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 LA PRIMA SCONFITTA
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zanin roberto
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Inserito - 04/10/2003 :  22:05:00  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a zanin roberto
LA PRIMA SCONFITTA

Una vasta,sconfinata pianura interrotta dai gonfi fiumi di monsonica memoria si perdeva negli occhi del macedone, quell'oceano verde smeraldo, ricamato dai sinuosi corsi d'acqua rossiccia, era un trampolino per nuove conquiste.
Di là, gli Indiani del regno di Magadha con i loro possenti elefanti, la diceria affermava che c'erano 500.000 uomini a formare un esercito poderoso, difficile da affrontare e da sottomettere.
Guardava pensoso l'orizzonte, rivedeva la sua fulminea impresa cominciata nel 334 a.c., la vittoria sul grande Dario di persia, la sottomissione di intere regioni fino alle alte montagne del Karakorum.
Ora restava quell'ultimo fiume da attraversare, ultimo ostacolo o forse uno degli ultimi, guardò il cielo azzurro, d'una limpidezza mistica,girò lo sguardo alle innevate vette che dominavano il Punjab e senti scorrere nelle vene il fuoco del dio che era in lui.
L'accampamento greco era immenso, centoventimila uomini, integrati a molti autoctoni, si erano arroccati al di quà del fiume Beas, molti campi verdeggiavano della pianta del tè alternati a spruzzi chiazzati di bambù, lunghi corridoi si ingentilivano di gelsi e il vocio cupo si perdeva rotolando nella piana.
Uscirono un paio di ufficiali da una tenda che un tempo vantava un colore crema e ora era logora e incragnita color fanfo, le tuniche dei due si erano confusamente intrecciate a sete colorate e l'elmo col pennacchio dalle piume bianche era stato sostituito da una stoffa avvolta alla araba.
I tratti solo, se pur tirati, svelavano quella fisionomia da montanari macedoni,, un greco sporcato da idiomi orientali ne alteravano la provenienza.
Si radunavano di fronte a un rialzo del terreno, dove una candida stoffa bianca ad orli dorati avvolgeva un attendamento regale, due statue di Afrodite ingraziavano un ingresso, dove un tappeto rosso porpora conduceva all'interno.
Grossi bracieri ardevano ai lati, mentre in cielo si perdevano rivoli di fumo appena avvertito dalle anatre selvatiche che indifferenti proseguivano il loro migrare stagionale.
Uomini sporchi, dalle uniformi trasandate, continuavano ad affluire, gli stivali verdi di quella muffa che trova nell'umido il suo regno, occhi rossi da insonni turni di guardia e gambe trascinate, logore dalla marcia di undicimilacinquecentocinquanta miglia percorse.
In prima fila c'erano gli Eteri, i cavalieri amici del comandante, che si guardavano pensierosi, arrivò un drappello di cavalleria dal giro d'esplorazione, le staffe dei cavalli erano ossidate e assottigliate dall'uso continuo, le spade appena pulite già inverdivano dall'ossido di rame, le insegne ricordavano le impolverate ferraglie di un rigattiere eppure quella gente che veniva dal nord della grecia, era fiera, era un esercito che non aveva mai perso una battaglia.
Erano quei granitici mattoni della falange macedone che s'era aperta tutte le porte che ne ostacolavano l'avanzare.
Alessandro aveva un corpo scultoreo, era stato appena deterso con oli profumati e i riccioli biondi ne esaltavano la evidente genialità, gli occhi magnetici s'erano appena appannati ma continuavano a evocare un universo divino e immortale.
Quando alzò la mano, il silenzio catturò lo spazio, si fermarono di lontano due cervi quasi imbarazzati per poi sparire nella vegetazione,sorrise l'angelo magno, indicò il fiume Beas, senza dire parola, quindi con un cenno chiese da bere, vino del Caucaso, si schiari la voce:
-" Eteri miei prodi, macedoni figli prediletti, soldati, gli dei mi hanno assegnato la missione superiore di unire le genti...là...oltre il fiume...l'ultimo impero aspetta d'essere conquistato...là noi insegneremo la nostra cultura superiore, fonderemo altre città, affinchè le acque del Nilo in Egitto si uniscano a quelle del Gange nell'India, sia tutto un popolo!"
Gli sguardi increduli degli ufficiali si trasformarono in abbattimento sconsolato, l'umido patito nelle settimane precedenti aveva infiacchito persino la dignità dimostrata in otto lunghi anni di guerra.
Un veterano, già sessantenne, nativo di Pella, dal corpo disegnato a cicatrici, si avanzò stanco ma fiero, gli stivali erano rammendati in più punti, la corazza di cuoio un'insalata di umori, dal sangue rappreso allo stratificato sudore, dal fango alle chiazze dovute al dilavamento delle continue pioggie, la barba a pizzo e gli occhi scuri che lasciavano irrompere lacrime calde.
Si fermò a pochi metri dal macedone, cadde in ginocchio, mentre le lacrime scendevano a inumidire il collo, si voltò a guardare la grande massa di compagni, quasi a chiedere conferma, poi alzando le braccia disse:
-" Alessandro, nostro dio, ti abbiamo seguito per dodicimila miglia, per otto anni, abbiamo assecondato il tuo sogno che era anche il nostro ma ora, ora... vedi tu stesso, ogni confine è superato, ogni meta raggiunta, vedi questi corpi piagati, vedi nei nostri cuori la nostalgia dell'Ellade natia, per Kronos dio del tempo, la clessidra della vita ha pochi granelli ancora, noi non verremmo oltre il fiume Beas, noi...ci fermiamo o magno...noi torniamo a casa...!"
Alessandro ebbe un gesto di stizza, chiuse i pugni e alzò il capo, un tremito violento gli sconvolse le palpebre, mentre di colpo un boato riempi il silenzio, tutti si erano seduti a terra in segno di solidarietà con Ceno, il veterano che aveva riassunto il pensiero di tutti.
Il figlio di Olimpiade e Filippo il Grande riprese il controllo di sè:
-" Mio esercito, io...io continuerò da solo! Non la paura, non la fatica, non il dubbio ma il fato domina il destino dei mortali, io sfido il fato perchè sono figlio di dei! Io continuerò da solo!"
Il sole era allo zenit e grossi nuvoloni grigi s'addensavano sull'accampamento, l'orgoglio ferito dell'indomito leone percorse come un'acido il suo essere, ma in cuor suo ben sapeva che era nell'aria da tempo quella prospettiva, di far ritorno, di smettere di inseguire la grandezza dell'idea, la sua genialità era figlia d'una viva intelligenza ben allenata dal maestro Aristotele che gli aveva insegnato il dominio dell'oratoria.
Soppesava ogni possibile opportunità ma di fronte gli rimanevano gli occhi lucidi dei suoi uomini che mai l'avevano tradito.
In un silenzio irreale, con una luce ovattata dall'imminente temporale, Alessandro si era seduto su un trono che era avvolto da una stoffa indiana ricamata a figure d'elefanti, fissava il suo esercito, si guardavano in attesa che l'uno palesasse all'altro la propria resa.
Ceno disse:
-" Alessandro, nostro faro, abbiamo bisogno d'un duce per il ritorno, considera la nostra situazione, perchè non scendi tra i mortali che t'hanno sempre adorato?"
La pioggia violenta all'improvviso cadde, come un'ennesima prova, non si mosse il signore dell'Asia, non si mossero i suoi uomini, Alessandro chiuse gli occhi e nelle prime file a qualcuno parve di vederlo piangere, i fulmini disegnavano arazzi criptati all'orizzonte e il tuono batteva sul tamburo della pazienza e della risolutezza.
Il vincitore dei persiani si alzò, lo sguardo forava lo spazio, bagnato di pioggia passò le mani sul volto, urlò come un'animale preso nella tagliola, suscitando un sussulto di massa, disse solo:
-" Zeussssssssss.....!"
quasi volesse rimproverare l'Olimpo e indicò il sud che conduceva all'Oceano Indiano verso la strada del ritorno.
Si voltò scuro come mai, era la prima sconfitta che lo feriva mortalmente nell'animo, proprio perchè impreparato ad accettarla, montò sul suo cavallo Bucefalo e spari avvolto dall'umida foschia mentre l'intero esercito, pur rassicurato dall'esito positivo del loro braccio di ferro, si rammaricava a capo chino del sacrificio chiesto a quel semidio di Alessandro, e si disperse con ordine.
L'arcobaleno colse tutti come un allegro sollievo, buono da sempre come presagio favorevole, il riso rasserenò tutti, mirabili colori splendevano ad arco con le alte montagne sullo sfondo ma in molti giurarono che da quel giorno una banda dorata s'era aggiunta ai sette colori dell'arcobaleno !

di zanin Roberto

   
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