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 Pappamolla Kid e il contratto levantino
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Roberto Mahlab
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Inserito - 29/12/2007 :  18:57:36  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
"Sette settimane!"
"Due!"
"Sei!"
"Una!"
Eravamo nello stallo totale, il mio interlocutore giocava al rialzo, io al ribasso, erano i primi colpi di una partita che poneva di fronte il freddo occidente allo sfuggente oriente.
"Va bene, ricominciamo", disse preoccupato, non ricevendo altre mie controproposte :"Cinque, dopo cinque settimane potrai riprendere ad andare in palestra e a sciare!".
Scossi il capo e feci il gesto di rialzarmi dal tavolo e di abbandonare la contesa.
"Aspetta", probabilmente aveva capito che sono un osso duro, :"quattro, quattro settimane a partire dal giorno dell'intervento!".
Tornai a sedermi, lo sguardo apparentemente interessato e rilanciai :"Due e non ne parliamo più", dissi in tono conclusivo, fiducioso di poter concludere a tre.
"Tre", sospirò sconfitto, "tre settimane dall'intervento e potrai riprendere ad andare in palestra con sforzi aerobici, dopo la quarta potrai riprendere i pesi e la settimana dopo sei libero di sciare".
"Ok, ma lo faccio solo per lei, tre settimane", e ci stringemmo la mano.
Un chirurgo occidentale e un paziente levantino. Sapevamo tutti e due di mentire.

Al giorno d'oggi non solo non addormentano, ma non si sente proprio alcun fastidio e tantomeno dolore, dopo l'anestesia spinale hanno messo una tendina per dividere il mio viso da tutto quanto il circostante, di modo che non vedessi niente. Per passare il tempo e sciogliere la tensione, il chirurgo si è messo a fare dei quiz letterari agli assistenti, tra una richiesta di passargli un ferro e l'altra, siccome non ne sapevano una che fosse una di risposta, li ha presi in giro :"eh già, voi al giorno d'oggi di quanto è successo prima di Mazinga, niente!". Con sarcasmo ha poi proposto un tema elisabettiano e ha introdotto alcune frasi di "Sogno di una notte di mezza estate" e poi ha atteso per lunghi istanti un segno di vita culturale dagli assistenti. Un bisbiglio, il mio, nell'orecchio della ragazza con la mascherina verde che intravedevo alla mia destra.
"Shakespeare", si udì la sua flebile e poco convinta voce esclamare.
"Chi è stato, chi è stato a dirlo per primo!", il chirurgo aveva arrestato l'operazione e il suo tono si era alzato pericolosamente.
"Il paziente!", si affrettò a confessare la ragazza con voce spaventata.
"Il paziente", ruggì il chirurgo, "deve stare zitto e fare solo il paziente!".
Non ho protestato per non infierire sulla bella assistente e questo mi ha fatto guadagnare un suo sorriso. E ovviamente il chirurgo è un amico di famiglia, altrimenti avrebbe ordinato all'anestesista di addomentarmi con una martellata in testa.
Passarono altri dieci minuti nei quali ero indeciso se chiedere di sposarmi alla radiologa oppure all'anestesista, ma il chirurgo mi anticipò :"ok, finito, riportatelo in camera che lo vengo a trovare più tardi". E così non feci in tempo a decidere.

Nel tardo pomeriggio l'effetto dell'anestetico avrebbe dovuto essere stato completamente riassorbito e potei rispondere affermativamente alle infermiere che mi chiedevano se ero in grado di alzarmi, chiesero a me se erano passate le canoniche sei ore. Ce ne vollero quattro, quattro donne per sorreggere un paziente, convinto di essere un supereroe della galassia, per farlo alzare dal letto, i commenti sarcastici sugli uomini si sprecarono.
Spero che le infermiere, visto che le osservavo con occhi che si rivoltavano mentre mi trasportavano per i difficili primi due metri, non abbiano pensato :"il solito orientale che lancia le occhiate oblique per fare la corte a quattro donne alla volta", i miei occhi si muovevano in quel modo perchè stavo per svenire e cercavo di farlo capire in qualche modo. Prima di afflosciarmi nelle loro braccia, riconobbi che non era stata poi una grande idea cercare di contrattare sul momento di alzarmi, avevo mentito per cercare di guadagnare un'ora, non ne erano passate sei, ma solo cinque e l'anestesia era ancora presente. Comunque gli affari sono così, una volta va bene, un'altra non tanto, un levantino sa non farsi cattivo sangue e riprovare.

"Mi raccomando, chiami se ha bisogno di qualcosa durante la notte", mi disse l'infermiera. Risposi :"ma certo", mentivo, io, un supereroe della galassia palestrato, non mi sarei mai piegato a chiedere soccorso in alcuna circostanza, ad una donna poi, sono un orientale io. Presto sarebbe arrivato il sonno e il tempo sarebbe volato, certo quella notte non avrei potuto vegliare sulla sicurezza degli abitanti dell'universo, i miei colleghi Indiana Jones e Superman avrebbero fatto senza di me. La tapparella rimase alzata, il buio avvolgeva l'esterno e i contorni degli edifici attorno all'ospedale scomparvero. "Ok, buona notte mondo", augurai a me stesso e spostai la mano verso il bicchiere d'acqua e la pastiglia di calmante che mi avevano ordinato di prendere per poter riposare bene. Non ci arrivavo e riuscii solo a spingere la scatola delle medicine. Quando toccò il pavimento, finendo sotto al letto, quel rumore sordo mi riportò al fatalismo che nei momenti di maggior difficoltà permea l'animo delle genti d'oriente. Non avrei mai premuto quel tasto per richiedere all'infermiera di notte di raccogliermi il calmante, non dopo la figura che avevo già fatto con le quattro sue colleghe, e poi, cercai di convincere me stesso, non volevo distrarre il personale dall'assistere altri pazienti che certo avrebbero avuto ragioni più importanti della mia a premere il pulsante di richiesta di intervento.
Raassegnato, gli occhi spalancati, potei osservare il buio mutare colore con il trascorrere delle ore, un tempo interminabile, il sollievo irraggiungibile sotto il letto, l'oscurità poco a poco si trasformava in foschia, i contorni degli edifici esterni ricomparvero, le lancette dell'orologio indicavano che si avvicinava l'agognato momento in cui le luci si sarebbero riaccese, alla fine della notte.

"Stanotte mi hanno chiamato per le cose più assurde dei pazienti che non avevano in verità bisogno di nulla e tu, che avevi veramente bisogno, non mi hai chiamato per raccoglierti le medicine cadute sotto il letto?". L'infermiera mi lanciava sguardi di fuoco. Mi rinchiusi in me stesso, non poteva capire, che avrebbero detto i miei antenati se avessi chiesto soccorso per una sbadataggine, avrei prima di tutto dovuto ammetterla.
"Deboluccio", mi disse, scuotendo il capo in segno di rimprovero, dopo avermi misurato la pressione crollata a 60 di minima a causa della notte insonne dopo l'anestesia, io ero rattrappito all'angolo del letto, incollato alla coperta come Linus, per mantenere un equilibrio interiore. Deboluccio, a me!, il mio sguardo appariva offeso dalla definizione. Però, negli abissi del mio animo, sapevo che mi aveva sopravvalutato, "straccetto" sarebbe stato il termine giusto. Anzi, ero indeciso tra "Pappamolla Kid", "Mammoletta Jones" o "Straccettoman", quale nome di un nuovo supereroe della galassia.

Entrarono le quattro infermiere del giorno prima per accertarsi di come stavo e una di esse mi avvertì che, data la banalità dell'intervento, era già il momento di ritornare a casa. Comparve anche un infermiere uomo che mi raccontò che aveva subito la stessa operazione diversi anni prima e che era rimasto per venti giorni in clinica. Lo ascoltai a bocca aperta, era grande e grosso, un vero armadio di muscoli e tatuaggi, un palestrato evidentemente assiduo, il mio sguardo interrogativo si spostò sulle donne, se un colosso come quello era uscito dalla clinica dopo venti giorni, come mai io, che mi sentivo uno straccio, potevo uscire subito?
"Più siete grossi, più siete debolucci", esclamò una delle ragazze irridendo apertamente il gigante. "Uomini, i soliti uomini", raddoppiò la seconda. "Pappemolli, siete tutti pappemolli", ribadì la terza. "Il mio fidanzato si mette in malattia per uno starnuto, pallido come un cencio!", infierì la quarta con tono disgustato. Il gigante di muscoli e io ci guardammo comprendendoci a vicenda, :"lasciale perdere, sono donne, che vuoi che capiscano di come soffriamo noi uomini", quasi mi abbracciò commuovendosi.
"Fatemi uscire", la adorabile sceneggiata di quei dolcissimi animi mi aveva confortato e ridato energia.

Entrai, zoppicando per i punti, nello studio del chirurgo per le ultime raccomandazioni prima del ritorno a casa, :"mi hanno detto che hai passato una notte agitata", e si mise a ridere, compresi che era la sua vendetta per il suggerimento in sala operatoria. "Ok", risposi con tono da uomo d'affari, :"tra quanto avevamo detto che potevo tornare in palestra?". "Continui a chiedermi la stessa cosa, sentirai tu stesso quando sarà il momento, intanto potrai e dovrai camminare molto, ma per la palestra ti ho detto tra tre settimane", ribadì piccato. Mentiva. "E guai a te se fai un movimento prima di tre settimane!", riprese. "Ma certo che no", lo rassicurai. Mentivo.

Nessuno di noi due aveva mai avuto la minima volontà di rispettare il contratto. Il chirurgo sapeva che sarebbe stato il mio corpo stesso ad avvisarmi quando fosse stato di nuovo pronto e mi aveva parlato delle tre settimane per farmi contento. Io sapevo che non avrei rispettato l'accordo e che avrei cercato di inventarmi qualche movimento con largo anticipo. Il giorno stesso, solo per avere la soddisfazione di violare l'accordo, mi misi a sollevare due stuzzicadenti. Su e giù dieci volte. Gliel'avevo fatta, mai fare un contratto con un levantino.

Le mie avventure di malfidente orientale nell'ostile mondo dell'occidente non erano finite, il pomeriggio dopo, ancora claudicante, sono andato al supermercato a comprare una confezione di Mars al latte, nocciola e caramello e l'addetta alla cassa mi ha chiesto se avevo la tessera, ho risposto di sì, mi ha allora proposto se volevo che mi mettesse i punti e io sono impallidito e le ho risposto, tremando :"Faccio fatica a camminare con quelli che mi ha messo il chirurgo e lei me ne vuole mettere degli altri?". Si è illuminata in volto come per improvvisa comprensione, mi ha sorriso e ha esclamato il fatidico :"nervi fragili eh? come tutti gli uomini vero?, mio marito ci ha messo un mese a guarire...".
Non ascoltai il resto, scappai fuori con la massima velocità che mi era consentita.

Nell'attesa che trascorrano le tre settimane, cammino e mi riposo, fantasticando sul momento della ripresa degli adorati sport che pratico.
Ieri mi sono assopito nel pomeriggio e ho fatto un sogno, a colori, mi trovavo in palestra, avevo in mano un bilancere e mi avvicinavo alla panca, vedevo attorno a me gli altri soci indaffarati con gli attrezzi, il mio bilancere era leggerissimo e caricato in modo strano, solo da una parte, con due pesetti da pochi grammi, l'altro capo era libero. Mi rendevo conto che avrei fatto un sforzo nullo e all'improvviso udii una voce proveniente dalla mia destra, qualcuno mormorava :"come al solito". Poi mi sono svegliato.
Ci ho pensato su, la mia diffidenza orientale mi porta a credere che qualche occidentale si sia infilato nel mio sogno e mi abbia teso un'imboscata. Tra tre settimane tornerò in palestra, nella realtà e non nel sogno e scoprirò chi è stato a dire quelle parole e gliene chiederò ragione, scommetto che verrà fuori che il responsabile è quella montagna di muscoli del primo più forte della palestra, quello che mi guarda sempre storto mentre io sollevo venti chili e lui ne solleva cento, solo per attirare lo sguardo della bellissima istruttrice. O forse la voce che mi ha preso in giro nel sogno era proprio quella dell'istruttrice che mi rimprovera spesso perchè mi stendo sulla panca e faccio finta di tirar su pesi? E quando me ne chiede la ragione io le spiego che sto pensando al titolo per qualche racconto. E lei mi indica come esempio il primo più forte della palestra che sta sollevando mezzo pianeta con un dito della mano sinistra. Ma io sono solo Pappamolla Kid.

Roberto Mahlab

   
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