola parola, nessuno che sentisse il bisogno di fare o di ricevere un pur minimo sorriso.
Persino quei pochi colleghi che prima di quello spostamento, di tanto in tanto lo invitavano a fare colazione, neppure loro si ricordavano mai che infondo a quel corridoio buio esisteva lui. Anche l’anziana signora impiegata al centralino telefonico solitamente estroversa e sorridente, al mattino, quando Ottavio dopo aver timbrato il cartellino all’orologio posto vicino a lei le dava il buongiorno, non si curava minimamente di rispondere al suo saluto.
Il povero Ottavio si stava mettendo nella mente un sacco di strani pensieri, i dubbi e le perplessità si moltiplicavano e nessuno che lo aiutasse a capire.
Ogni giorno osservandosi allo specchio si scorgeva sempre più pallido e magro, si trovava imbruttito e persino invecchiato.
“Ma cosa mi sta capitando?”
Si domandava sempre più spesso e sempre più preoccupato.
“Proprio non riesco a capire. Più mi osservo e più mi sembra di vedere un’altra persona”
Sempre più magro e sciupato, il volto scarno e gli occhi che sembrando più grandi, avevano come una continua espressione di stupore e di spavento. Non si piaceva più; e pian piano addirittura prese quasi a detestare quel suo viso. Anche il nome gli era diventato antipatico; e pensare che, anche se qualche volta era stato preso in giro, mai prima di allora si era preoccupato di quel nome. Adesso invece non gli andava più nemmeno di sentirlo, talune volte provava a ripeterlo sottovoce poi alzava leggermente il tono, ma più lo riudiva più lo detestava. Quando fu trasferito in quella stanza, sulla porta avevano appeso una piccola targhetta con scritto sopra -Rag. Rossi Ottavio-. Il suo nome era diventato per lui così fastidioso che un mattino, appena giunto in ufficio cancellò con rabbia parte della targhetta lasciando scritto soltanto -Rag. Rossi-, ed anche se era ben consapevole che in quel Tribunale di Rag.Rossi non vi fosse solo lui, era ugualmente certo che nessuno mai, avrebbe sbagliato porta.
Anche se non era bello da fare invidia, Ottavio, un po’ per quella sua evidente timidezza che lo faceva muovere con una certa precarietà, un po’ per i suoi modi gentili e per la sua infinita generosità, era sempre riuscito ad incontrare pareri favorevoli. Era sempre stato soddisfatto di quanto gli poteva capitare, anche se mai si era messo a fare grandi riscontri sulla sua persona o sul suo operato. E adesso invece si stava tormentando per tutto quanto lo riguardava e per ogni cosa che mai fino a quel momento lo aveva fatto dubitare di se stesso. Anche quel lieve difetto alla gamba destra che lo induceva a camminare leggermente claudicante, non era stato per lui un vero problema. Lui era nato così e forse non si era nemmeno mai chiesto come si sarebbe trovato se la natura con lui, fosse stata diversa. Mai che si fosse sentito a disagio e tantomeno vergognoso e adesso invece, non vedeva l’ora di mettersi seduto in modo che nessuno lo potesse osservare.

Continuava a spolverare il telefono sempre con la speranza che almeno lui si decidesse a squillare. Certe volte sperando si trattasse di un guasto, alzava piano pianola cornetta desiderando il silenzio più assoluto, ed invece il solito bip-bip prolungato a significare che il telefono era perfettamente funzionante.
Non mangiava quasi più e gli erano caduti quasi tutti i capelli. Quando si decise ad andare dal medico il povero Ottavio ormai era ridotto pelle e ossa.
Il medico dopo avergli fatto una visita molto accurata lo consigliò di reagire e di non preoccuparsi troppo delle cose che gli accadevano attorno, infine gli prescrisse una cura dicendo anche di farsi rivedere dopo un mese.
“Ecco, queste sono le medicine.”
“Queste, queste sono le medicine?”
Domandò Ottavio quasi balbettando nel prendere la ricetta dalle mani del medico. E visto che Ottavio continuava ad osservarlo con quello strano sguardo tra l’assente e l’inebetico:
“Si svaghi, faccia delle belle passeggiate ma nel contempo continui ad andare al lavoro. Ha capito? E’ molto importante che si presenti al suo lavoro ogni mattina, la farà sentire utile. Vedrà il lavoro il lavoro, l’aiuterà molto!”
Quando Ottavio uscì da quello studio si sentì ancora più disperato, avrebbe voluto piangere ma anche le lacrime sembravano essersi esaurite.
Se ne avesse avuti ancora si sarebbe strappato volentieri i capelli, ma niente di tutto quello che stava desiderando,sembrava potersi realizzare. Non c’era più niente di simile all’Ottavio di pochi mesi prima, era trasformato così tanto da essere veramente irriconoscibile.

Un po’ per la cura che stava facendo, un po’ per le notti che trascorrevano senza che lui fosse capace di dormire e per la debolezza che di giorno in giorno stava aumentando, Ottavio preso da un forte sonno si era addormentato profondamente con la testa appoggiata sulla scrivania, il viso pian piano scivolando, era andato ad appiccicarsi proprio contro un grosso pennarello rosso che lui aveva lasciato aperto senza cura. La porta si spalancò di colpo proprio mentre il telefono aveva preso a squillare.
“Tanti auguri a te, tanti auguri a te….”
Un coro di voci aveva preso a cantare, poi, di colpo, un silenzio di tomba.
“Ottavio…Ottavio… ma dove si sarà cacciato?”
“Luigi, tieni tu la torta.”
“Marco, appoggia la bottiglia sul tavolo.”
Quando Ottavio alzò la testa dalla scrivania, lo spettacolo che si stava presentando a coloro che erano piombati nella stanza, non era certo dei più edificanti. Il volto tutto imbrattato di rosso, due grandi occhi che dalla prima espressione assonnata si trasformarono in due grosse macchie scure che esprimevano stupore ed angoscia. Quell’ometto spaventato e tutto in disordine, fece scoppiare il gruppo in una fragorosa risata. Ottavio tentò di dire qualcosa, ma nessuno prestò ascolto alle sue parole.
“Ma dove diavolo si sarà cacciato.”
Se ne stavano andando, cercò di raggiungerli nel corridoio mentre con un filo di voce cercava di dire:
“Sono io Otta…”
Inutile continuare. Gli altri incuranti di lui si stavano allontanando.
“Ma guarda un po’. Sono mesi che non lo vediamo per ordine del capo.”
Esclamò Luigi.
“Già, il capo.. con quella sua strana idea che era meglio lasciarlo da solo per un certo periodo in modo da poter meglio verificare e analizzare, il suo operato.”
Il telefono continuava a squillare mentre Ottavio a piccoli passi cercava di raggiungere il gruppo che si stava allontanando sempre più.
“Si, proprio un vero peccato che non ci sia. Proprio oggi che noi eravamo venuti a fargli gli auguri e il capo doveva telefonargli per comunicare la sua avvenuta promozione”
Concluse Andrea.
“Ma dove sarà andato?”
Domandò nuovamente Marco.
“Sono io Ottavio. Sono io Ottavio…”
Continuava a ripetere l’ometto magro magro, calvo e con il viso tutto tinto di rosso.
Rientrò nella stanza quasi di corsa e tutto trafelato, ma appena giunto sul posto il telefono cessò di squillare.
Si guardò attorno con aria smarrita e colma di sgomento, poi si ricordò di qualcosa, si avvicinò alla parete dove vi era appeso un grande calendario e:
”Si certo, oggi è il mio compleanno, oggi è il mio compleanno…”
Rideva e piangeva mentre con la voce spezzata continuava a ripetere “Ma sono io Ottavio, sono io Ottavio…”

Capinera

   
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