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 LA GIOIA DI UN LONTANO MATTINO
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zanin roberto
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Italy
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Inserito - 23/10/2009 :  21:09:22  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a zanin roberto
Il pallone era un gioco che appassionava e ci prendeva tutto l'entusiasmo possibile di ragazzo, noi ci trovavamo tutti i pomeriggi a fare la partitella in quel campo sportivo di via Rogge, dove gli alti platani proiettavano la loro ombra conica, in un terreno duro,sassoso,a zolle che non lasciava mai un rimbalzo uguale. Era il nostro tempio, l'arena di quell'iniziazione che ti consentiva rispetto e considerazione da parte dei compagni, chi se la cavava con i piedi veniva perdonato se usava poco la testa, in una specie di riscatto sociale, in anni in cui evadere dalla quotidianità era cercare di stupire nel mondo dello sport,accessibile.
I quattordici anni ci vedevano schierati in categorie giovanili che venivano seguite la domenica mattina da molti tifosi in paese e anche nelle vicine trasferte del mandamento. Ovviamente l'appuntamento con la partita era per ognuno di noi il massimo delle aspirazioni personali e le ore che precedevano l'incontro di calcio erano tese e a volte nervose, consapevoli che gli avversari ci avrebbero dato filo da torcere. Tutta l'organizzazione della società SPAL CORDOVADO si basava sul volontariato di appassionati che dedicavano il loro tempo con entusiasmo ai nostri allenamenti, ai nostri schemi, alla stesura della formazione ufficiale, al supporto atletico e sanitario, a volte anche psicologico se la fortuna ci assisteva !
Prendevo personalmente molto sul serio tutta la struttura, convinto che eravamo li per imparare e per dare il massimo dell'impegno e della buona volontà ma non tutti sentivano questo richiamo,alcuni miei compagni si sentivano indispensabili e a volte non seguivano i dettami della squadra, ma comunque non mi disturbava più di tanto, erano solo episodi sporadici e comunque rientravano con facilità. Gli spogliatoi erano, nel periodo invernale, riscaldati con una stufa a legna che il vecchio magazziniere ci faceva trovare accesa e le panche in legno dove ci cambiavamo avevano il cambio, con la maglietta gialla e banda rossa, i pantaloncini corti bianchi e i calzattoni che ripetevano i colori sociali della SPAL. Il sorriso ci illuminava il volto, come quando a Natale, sotto l'albero trovavi la frutta, regalo di Babbo Natale, con ricercata scioltezza, senza far trasparire l'emozione, ognuno di noi, prendeva in mano la maglietta assegnata, controllava il numero sulla schiena quindi veloce la indossava mentre il magazziniere iniziava a gridare che era troppo presto per cambiarci ma non capiva che indossare quella maglia era un'atto liberatorio che restituiva tutte le endorfine accumulate nell'attesa. Oh ... come descrivere la soddisfazione di essere protagonista, con il privilegio di portare i colori del tuo paese sulla maglietta che come un'armatura ti trasformava in gladiatore pronto a scendere nell'arena a qualsiasi costo.
Uscivamo e ci gettavamo a calciare il pallone in quel rituale del riscaldamento che era una passerella tra il pubblico e con orgoglio ci rincuorava il vedere il gradimento della nostra tifoseria, composta da familiari, amici e addetti ai lavori che scrutavano oltre la rete che delimitava il bordo del campo di gioco, e ci indicavano per uno stop ben riuscito o una "fucilata" sui legni della porta, con commenti sempre coloriti, a volte al limite della volgarità ma mai cattivi. Quel giorno l'allenatore mi aveva richiesto dalla squadra degli Allievi a quella superiore degli Juniores che avevano un paio di giocatori squalificati. Ero al settimo cielo. Quella era una squadra che primeggiava, era forte, prima in classifica, con un organico davvero di prima scelta. Avevo una paura grande di non essere all'altezza, di rovinarmi il buon nome che mi ero costruito fin li, con straordinario agonismo e una discreta tecnica. Quando l'arbitro entrò nello spogliatoio per l'appello, nella sua tenuta nera, severo e chiuso, mi diedi un contegno maturo, cercai di essere perfetto nella condotta, sentivo un vocio sommesso all'angolo tra il Presidente della Società e l'allenatore che mi dava una sensazione grave, poi un fischio lacerante ci segnalò che l'inizio era prossimo. Seguii i miei compagni che si schieravano al centro del campo di gioco e iniziò la partita con un gran incitamento del pubblico, mi schierai all'ala sinistra e subito l'allenatore mi chiamò per raccomandarmi di stare largo, di non convergere al centro, ma il pallone che stazionava per la maggior parte del tempo, nella fascia centrale del campo, era come il miele per l'orso, mi richiamava accentrandomi e non coprivo cosi la mia fascia assegnata. Mi richiamò con poche parole, deciso e intransigente, mi incuteva soggezione e io invece avevo bisogno di incoraggiamenti, aspettavo che articolasse un discorso benevolo ma il suo essere era di persona schiva e riservata, non potevo sperare di più, abbedii e mi tenni per parecchio tempo, fuori dalla mischia come mi era stato ordinato. Mi diceva: "vedrai che il pallone buono arriverà... e tu devi essere pronto, pazienza, pazienza!"
Il centravanti Claudio soprannominato "Biso" seminava lo scompiglio nella difesa avversaria, si susseguivano le occasioni per passare in vantaggio, il sole del mattino terso, ora si faceva sentire, l'aria frizzante e pulita ci spazzolava i capelli, la nostra mezz'ala Giorgio soprannominato "Tubo" continuava a ricamare drippling, a scavalcare gli avversari, a dare spettacolo ma senza concretizzare, il pubblico apprezzava il fantasista che regalava giocate di classe.I miei scatti veloci si susseguivano senza nessun riscontro tattico, poche volte riuscii a toccare il pallone, il sudore mi rigava le tempie, la gola era secca, mi sentivo inutilizzato e senza l'opportumità di trovare gloria, senza la possibilità di scaricare la mia generosità d'impegno che mi caratterizzava. I volti dei miei compaesani tra il pubblico erano divertiti , non capivano il mio tormento e quando incrociavo lo sguardo sfuggevole dell'allenatore vi coglievo un potenziale rimprovero. Il primo tempo stava finendo, il "Tubo" Giorgio si fece dare la palla dal nostro terzino sinistro, venne subito marcato stretto ma con un paio di "veroniche" si liberò del suo controllore, saltellava veloce sulla fascia opposta alla mia, superò un secondo centrocampista che lo colpi senza riuscire a stenderlo, che provocò un boato di dissenso verso l'arbitro colpevole di non essere intervenuto a sua difesa. Si avvicinò all'area avversaria ma subito gli si fecero incontro due difensori pronti a tutto pur di fermarlo, mi chiedevo perchè non la passasse, forse cominciava ad essere stanto, aveva bisogno d'aiuto, la forte pressione lo fece deviare verso il fondo del campo, vicino al corner, lontano dalla mia posizione, giocherellò, passò un avversario, l'allenatore di colpo, mi gridò con veemenza e gravità : "vai, vai, corri dritto verso il fondo ! " - " Corri il più veloce possibile, vai,vai ora ... ora!" - Io non capivo cosa avesse in testa ma quasi senza esitazione scattai con una propulsione che mi serviva per correre i cento metri nella squadra di atletica, esplosiva, lasciai sul posto il mio marcatore che senza alcuna spiegazione logica mi vedeva sparire lontano. Il "Tubo" alzò finalmente la testa, guardò lo scacchiere e con un sorriso irriverente e cialtrone calciò con forza ma con estrema maestria un cross a sorvolare tutta l'area con effetto a uscire, io mi alzai in alto con una spinta poderosa, dovuta alla velocità acquisita, con quel salto mi ritrovai alto, sopra tutti, sospeso a pochi metri dalla porta, solo, senza ostacoli, nella incredula sorpresa di tutti, colpii il pallone con la testa, leggero e felpato come solo Giorgio sapeva servire. Il portiere avversario vide una fiondata insaccarsi alle sue spalle ed io sullo slancio incontrollabile finire incastrato sulla rete, mi prese una gioia mai provata prima, gridai con tutta l'aria dei polmoni: " gooooooooool !....." - scaricando la tensione accumulata, impazzivo dall'emozione, ero riuscito a fare gol, avevo firmato la mia presenza in quella gara. Mi feci abbracciare dai miei compagni e quando il "Tubo" mi battè una mano sulla spalla, aveva ancora quel suo ghigno da "sfottò" come a dire "tutto nella norma".
Ero al settimo cielo e ritornando verso il centro guardai l'allenatore, timido e impacciato, avevo voglia di abbracciarlo ma non ne avevo il coraggio, mi avvicinai con la gioia che usciva da ogni mio poro e lui impassibile quasi insensibile mi disse: " bravo, bravo ... hai visto che avevo ragione? Su,su, coraggio, ora continuiamo cosi!" - Avevo poca esperienza, ero un ragazzino ma a distanza di quaranta anni, ripensandoci ho valutato che quell'uomo mi aveva insegnato l'uniltà, la compostezza, la serietà, la dignità dello sport, mi aveva fatto capire che c'è il tempo dell'imparare senza riserve e c'è il tempo della maturità.
Le foglie secche di platano scricchiolavano al battere del vento, il suono delle campane non lontane scandivano il mezzogiorno, il vapore profumato di sapone che usciva dalle docce si perdeva nel mattino limpido, uscivo dallo spogliatoio lievitato da terra, con il cuore pieno di contentezza, con la grande felicità di aver vissuto il sogno d'un ragazzo che sperava di avere tante emozioni belle da sperimentare, con il rispetto di chi ha più esperienza e vede dove il nostro sguardo si perde. Quel tempo è passato, il campo di calcio è ora una autorimessa per autobus, i platani non ci sono più, lo spogliatoio si è trasformato ma nei cuori dei miei compagni e nel mio c'è un ricordo di un periodo esaltante, quello della spensierata gioventù!

zanin roberto

   
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