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 Chutzpah
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Roberto Mahlab
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Inserito - 25/08/2012 :  21:58:32  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Era proprio in uno dei suoi momenti negativi, : "è un mondo in cui io non c'entro niente, non ho nulla da raccontare, non ho esperienze da riportare, non saprei come confrontarmi con gli altri che sono di ben altra levatura, non so perché mi abbiano invitata, la mia partecipazione sarebbe una finzione...", era un buio interiore che procedeva parimenti al calare delle tenebre della sera.

"Il buio", esclamai, "come quando partecipai al corso di flamenco e mi scelsero per la serata in teatro, ho passato giorni e notti nel terrore, a chiedermi che cosa c'entravo io su quel palcoscenico e poi all'improvviso l'illuminazione, la sala era al buio, non mi avrebbero neppure notato dietro alle ballerine e poi, qualunque gesto avessi fatto, tanto il pubblico non conosceva il flamenco e non avrebbe potuto criticarmi", conclusi.

"Che faccia tosta hai avuto", per un attimo lo stupore parve farla uscire dalla galleria in cui si era rinchiusa.

"Vuoi dire chutzpah?", ribattei, "sono d'accordo".
Mi lanciò uno sguardo interrogativo, avevo attirato comunque la sua attenzione.

"Sì, chutzpah," spiegai, "una parola ebraica famosa nel bene e nel male, più o meno significa 'faccia tosta', oggi è usata in senso dispregiativo, ma duemila anni fa la troviamo nel Talmud, la raccolta delle spiegazioni rabbiniche sul significato della Torah e chutzpah aveva un senso ambivalente, poteva anche indicare 'carattere' o 'coraggio'.

Parve confusa e non disse nulla e così approfittai :"E quindi anche tu devi avere chutzpah, come... ", e lì improvvisai...

... come Joe Bronstein, nato nel quartiere ebraico di Brooklyn, era il massimo esperto mondiale nella conoscenza della formazione della squadra di calcio del Tagikistan. Non gli era servito a molto, perché quella sera di inizio marzo si trovava nel Bronx, nelle cucine del locale malfamato di Ludwig Franzen, espatriato tedesco che aveva aperto un ristorante di specialità bavaresi, le sue ricette avevano steso gli stomaci più resistenti d'America.

All'improvviso Joe Bronstein appese al chiodo sulla parete lo straccio con cui stava asciugando le stoviglie, indossò la giacchetta piena di buchi e si avviò verso l'uscita :"Ehi, Joe, ma dove vai, devi finire il lavoro, ti pago un dollaro, mica lo fai gratis!", gli gridò dietro Ludwig. "Il tuo dollaro lo puoi mettere neila torta alle cipolle, magari al posto di quegli ingredienti avvelenati che ci metti di solito", rispose Joe deciso.

Attraversò la strada e superò l'ingresso del grattacielo di cristallo di Frank Capone, la receptionist lo fermò ma lui le disse solo :"sono Joe Bronstein, dica a Frank Capone che ha un appuntamento con me", la ragazza impallidì e si affrettò ad alzare la cornetta di un telefono, mentre Joe saliva nell'ascensore e premeva il tasto dell'ultimo piano. Lo attendevano due omoni, le guardie del corpo di Frank Capone che stava tenendo un ricevimento a cui erano invitati i più ricchi e i politici più in vista della metropoli. "Io ho qualcosa che sono convinto serva a Frank Capone e che nessun altro gli potrà dare", Joe affrontò le guardie del corpo che apparvero perplesse.

"Ma guarda, tu avresti qualcosa di così speciale per me?", Frank Capone intervenne con il sigaro havana in una mano e un bicchiere di Veuve Clicquot nell'altra. "Sì, io mi chiamo Joe Bronstein e sono il massimo esperto mondiale di calcio del Tagikistan", il tono di Joe era di sfida e di orgoglio. Le guardie del corpo si apprestarono ad atterrarlo, quando Frank Capone li fermò e disse rivolto a Joe, : "tu vuoi lavorare per me, vero?". "Certo", rispose Joe, "io le servo". "E' vero, sei assunto", rispose Frank. "Ma capo, ma che se ne fa di un esperto di calciatori tagiki?", gli chiese sorpreso una delle guardie del corpo. "Non è per questo che l'ho assunto, ma per la sua chutzpah, potrà fare qualsiasi cosa con quella".

Nel giro di pochi mesi Joe Bronstein si applicò così tanto che divenne il braccio destro di Frank Capone e arrivò il giorno un cui l'anziano capo lo chiamò dal letto della casa di riposo dove si era ritirato :"senti Joe, come sai bene, mio figlio Adolfo è un perdigiorno drogato, mia figlia Maria passa da un party all'altro con tanti balordi, posso contare solo su di te per portare avanti il lavoro della famiglia".

Joe assentì e divenne il capo al posto di Frank e qualche anno dopo, osservando la metropoli dall'alto della vetrata dell'ultimo piano del grattacielo in cui si trovava il suo ufficio, sussurrò :"io avevo qualcosa che gli serviva e che l'ha convinto delle mie capacità e non era la conoscenza dei calciatori del Tagikistan, era qualcosa di apparentemente insignificante, ma che nessuno di coloro che lo circondava possedeva : chutzpah."

Smisi di parlare e lei imase sensa fiato e mi osservò nuovamente senza essere in grado di proferire parola. Forse fu il pensiero di avere di fronte una mente malata che necessitava di più cure di lei che la scosse e la distolse dal suo momento di depressione.

Partecipò al colloquio a cui era stata invitata ed ebbe pieno successo.

Come ero riuscito a modificare la situazione? Avevo avuto anche io... chutzpah.

Roberto Mahlab


   
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