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 The office zone : Il piccolo ufficio degli orrori
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Roberto Mahlab
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Inserito - 19/08/2021 :  10:55:31  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
C'è un ufficio in cui avvengono fatti inspiegabili, al di là di quelli che un essere umano può ritenere possibili, un ufficio in cui il tempo e la ragione sono sospesi, tra la realtà e la fantascienza, tra l'angoscia dell'irrazionale e l'evidenza del paradosso, un ufficio che si trova… ai confini della realtà...

“Il piccolo ufficio degli orrori”


Ero felice e fiero quando ho mostrato alla mia segretaria e braccio destro e sinistro e mente pensante l’ibisco che ho messo all’interno dell’ufficio, vicino alla grande finestra che si apre sul terrazzino. “E come faccio a passare per raggiungere il tavolino della fotocopiatrice?”, ha domandato lei cercando di inserirsi nel piccolo spazio rimasto. “E’ solo fino a che finisce l’inverno, ti prometto che appena arriva la primavera tornerà fuori e poi vedrai che rimarrà piccola”. “Avevi detto la stessa cosa della tua collezione di Asterix con la quale hai riempito gli armadi che servirebbero per le carte del lavoro, solo per qualche giorno, avevi detto e sono ancora lì e io devo mettere i documenti in giro senza poter tenerli in ordine”, ha ribattuto lei, “ e poi quando arrivano visite, non è che facciamo buona figura, non potevi metterci qualche libro di letteratura, che so, Tolstoj, Shakespeare!”. A volte non capisco i gusti delle donne in campo letterario, quando arrivano visitatori uomini mi fanno sempre i complimenti per la cultura che pervade il nostro ufficio.

“Sai che ogni mattina annaffio Audrey”, le ho detto il giorno successivo. “E chi sarebbe Audrey?”, ha esclamato speranzosa, “una fidanzata? Sul serio qualche povera donna ti ha preso come fidanzato e così ti porterà via e lontano dall’ufficio e io potrò gestire l’azienda in santa pace? E perché annaffi una fidanzata?”.
“Parlavo della pianta, guarda è già cresciuta da ieri”, le ho risposto con pazienza.
“Ah”, ha replicato lei con tono inspiegabilmente deluso.

“E’ venuto ieri il commercialista?”, mi ha chiesto la mia segretaria il giorno dopo.
“Oh sì, ieri appena sei uscita”, ho replicato lanciando uno sguardo alla pianta che era ancora cresciuta. “Strano però, doveva farsi sentire e dal suo ufficio mi dicono che non si è più visto da ieri”, ha mormorato perplessa.

“E’ poi salito il postino ieri dopo l’orario di lavoro?”, mi ha chiesto la custode la settimana successiva. “Sì”, ho risposto sbiancando. “Strano però, non è più sceso, sembra, mah..”, ha aggiunto perplessa. Audrey ormai era quasi un albero e l’interno dei suoi fiori rossi parevano guardarmi come a dire di tacere.

Fino a che un giorno che ricorderò per sempre con orrore, mentre all’esterno dal cielo plumbeo cadeva una forte pioggia e il vento si abbatteva ululando contro la grande finestra, la mia segretaria che stava facendo una fotocopia diede un balzo e quasi gridò :”ma che succede, ho sentito un fruscio come se qualcosa mi avesse toccato e… ma no, devo aver lavorato troppo oggi, colpa tua che te ne stai sempre a leggere i tuoi fumetti e non mi fai nemmeno le fotocopie!”, mi rimproverò. Io non dissi nulla, ma un gelido soffio mi calò sulle spalle e rabbrividii.

Quella notte mi rivolsi a Audrey, che ormai svettava fino al soffitto :”senti, sono stato costretto a coprirti, a nascondere la tua fame e i resti delle tue vittime, tra l’altro il commercialista non mi aveva ancora stampato il libro giornale e il postino doveva ancora darmi il pacchetto che hai ingoiato insieme a lui, ma la mia segretaria no, lei non la puoi toccare!”.

Audrey non rispose subito, parve riflettere e poi all’improvviso disse :”Va bene”. Io tirai un sospiro di sollievo, era una pianta carnivora ragionevole dopotutto. “Ma in cambio devi darmi di più”, aggiunse sibillina.

“Di più? Che vuoi? La custode, il panettiere all’angolo? Il giornalaio? Tutti i clienti del supermercato?”, non nascondevo il sollievo per aver allontanato il pericolo dalla mia segretaria.
“No, voglio di più, voglio quello a cui tieni di più”, ribatté freddamente.

“No…”, sentivo l’angoscia che montava, la comprensione di qualcosa di enorme che stava per accadere, chiusi gli occhi stretti stretti, non era vero, non stava capitando, una volta riaperti gli occhi, tutto sarebbe sparito e ci avrei riso su.


Ma Audrey era lì, quando i miei occhi tornarono alla luce ed era ancora più alta e grossa. Abbassai le spalle e mi avviai verso il frigorifero, aprii l’anta e tirai fuori una barretta del mio cioccolato preferito, quello con dentro i biscotti Oreo, ci avevo impiegato mesi a trovarlo. Mi volsi verso Audrey come a lanciarle un’ultima preghiera, ma lei mi rispose con un :”mi piacciono tanto le segretarie…”. E allora mi avvicinai e le porsi la barretta che mi strappò voracemente dalla mano.

Sapevo che il giorno dopo mi avrebbe chiesto la preziosa barretta di Cailler con le uvette e il giorno dopo il sancta sanctorum della mia collezione : la grande delizia del Ragusa di Camille Bloch.

Ero in trappola, o perdevo la cioccolata o perdevo la segretaria.

Dovevo escogitare un piano. Il mio sguardo si posò sul calendario appeso ad una delle pareti, eravamo quasi a fine febbraio, ancora tre settimane e saremmo stati in primavera. Audrey dovette accorgersi del lampo che mi era comparso nelle pupille, perché i suoi rami si chinarono e tentarono di afferrarmi, ma mi sottrassi appena in tempo. “Non preoccuparti Audrey”, la rassicurai con il tono più convincente di cui ero capace, “continuerò a nutrirti della mia cioccolata preferita, per sempre, sul serio, fidati”. E Audrey parve tranquillizzarsi.

“Ti faccio le fotocopie”, esclamai ogni giorno da quel momento e la mia segretaria mi osservava con sorpresa :”Tu? Vuoi dire che stai tentando di risalire la scala degli esseri più reietti del pianeta?”, adoro quando mi incoraggia. Non la lasciai più avvicinarsi alla zona dell’ufficio in cui si trovava Audrey. E ogni sera aprivo il frigorifero e porgevo alle foglie della pianta una barretta della mia collezione.

Il 21 marzo, all’alba, mentre anche Audrey si era appisolata, presi il vaso e lo rimisi sul terrazzino.

“Hai fatto bene a rimettere la pianta fuori”, mi disse la mia segretaria poco dopo, “ormai è primavera, ma guarda… sembra diventata molto più piccola là fuori, sarà un effetto ottico del vetro della finestra”, aggiunse. Già, sospirai, effetto ottico, E non saprai mai cosa mi è costato salvarti, sussurrai facendo attenzione che non mi sentisse.

“Mi fai questa fotocopia per favore?”, mi chiese.
“Cosa? Ma non vedi che sto leggendo Asterix!”, protestai indignato. Il pericolo era scampato e potevo tornare alla solita routine. “E certo, gli uomini, cavalieri per qualche giorno per vedere l’effetto che fa, vero?”, esclamò stizzita raccogliendo il foglio e andando verso la fotocopiatrice, “almeno non devo più fare attenzione a non pestare le foglie della tua pianta!”, borbottò. Sono quelli i momenti in cui un uomo si sente davvero incompreso.

Lo so che ricorderete che la vicenda di Audrey e della “piccola bottega degli orrori” terminò con il protagonista che visse felice e contento, ma quello avviene solo nella realtà cinematografica. Qui al massimo finisce che torno a leggermi Asterix, perché questo ufficio è … ai confini della realtà…

Roberto Mahlab - I racconti dell'ufficio


   
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