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Mercedes
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Ogni giro di ruota l’allontanava sempre più dalla città, e la morsa intorno al cuore si faceva più serrata. Tutto era accaduto così in fretta, tanto in fretta da non riuscire più a capire come era iniziato. Ed era un gioco ,una città virtuale in cui era entrata un giorno per caso.


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Vestita d’una veste da caccia la donna s’era presentata all’entrata della città dalle alte torri merlate.. Aveva percorso il ponte levatoio con passo spedito ed energico, s’era presentata al corpo di guardia, aveva dichiarato il suo nome e la merce che portava (frutto d’una caccia fortunata) affermando di volerla vendere. Sperava di ricavarne una buona sommetta. Per lei era un bene prezioso perché viveva sola, unico sostegno di se stessa. D’età matura ma ancora bella, di forma aggraziata, gettò con un gesto spavaldo la selvaggina sul tavolo: <Vorrei andare al mercato per vendere queste bestie – disse con una voce gutturale. Era il timbro di chi passava lunghe giornate in silenzio. Un leggero raschio della gola, un suono che sorprese la donna stessa. Sussultò, da tempo il suono della sua voce le risuonava estraneo.
< Vai alla piazza del mercato,, gira a destra, troverai la macelleria di mastro Carlot. Puoi trattarci bene, è un uomo onesto. Ti fermi in città a dormire?> La voce che l’interrogava era monotona e proveniva da un soldato del corpo di guardia.
<Nooo – rispose la donna torno alla mia capanna nel bosco. Sono attesa.> Fece un sorriso simile ad una smorfia. Attesa: Ma da chi? Cominciò a ridacchiare. La guardia la guardò con sospetto.
< Da Bardolino – si affrettò a spiegare la donna – non è abituato a rimanere solo . E poi devo dare da mangiare a Callerio e Sigino.>
-< Eh, i figli – sospirò la guardia – sono sempre esigenti vero?>
La bocca della donna si aprì in un largo sorriso, ma prudentemente ricacciò in gola la risata che ne stava per uscire.
-< Avete ragione sospirò – oh, come avete ragione!>
-< Andate, andate pure.>
Si affrettò fuori con passo lesto, la mercanzia gravava sulla sua schiena e i singulti delle risa sembravano mugolii di fatica. Se avesse saputo quello zotico! Bardolino era un piccolo cane grigio, un bastardino che aveva trovato sperduto nel bosco, sempre sporco e affamato e Callerio e Sigino erano due coniglietti che aveva allevato, e che non avrebbe mai osato mangiare. Sarebbe stato come cibarsi di due parenti! Beh, forse quelli…mah! Rideva ancora quando sbucò sulla piazza. Si guardò intorno e vide la macelleria a due passi, si diresse verso l’ingresso. Non fece caso ad un gruppo di persone che era li vicino, non si accorse delle occhiate stupite dei presenti, o per lo meno non ci badò molto. Era abituata, perché il suo modo di vestire era….originale. Abitare nei boschi, vivere una vita allo stato brado…lottare contro i mille pericoli che ogni giorno l’insidiavano…non aveva spazio per curare la sua persona. In ogni paese dove era stata a vendere era la stessa cosa. S’era abituata. Strinse alla meglio la cintura di corteccia d’albero che reggeva una veste fatta di morbide pelli di lepri selvatiche. Gli unici ornamenti erano una lunga collana di denti e unghie d’orso e un paio di calzari comperati al paese sulla collina. Ma erano per quando si recava nei paesi a vendere o a comprare quanto le serviva per vivere, altrimenti girava a piedi nudi. Ricordava spesso la vita passata tra i lussi e le agiatezze. Perché non era nata così, povera e selvaggia, ma nobildonna, con ricche vesti di seta e merletti. Aveva vissuto in un castello con tanta servitù e con un uomo, un marito al suo fianco. Un tenero marito che….Tutto era finito un brutto giorno di tanti anni prima. Il suo sposo era morto Il dolore l’aveva annientata, la vita le era sembrata inutile e vuota. E un bel giorno radunate poche ed essenziali cose, era uscita di notte dal castello e s’era diretta verso i boschi. Aveva camminato per ore senza mai girarsi. Dopo cinque giorni duranti i quali aveva mangiato le poche cibarie che si era portata dietro e bevuto acqua di fonte, era giunta in una piccola radura. Uno spiazzo tappezzato di foglie, una piccola cascata d’acqua, i raggi del sole che filtravano attraverso i rami degli alberi. S’era lasciata andare giù, e sdraiata supina a terra, aveva fissato quel piccolo lembo di cielo che si vedeva tra i rami. Sarebbe rimasta li, avrebbe vissuto cacciando ed aspettando di riunirsi al suo sposo. Era cominciata così la vita di Dagmar, la donna cacciatrice. In seguito aveva esplorato i dintorni, aveva costruito alla meglio una piccola capanna di rami e foglie per ripararsi dal tempo cattivo, aveva preparato anche un piccolo focolare di pietre dinanzi all’ingresso. A sera, quando la luna colpiva con i suoi argentei raggi la cascata, si bagnava sotto il getto freddo, e quella sferzata gelida sulla pelle era uno stimolo incitante per continuare a vivere. La notte la sua sola compagnia erano le ombre, passate, presenti, future. L’alba la sorprendeva ancora assopita, ma desiderosa di scoprire il mondo che la circondava. Finchè un giorno fece un incontro, un brutto incontro. Non aveva armi con se, solo un piccolo pugnale, poco più di un coltello che si era portato dietro quando era uscita dal castello, dei lacci e qualche verga. Il necessario per catturare piccole prede, e il trovarsi di fronte un uomo armato di spada e cotta di maglia metallica, l’impaurì. Non sapeva chi era, ma dal vestito e dalle armi capì che non era amico. E dallo sguardo… Sghignazzando con la bocca larga l’apostrofò:-<Dove vai donna?> Fece un salto indietro con l’agilità d’una pantera, che mai avrebbe avuto vivendo nelle mollezze della vita passata, ma che la vita che conduceva al presente, aveva stimolato. La mano era già armata di pugnale e pronta a colpire. Fu però un caso, un vero caso, se l’uomo armato inciampò in un ramo e le cadde dinanzi in ginocchio, ma non fu un caso se con rapidità il pugnale, fendendo l’aria, gli tranciò netto e di colpo la gola.
In quell’istante nacque Dagmar la donna guerriero. In un primo momento provò nausea, poi, facendosi forza, tolse al cadavere tutte le armi e alcuni vestiti, e lo trascinò verso il folto del bosco, lontano dalla sua capanna, dal suo giardino prezioso, lo portò dove sapeva che orsi e fiere si aggiravano in cerca di prede. Poi tornò sui suoi passi e cancellò le orme, coprì il sangue con foglie cadute e tornò alla sua radura. Forse quell’uomo non era solo doveva stare all’erta. Facendo un inventario degli oggetti presi scopri che in una borsa c’erano delle monete d’oro. L’effige non le era nota, ma le monete erano un ricco bottino. La cotta di maglia la mise da parte, l’avrebbe buttata, ma la spada, quella si, era bella e robusta.


Mercedesmarconi

   
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