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 La piana dei cavalli bradi
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Paolo Talanca
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Inserito - 18/11/2003 :  23:09:52  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Paolo Talanca  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Paolo Talanca
Questa l'avevo dimenticata... erano 4... ancora Rob... no... lasciam

Io penso che se una cosa si deve fare la si deve fare e basta, a volte non abbiamo scelte. Se abbiamo fatto del male a qualcuno dobbiamo allontanarci e cercare di capire se è il caso di continuare la storia. Se siamo stati trattati male dobbiamo allontanarci e lasciare capire all'altro/a. Ma cosa è poi il "cercare di capire"? E' il capirsi, prima di tutto. Non è facile trovarsi. "La piana dei cavalli bradi" è il raggiungimento del potere di capirsi, il luogo di pace dove il nostro essere corre e si sfoga in un prato di verità. Bradi e quindi pieni d'istinto e di verità.

LA PIANA DEI CAVALLI BRADI
testo e musica Claudio Baglioni
Batteria Manu Katche; Basso Pino Palladino; Tastiere Celso Valli; Percussioni Danny Cummings; Chitarre Paolo Gianolio; Orchestra d'archi, oboe e fagotto dell'Unione Musicisti di Roma diretta da Celso Valli.

Nervi lisci di cavalli
a sfaticare sere
a calmarci di sudore
in fiaccole di gelo
inutilita' di foglie
stupide e leggere
nubi di bucato
sugli stenditoi del cielo

come e' duro essere nuovi
avere un'altra storia
io ti amai con noncuranza
senza mai uno scopo
i ricordi sono acqua
e l'acqua e' memoria
il dolore e' sforzo e vino
uccide il giorno dopo

vento di girandole
in mezzo alle immondizie
qui fa freddo cosi' tanto
da cercarti adesso
e ad un certo punto andare
e non dar piu' notizie
solo in compagnia di se'
e chiedere il permesso
per essere te stesso

mai
non odiarmi mai
se mi allontanai
perche' potessi appartenerti

mai
non ti ho vissuto mai
e ti rinunciai
gia' rassegnato a non saperti

quanti addii che immaginai
facchini e treni
a sbuffare intorno
e tavoli di avanzi
in un viavai di camerieri
un fiammingo sole
sta per inchiodare il giorno
rondini croci d'autunno
infilano pensieri
guizzi in occhi di cavalli
laghi nero fondo
anime di ombre
nell'attesa delle stalle
e' un'immensa sala in cui aspettiamo
questo mondo
il futuro e' qui davanti
o gia' dietro le spalle

chiudero' la porta
a far star bene la tua assenza
ci sara' fedele sempre
il cane del rimorso
i cavalli origliano
quest'aria di impazienza
a meta' della speranza
io cambiai percorso
e poi non ho piu' corso

mai
non odiarmi mai
io mi allontanai
perche' potessi raccontarti

mai
non ti ho vissuto mai
e ti rinunciai gia' rassegnato a ripensarti

sudai di sud
di vento diventai

e andai
con la voce andai
coi capelli andai
lungo sentieri di tornadi

e andai
con il cuore andai
fino a che trovai
la piana dei cavalli bradi

scalpitai
scartai
m'impennai
scalciai
galoppai
saltai
m'involai

All'inizio (lo so che state pensando: ti pareva che questo non iniziava) i nervi dei cavalli "sfaticano sere", quindi i cavalli sono insofferenti e siccome rappresentano il suo essere è lui a sentirsi insofferente. Le "fiaccole di gelo" rappresentano, con un bellissimo ossimoro, la sensazione di disagio che calmano di un sudore freddo. Poi una serie di immagini di negatività che lo inducono a partire per trovare il vero se stesso ("inutilità di foglie", "nubi di bucato" come lenzuola piene d'acqua e gocciolanti). Sente già la difficoltà di andare via, di fuggire, di "essere nuovi". Riconosce le sue colpe, è per questo che vuole essere nuovo e vedere se davvero prova qualcosa per l'amata. Ma non rinnega i ricordi. Nei ricordi infondo lui pensava di amarla, non sapeva di poterle far del male. E' il dolore presente che lo lascia interdetto. E' l'aver capito che forse non la ama che gli provoca dolore. Sente però che c'è una via d'uscita, semplicemente perché conosce la grandezza della verità, come "vento di girandole", verità che ora però è lontana cioè "in mezzo alle ommondizie". In quelle immondizie "fa freddo così tanto da cercarti adesso", ma quel cercarti è riflessivo, come se in quei casi fa tanto freddo che l'unica soluzione è cercarsi, cercare se stesso. Ad un certo punto si deve andar via senza dire nulla a nessuno, di soppiatto, senza dire nulla ai cari per paura di ripensarci, senza dare notizie di sè, andare a "chiedere permesso per essere te stesso", in cerca solo del suo vero essere. Alla sua amata chide solo di non odiarlo, chiede solo di non serbare rancore perché lui si sta cercando per ridarsi vero e nuovo solo a lei, oppure lasciarla e non mentirle più. Dopo il ritornello l'attacco delle strofe è pieno di immagini di viaggio. Lui immagina perciò è possibile anche che il viaggio sia solo interiore e l'allontanamanto da lei sia solo del pensiero, comunque si tratta di un durissimo viaggio interiore. Bellissima l'immagine delle stazioni piene di "facchini e treni a sbuffare intorno" come "tavoli di avanzi in un viavai di camerieri", cioé da un lato le cose che in un viaggio portiamo con noi (le valigie portate dai facchini), dall'altro gli "avanzi" come passioni o sensazioni e sentimanti che lasciamo nei posti visitati, che poi si trasformeranno in ricordi. E' magnifico (a mio parere) come Baglioni rappresenti queste due cose tramite immancabili situazioni del viaggio (cioé l'imparare tramite il viaggio e il lasciare un pezzo di noi in ogni posto). Le immagini successive cominciano a donare al cantautore degli sprazzi di assoluto. Quell'istinto che lui cerca nel cavallo (come detto simbolo del suo essere) affiora per la prima volta con i tramonti del "fiammingo sole" o la voglia di migrare delle rondini in autunno che "infilano i pensieri" di chi le guarda. Questi sprazzi d'assoluto o gocce brade si perdono come guizzi in un lago scuro, rappresentato dall'addomesticamento dei cavalli ("ombre nell'attesa delle stalle"). Questo lago col fondo nero (le stalle e quindi l'addomesticamento) in cui si perdono i guizzi bradi rappresenta la realtà che circonda l'autore, realtà che con la sua banalità soffoca l'istinto, il selvaggio ed il brado che c'è nel cavallo, il suo essere libero. La stalla è simbolo di morte d'istinto e di libertà per il cavallo, come lo è la realtà per l'essere dell'autore. Questa stalla è un'immensa e (per molti, per chi non si decide a partire ed a cercare il suo vero essere) eterna sala dove aspettiamo il mondo (dove soffochiamo l'originalità dell'istinto nella banalità della realtà, come i guizzi d'istinto del cavallo nel lago scuro rappresentato dalla stalla), un futuro migliore che, se si continua ad aspettare nella sala, non è diverso dal passato e quindi lo ritroviamo "già dietro le spalle". Ecco perché lui si decide a "chiudere la porta a far star bene la tua assenza", anche se si andrà inevitabilmente incontro al "cane del rimorso". A questo punto i cavalli, prima domestici e nella stalla, intuiscono l'aria di cambiamento, "origliano quest'aria d'impazienza", il suo essere, cioé, capisce che è indispensabile trovarsi e finisce di sperare gratuitamente, ponendosi in una situazione di stasi data dal fatto di aver trovato ciò che cercava. Cambiando il percorso della speranza, si è dato da fare e non ha più corso, ha trovato la pace, il suo vero essere. Viaggiando, correndo per cercarsi, sudò di sud, di un calore che scaldò il suo essere e diventò di vento (bellissime parole assonanti che donano alla canzone un'atmosfera rarefatta e di passaggio come dal conscio dell'ordine della realtà al caos estatico del subconscio e dell'istinto, del brado). Andò con tutti i suoi sensi lungo sentieri contorti, perché, come si è detto, il viaggio anche se interiore è molto tortuoso. Andò fino a trovare la piana dei cavalli bradi, il luogo dove poter essere se stesso, la libertà dell'essere, descrivendo poi alla fina tutte le peripezie dei cavalli che sottolineano la libertà trovata dal suo animo: la sua verità


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So che si può vivere non esistendo, emersi da una quinta, da un fondale, da un fuori che non c'è se mai nessuno l'ha veduto

   
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