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 Lo zio Pistacchio
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Roberto Mahlab
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Inserito - 18/10/2006 :  09:22:39  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab

Chiusi gli occhi, posando la cartella sulla poltrona del corridoio di ingresso a casa, rapito dal profumo che si spandeva per la casa, il sogno di un bambino al ritorno da scuola, i pistacchi sfrigolavano tostandosi nella padellina, il cuore accelerava i battiti, se c'erano i pistacchi, c'era anche lui. I miei genitori sorridevano mentre un omone alto e grosso, i baffi sul largo viso ovale e moro, in completo scuro e cravatta sottile sulla camicia bianca, mi veniva incontro e mi sollevava in aria. "Zio Pistacchio!", esclamavo felice, era il soprannome affettuosissimo per una figura che compariva raramente con il regalo di sacchetti ricolmi degli squisiti semi e che, quando il tempo passava senza vederlo, mi mancava. Poi ci mettevano tutti a tavola, la tovaglia delle migliori occasioni e un silenzio rispettoso mentre i miei genitori e l'ospite discorrevano in quella lingua che avevo appreso a conoscere solo per corrispondenza tra indicazioni e parole, l'arabo iracheno, era un mio segreto, i concetti e i termini si formavano chiaramente nella mia mente, ma mai davo l'impressione di comprendere, anche se era solo una mia sensazione, eppure infatti tutti sapevano, semplicemente perchè eseguivo qualsiasi richiesta, come di passare il pane, seppur declamata con quei suoni orientali che consideravo con meraviglia di scoperta.

Il suo nome era Abu Sharazad, testualmente "il padre di Sharazad", i tipici appellativi arabi che indicavano il percorrere delle generazioni, era iracheno e viveva a Bagdad, era piombato un giorno all'improvviso, comparso da antiche comuni conoscenze, di fronte ai miei genitori, all'epoca freschi profughi ebrei fuggiti dai ghetti dell'Iraq dei dittatori e stabilitisi in Italia. Le amicizie di famiglia erano il cemento dei rapporti tra le diverse origini in un paese che ufficialmente perseguitava gli ebrei, eppure essi erano gli unici di cui i musulmani si fidavano e, quando per ragioni di affari dovevano viaggiare in Europa, cercavano gli antichi intrecci di antiche amicizie di antichi rapporti, chissà, forse era stata la zia della cugina del cognato del cugino che un giorno li incontrò a scuola e poi il nome della famiglia fu consigliato ad un parente che aveva bisogno di un corrispondente di lavoro in Italia.

Le vicende di vita che ascoltavo mi riempivano come se fossi stato spettatore di un film hollywoodiano, gli avvenimenti storici sullo sfondo di vicende personali che avevano dell'incredibile. E l'avventura continuava dovunque, gli usi e le tradizioni di due popoli coloravano ogni più piccola esperienza, i discorsi su dove fosse finito un amico comune, in Australia o in California? Le rievocazioni delle gite sui monti del Libano, gli allenamenti in canoa sull'Eufrate, le vicende chiare e scure di Bagdad. Quei momenti che attendevo ogni giorno della mia ancora piccolissima vita erano le mie "Mille e una notte" personali, a bocca aperta volevo toccare quelle parole che mi apparivano come pagine di pergamena, la curiosità che ogni bambino ha del misterioso le incideva per sempre nell'animo.
E volevo rimanere per sempre ad essere coccolato seduto sulle ginocchia dello zio Pistacchio, fino a che i miei genitori, sorridendo, mi rimandavano in camera perchè, appoggiati sui cuscini dei comodi divani del salotto, dovevano infine discutere di affari con lui. E poi, troppo presto, ripartiva e avvertivo un buco, una mancanza, sovente chiedevo :"quando torna zio Pistacchio?".

Lo spazio e il tempo della nostra esistenza erano sempre fragranti di quel profumo dei frutti del grande albero che nasce in Mesopotamia e in Medio Oriente, i dietologi oggi li considerano ideali nell'alimentazione dei bambini e degli sportivi, ricchi di proteine, vitamine, sali minerali, potassio, fosforo, calcio e dal basso contenuto di grassi saturi, limitato contenuto calorico e rapida sazietà, una ricchezza della natura.
Sotto i grappoli violacei si formano i semi che avvolgono il duro guscio protettivo, il leggero vello e poi il seme commestibile.
Ai nostri tempi i pistacchi si ritrovano nei dolci più deliziosi, come il Baklava turco, l'halva e i budini mediorientali, dalla Sicilia alla California i coltivatori fanno a gara a produrre le qualità più pregiate. Un albero che vive cent'anni e che ha visto lo svolgersi della Storia, coltivato dagli antichi ebrei, tanto che per spiegare con esempi le trentanove attività proibite durante il Sabato, una di esse, il divieto di "selezionare", di separare il bene dal male, il buono dal cattivo, il commestibile dall'immangiabile, la buccia dal seme, viene indicata con la separazione del pistacchio dal suo guscio e, nelle famiglie più ortodosse, il Sabato non si mangiano pistacchi.

Nella Torah, nella Genesi, al versetto 11 del capitolo 43, leggiamo che Giacobbe suggerì ai suoi figli di portare in dono al vicerè d'Egitto, al fine di scongiurarlo di aiutare la Terra di Canaan durante la carestia, "... balsamo, miele, laudano, mandorle e pistacchi...". Non riconobbero sotto le spoglie del dignitario il loro fratello perduto, Giuseppe, che aveva scalato la corte del faraone impressionandolo con la profezia delle vacche grasse e delle vacche magre, del tempo della sazietà e del tempo della carestia, del tempo della scorta per il tempo della fame.
Da Babilonia, all'Assiria, dalla Grecia a Roma antica, dalla Spagna alla regione di Bronte in Sicilia e in letteratura da Plinio ad Avicenna, le radici degli alberi di pistacchio si sono attaccate alla terra e i rami aggrovigliati si sono caricati di frutti, di raccolto in raccolto, di epoca in epoca, hanno visto trascorrere il tempo e le vite umane, gli avvenimenti e la Storia, i ritrovamenti delle evidenze risalenti a quasi novemila anni fa negli scavi dell'odierno Iraq fino ai sacchetti sigillati dei supermercati degli anni duemila.


Lo zio Pistacchio portava sempre con sè il caratteristico rosario dai trentatre grani di giada inseriti su un filo di cuoio, con due capi finali lunghi e liberi per poterlo maneggiare, il subha o mesbaha, la lode al Creatore, ogni grano si riferisce ad uno dei nomi di Allah nella tradizione musulmana, un talismano portafortuna.
I miei genitori lo accompagnavano in visita alle fabbriche del nord Italia, sete e tessuti e ogni volta lo zio Pistacchio roteava il rosario in aria e poi lo bloccava con le due mani e contava il numero di grani che gli rimanevano tra la destra e la sinistra, se esso era pari, significava buona sorte.

Con loro si sentiva tranquillo, insieme agli ebrei poteva mangiare senza temere, le usanze erano simili e mai gli sarebbe capitato di rittovarsi nel piatto il maiale. Un mezzogiorno si fermarono in un ristorante dopo una visita di lavoro, Abu Sharazad ordinò un filetto di manzo, ma quando il piatto fumante arrivò, i miei genitori rimasero agghiacciati, la carne era avvolta da un rotolo di pancetta, inorriditi non riuscirono a spiccicar parola prima che il loro ospite, affamato, cominciasse a divorarlo. E subito dopo emise un respiro di immensa soddisfazione e disse :"era squisito, che cosa era il condimento?". Non lo seppe mai e nessuno compì mai, così, peccato.

Era una mattina di autunno, il cielo grigio, mia madre aveva trovato un tale traffico che era arrivata all'aereoporto appena dopo l'arrivo del volo dall'oriente, lo Zio Pistacchio la attendeva nervoso, aveva già ritirato la sua valigia, appariva arrabbiato, le disse che era la prima volta che veniva lasciato solo e non se lo aspettava. Anche durante il tragitto sembrava preoccupato, continuava a roteare in aria il rosario, ma non gli riusciva di ottenere un numero pari di grani. Rimase rabbuiato per tutto il soggiorno, rifiutò un acquisto di un lotto di camice perchè oppresso dalla sensazione di malasorte, ripartì presto e quella volta io neppure potei vederlo, chiesi ai miei perchè stavolta non veniva a casa nostra, mi risposero che purtroppo non c'era tempo. Non lo vidi mai più e anche i miei mi dissero che non lo rividero mai più. Dopo molti anni, durante un pranzo un mese fa ci tornò in mente a tutti quanti, non resistetti e chiesi a mio padre e a mia madre di raccontarmi quanto non sapevo, mi dissero che Abu Sharazad aveva confidato loro di essere un oppositore del regime del dittatore, aveva una impresa commerciale florida a Bagdad, ma nessuno ne seppe più nulla, scomparve lui e scomparve l'azienda. Compresi che in quell'ultima visita in Italia non era stato il numero di nodi del subha a inquietarlo, ma qualcosa che avvertiva interioremente arrivare.

Continuo ora come allora ad annusare quel fragrante profumo di tostatura, apro le bucce, sfrego la pellicina tra le dita fino a toglierla, assaporo quel delizioso seme di un albero che ha cent'anni, eretto sulle forti radici abbarbicate sul terreno arido : quell'albero ha certamente visto, conosce il percorso della vita del caro Zio Pistacchio. Come ha visto il passaggio dei tiranni e il sangue del popolo, esso sa quello che noi vorremmo sapere.

Abu Sharazad, il padre di Sharazad, il nome della fanciulla che nelle Mille e una Notte intratteneva e distraeva con i suoi mitici racconti il crudele sovrano per impedirgli di uccidere ancora, i racconti che non mi stanco mai di ascoltare dai miei genitori, pagine di Storia che vivo di riflesso, figurandomi luoghi e personaggi, estasiato e con il desiderio che non finiscano mai, avvenimenti che mi sono sempre parsi avventure e quanto invece sono stati sofferenze e patimenti, la Memoria, le storie e i racconti della vita che esorcizzano il male.

Continuerò a rivederlo nei miei sogni ad occhi aperti, l'omone gigantesco che credeva nella fortuna donata da Allah e che si apriva al sorriso quando teneva stretto il piccolo bimbo ebreo.

Roberto Mahlab

   
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