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 Vita che passa o vita che cambia?
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Elena Fiorentini
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Vita che passa o vita che cambia?


Mario Fiorillo


Per uno come me, abituato nella sua silenziosa follia ad attribuire un'anima ai motori, a parlare con le strade, a gioire ed emozionarsi, a intristirsi o divenire cupo per un tratto di strada, ogni modifica del proprio "equilibrio motoristico" è un po' una cosa da metabolizzare.
Per anni l'equilibrio è stato al rialzo, un po' in parallelo con l'energia degli anni, con i risultati del lavoro, con quella pienezza di sé che nell'alternarsi delle stagioni ti fa sentire anche un po' padreterno, ho sempre riversato nel mezzo meccanico il mio stato d'animo.
E - pazzia delle pazzie - "loro", i mezzi, mi hanno sempre ricambiato.
Cilindri, centimetri cubi, strada.....una bulimia di asfalto che si misura in milioni di chilometri.
E una distanza incolmabile, in perenne aumento, con le sere di tanti anni fa.
Quelle in cui un bambino che non parlava mai, sempre taciturno e con la matita in mano, doveva dire le preghierine alla madoninna sul comò.
Per cena sempre minestra, che costava poco, e tre coperte perché il riscaldamento c'era solo il necessario.
E a fianco al quadretto con la santa donna un modellino rosso, lo ricordo ancora, un'Alfa sportiva che aveva addirittura (!) le portiere che si aprivano.
Una preghiera lassù, chissà se mai ci è arrivata, e un piccolo sogno da portarsi nel sonno : un giorno sarò grande, e quella sarà il mio cavallo per tutte le conquiste che farò nella vita.
Lo diceva, ci credeva, lo pensava.
Se lo ripeteva quando la mattina faceva freddo e batteva i denti attraversando i campi per andare a scuola, con la cartella più vecchia di tutte, ereditata d'obbligo da qualche parente, e le toppe sulle toppe sulle toppe di vestiti sempre più sottili e lisi.
Nessun cappotto perché costava troppo, ma la macchinina rossa in tasca a farsi stringere dalle mani ghiacciate.
Messa a fianco di un'idea, era il suo silenzioso altare, la sua astronave, la sua pistola, il suo vestito da supereroe.
Gli altri avevano le biciclette da cross, lui non poteva ma dentro di sé pensava "vi batterò tutti quando salirò sulla mia super macchinina!"
Le vedeva le strade, gli sembrava già di conoscerle tutte, si arrampicava su un ciliegio e tra i rami guardava il suo piccolo e al tempo stesso infinito orizzonte, convincendosi che lui sarebbe andato più in là.
Non diceva una parola, nemmeno uno psicologo da cui lo portavano riusciva a fargli tirare fuori un pensiero.
Ma sui fogli colorati c'erano sempre quattro ruote, una scia di fumo e....una macchinina rossa.
Hanno tagliato il ciliegio perché era troppo vecchio.
La nonna che mi doveva prendere di peso e distogliermi dal mio sognare davanti al comò la sera non c'è più.
Non ci sono più matite colorate ma silenziose tastiere a far uscire i miei pensieri.
Non ho sparato a nessuno, non sono atterrato su pianeti lontani, nessuna ragazza mi ha buttato le braccia al collo sognante definendomi "mio eroe".
La strada che vedevo nascosto dai rami dove passavo i pomeriggi oggi è una tangenziale a sei corsie.
Disegni non ne faccio più, di sogni sempre meno
Adesso le carte non sono più scritte a pastello ma sono bilanci, prospetti, fogli di excel.
Quei ragazzi che mi sfrecciavano via con le "Saltafoss" che a me mai avrebbero potuto comprarmi sono uomini come me, e chissà come è andata a loro.
Io ho solo fatto tanta strada.
Di giorno, di notte, con il caldo e il freddo, alle volte felice ed altre piangendo per la stanchezza o per le infinite delusioni. altre carico come una molla quando mi sembrava di sentire nelle ossa il senso del riuscire in qualche cosa.
Non ho più un comò più alto di me dove andare in punta di piedi a pregare perché ci sia un domani in cui conquistare il mondo.
In compenso quella macchinina rossa l' ho comprata poi.
Una vera, grande, non il modellino.
Ed è lì, impolverata e perfetta insieme ad altri giocattoli a motore che negli anni mi sono comprato.
Sempre con lo stato d'animo - mascherato dietro le sembianze di un uomo adulto e responsabile - con l'elettrica euforia di un bambino dentro a un negozio di giocattoli che vede il negoziante incartare il suo sogno, che tra pochi istanti sarà nelle sue mani....
Macchinine rosse, grigie, blu.
E' cambiato tutto, sono cambiato io.
Solo gli occhi sono gli stessi.
Quelli che guardano fuori da una finestra, in silenzio.
Cercano un orizzonte oltre la strada e i palazzi per poter fissare un punto e stabilire che un giorno si andrà oltre, si andrà più in là, ci sarà un'altra fetta di mondo, di vita, di mistero da attraversare con qualche tuta magica al volante di un rombante mezzo a motore.
L' ho cercata per mare e per terra quella macchinina rossa.
Armadi, scatoloni, cassetti di vecchi mobili....niente.
Ne avrei bisogno, la vorrei in tasca per sentirmi più forte, la vorrei stringere per sentire meno il freddo che adesso è nel cuore, e non più nell'aria.
Ne potrei comprare cento. oggi, ma non sarebbe la stessa cosa.
Vorrei sentire quell'odore di minestra in tavola e potermi nascondere sotto un divano insieme a lei per non mangiarla.
Invece quando mi squilla il cellulare anche se è un rompicoglioni mi tocca a rispondere e fare pure buon viso a cattivo gioco.
Oggi ho venduto uno dei miei giocattoli, un po' me l'aspettavo ma quando il ragazzo che l' ha vista mi ha detto "va bene" gli ho visto negli occhi una malcelata contentezza per quello che aveva davanti.
Lo so che era un gran "bel giocattolo", lo so che prima o poi qualcuno l'avrebbe comprato, so tutto.
Ma che devo fare se questi che dovrebbero essere solo pezzi di ferro su ruote me li sento come amori, come amici, come legami?
Posso pensare che in fondo la vita passa, e che ci dovrebbe essere un tempo per tutto, e che quarant'anni non sono più l'età per giocare.
Oppure adesso guardare oltre la scrivania, oltre il monitor che ha preso il posto dei pastelli colorati, e dire che è solo vita che cambia.
E sono solo io che non ho mai fatto veramente pace con me stesso.
Silenziosamente inquieto, sognatore irreversibile dietro un'aria seriosa che alle volte faccio pure fatica a trovare.
Si....vorrei la mia macchinina rossa.
Un albero su cui salire e sparire tra le fronde e un foglio bianco.
E soprattutto vorrei avere ancora qualche sogno da disegnare.
Mi sfugge l'analisi lessicale, ma deve esserci da qualche parte un nesso tra "sogno" e di"segno", tra "sogno e "bi"sogno", tra di"segno" e ras"segno".
Ora si torna al lavoro, non chiama più la nonna strillando, anche se con il cuore, ma il dovere, che quello lo fa sempre senza metterci anima.
Prima di chiudere il portone e uscire - però - un occhio alle mie macchinine lo butto.
Sono sicuro che a modo loro mi sorrideranno...

MF


   
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