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zanin roberto
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Inserito - 25/02/2007 :  14:07:59  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a zanin roberto
LA BORSA NERA

Camminava con un passo cadenzato e con aria professionale, teneva stretta la borsa nera di filato sintetico, l'inverno non si era palesato e il febbraio se ne scivolava via con un tiepido inconsueto e una luce irreale, l'impiegato che si era perso per ventisei anni i pomeriggi all'aperto. La piazza che attraversava, ora isola pedonale, era splendida incastonata tra due torri di guardia medioevali e una simmetria geometrica che si rompeva nell'alto campanile, si gustava questo nuovo incarico con stupita curiosità.
Si ricordava la fredda luce dei neon, il suo laboratorio chimico con le pareti piastrellate mai una giornata all'aperto a respirare aria non viziata dai fumi acidi o dalle incenerizioni organiche. Ora invece sorrideva del suo nuovo incarico, gli sembrava di recitare una parte che un regista disordinato gli aveva dato per errore, non prendeva sul serio quello che faceva ma non per vendetta, perchè tutto era assurdo, tutto si era distorto, la ragione aveva ceduto ogni suo aspetto all'improvvisazione, c'era in quei gesti un lato buffo.
Procedeva con determinazione e si chiedeva :
- " Ma quanto posso stare fuori azienda? " - " Ahh...me la prendo comoda! " -
Le signore che incrociava erano trafelate, con chiavi, borsette, bambini per mano, cellulari che squillavano, occhiali da sole che scendevano come tendine di un palcoscenico, foulard che svolazzavano a sceneggiare femminilità, poi incontrava i business-man con gli orologi da polso che sembravano una cloche di un aereo, con le caratteristiche catenine d'oro al collo, i capelli ricci con uno strato di gel profumato al tabacco, cartelline sotto il braccio e i cellulari che escono a cascata dai taschini a renderli vagamente cibernetici, "homo narcisus", specchiati e patinati, effeminati e barocchi da rendere malinconica e futile una bella giornata.
Finalmente arrivò alla Banca, erano le quindici e tredici minuti, lui che per trenta anni aveva sempre delegato alla moglie ogni contatto con quel mondo di contabili e di regole ragionieristiche che mai aveva compreso, stava per entrare.
La bussola vetrata si richiuse imprigionandolo nella cabina, subito scattò l'allarme ooggetti metallici.
- " Ma che c....! Ma porca miseria, che sta succedendo!" - si agitò, poi si ricompose, quando sul led lesse "ENTRARE", in un bel verde fluorescente avanzò grattandosi il collo, con aria sicura ma con il sudore che gli rigava la schiena.
C'era la coda, otto persone, per due sportelle aperti.
Guardò con orgoglio la borsa nera, non era il camice bianco ma ...vestiva, pensò per un istante che non sapeva nemmeno quanto denaro avesse e se fossero entrati dei rapinatori e gli avessero rubato il contante? mica avrebbe dovuto risarcire il furto, si chiese, mentre una signorina dallo sportello lo osservava con lo sguardo di chi soppesa ogni cliente.
Era carina, con gli occhi gioiosi e un corpo che aveva nell'equilibrio delle forme la sua apoteosi, ma ahimè non avrebbe mai potuto dirglielo, preso com'era a ricordarsi il perchè era li.
Quanto avrebbe voluto poter filtrare una soluzione, o misurare un pH di una sostanza, o semplicemente pipettare un solvente, cose naturali per un chimico invece di guardare carte e non capire che cosa fossero, contare del denaro o firmare quei moduli cosi asettici e antiestetici.
L'orologio segnava le quindici e ventotto minuti, il direttore della filiale, sapete quei ragazzotti un pò calvi, con le guance grossocce ed eternamente in maniche di camicia, usci dal suo ufficio, squadrò i clienti, mi scrutò per un pò, poi dovette realizzare che non ero "un affare potenziale" e svani seguito da una impiegata, tutta vestita di nero, che gli scodinzolava come un cagnolino a cui avessero promesso un osso a lungo agoniato.
La fila si era dimezzata.
Di colpo, entrò con runore, un energumeno, in divisa, testa rasata, barba incolta, lunghe mani, con alla cintura una pistola e sotto braccio un sacchetto di panno grigio, era uno degli agenti addetti al trasporto di valori, strizzò l'occhio alla sportellista biondina, superò il nuovo cliente quasi non lo avesse visto e tutto riprese a pulsare normalmente.
Nella fila c'era una bella signora, che iniziava a stufarsi dell'attesa, mentre dietro un maturo signore appostrofò il nuovo incaricato di spiegargli quale era il modulo da compilare per un deposito.
- " Guardi che proprio non lo so ! " disse con incredula sincerità e sforzandosi di non sorridere per buona educazione, guarda il caso eppure era tutto vero. Quando si presentò allo sportello si schiari la voce e disse deciso:
- " Sono il nuovo addetto della ditta EGOFILA,si...il mio colega è andato in pensione...cioè, in mobilità, bè insomma ...è in prepensionamento! "
- " Lei è il signor R.Z. nato il ? " disse la signorina che da vicino era ancora più carina e con una voce calda e tranquilizzante.
- " Chi...io?...ah, ehm, si...19 02 19...." - rispose imbarazzato.
- " Bene, bene, bene, ecco fatto metta una firma qui e....mah veramente il numero di conto non è corretto, questo è un numero privato..." disse con distacco, senza infierire ma determinata come un vigile urbano che ti colga in infrazione.
- " Ah bè, io, veramente, non so, si,... sa tutti i documenti li compila il direttore amministrativo, sa per me è...arabo! "
la guardò negli occhi desideroso di comprensione, ma capi, che quella era routine e che le considerazioni facevano parte del rito, di quella casta, chissà come lo avrebbe giudicato, ma in fondo ma in fondo non gli importava molto, viveva in una dimensione che poteva benissimo essere surreale.
- " Si, questo è il conto privato del vostro amministratore, non della azienda, ...si sarà sbagliato! "
- " Già " - disse il nostro impiegato che richiudeva la borsa nera con la sua ricevuta regolare, salutò e ringraziò come di solito usava fare dal suo medico dopo una visita medica.
Pensava all'errore...all'equivoco, pensava a ...come gira il mondo.
Usci dalla banca proprio mentre una tenerissima pioggerella iniziava a spolverare la magnifica piazza, erano le quindici e quarantanove minuti e adesso doveva affrontare l'uffico Postale.
Strinse la sua borsa nera, diede ritmo al suo incedere e si diresse senza esitazione verso il fonde della piazza, non riusciva a farsi passare quell'ironico sorriso dalla bocca, lui che per anni aveva fatto reagire atomi di sostanze ora si era ritrovato a far reagire il suo animo dalla narcosi di incredulità di cui era prigioniero.
La borsa nera lo conduceva per mano.


di Zanin Roberto

zanin roberto

   
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