Le luci al neon sono cosi impersonali, sono cosi volgari,senza i toni caldi, senza quell'alone di mistero, illuminano l'ingresso della mia azienda, e gli uffici che si allungano nel corridoio stretto, con una cerulea atmosfera di vago rimprovero.
In inverno, il pomeriggio si esaurisce dopo il coffea break, e quella luce artificiale subentra impopolare, svampendo di pallore ogni dove,l'umore certo ne risente, ci si guarda le mani che risultano esengui e perfino le tastiere dei computer si smaterializzano leggermente senza rumore.
Il telefono tace, assorto nel suo prossimo esplodere, la graffettatrice colpisce con secco scatto i fogli incolpevoli, Leandro, rosso in viso si libera di un elenco a lungo sopportato e lo getta con soddisfazione nel cestino, ricolmo di cellulosa strapazzata, si alza concentrandosi sulla sua schiena che reclama uno stiracchiamento a lungo meditato.
Si guarda attorno con aria fanciullesca, spera in un approdo piacevole e si lancia verso il giaccone appeso al muro per cercare e prendere il suo pacchetto di sigarette, poi sorride compiaciuto e sparisce rapido oltre la porta d'ingresso all'esterno e si assapora il suo nettare quotidiano.
Fuori l'umido si fa sentire, il grigiore del giorno ti comunica tristezza e fatalismo, la luce ancora si fa carnefice. Si muovono alcuni operai, protetti dalle loro uniformi color nocciola, schizzano veloci a portare informazioni negli uffici, entrano con le loro carte sgualcite, entrano ed escono gli autisti mentre nel grande piazzale asfaltato si lavora a caricare con i muletti un camion dal telo verde campo.
Le ultime luci del pomeriggio si perdono dietro i tetti, la penombra diventa generale, Leandro fuma contento la sua sigaretta, liberando respiri lattiginosi, le vetrate dell'ingresso si sono appena appannate, me ne sto con i miei pensieri di cinquantenne.
Le mie dita continuano a cercare la tastiera ma sono con il ricordo al mio laboratorio, a quelle splendide giornate dove scoperto l'inganno della soffisticazione di una materia prima, mi accingevo a relazionare, appunto nel tardo pomeriggio, al titolare che da tre anni ha venduto la nostra azienda.
Quante battaglie, quante amarezze ma nella certezza di essere nel giusto, non mollava "l'osso", non voleva assecondarmi, c'erano sempre verifiche alle verifiche...mai una presa di posizione, mai un "buon lavoro", mai una vittoria che non sia almeno di altri colleghi.
Ma mi bastava.
Sapevo che in fondo mi ammirava ma adesso, ma adesso...questi nuovi barbari, venuti da lontano, con il loro dialetto sfacciato, sono ignoranti ma potenti.
La porta d'ingresso si spalanca improvvisamente, la faccia rugosa, segnata da un colore rosso violaceo, con una sciarpa indecente che si attorciglia al collo, mi si presenta il "vecchio padrone", ha gli occhi umidi offesi dal freddo e dall'aria, ma guarda il caso!....
Lo fisso, è venuto in bicicletta, con il freddo che gli cola dal giubbino, sorride, di quel sorriso che una volta era furiero di sfuriate, ora è un gentile inchino, quasi a scusarsi, ci guardiamo negli occhi, ognuno sepolto dai ricordi, dalle rispettive posizioni, ognuno sopravvive, cerca di respirare, si danna per un raggio di sole.
Abbiamo perso entrambi,non doveva andare cosi...
Mi chiede con amichevole supponenza se c'è il direttore amministrativo, suo ex secondo in comando, ma al mio professionale "è in riunione" non ribatte, si gira atletico sui tacchi, da un colpetto di tosse classico del suo repertorio, alterna passi insicuri e lascia cadere un fievole "grazie", svaporato e poco umano, uscendo dalla sua ex azienda.
La luce del neon mi appare ora odiosa e appiccicosa, il "carnefice" mi ha fatto piacere rivederlo, chissà forse ci stimavamo più di quanto i ventisei anni di contrasti possano far capire, so che il solco di idealità che ci divide è molto profondo ma è vero che non c'è mai limite al peggio.
Il telefono squilla mentre sul video compare uno zetafax, entra un nostro agente di commercio e mi chiede con un vago ghigno :
- " Ma Roberto, dimmi....il vecchio proprietario com'era?"
- " Oh...è una lunga storia, amico mio...un giorno o l'altro te la
racconterò...ma sappi che è facile fraintendere!"
Leandro rientra, facendosi seguire da una lunga scia di odore nicotinico, il rappresentante riappare con un bicchierino fumante di caffe espresso che ora copre tutto con un'aroma invitante, mentra Chiara scendendo dalle scale si fa precedere dal suo profumo di donna, e la giostra delle sensazioni continua a colorare la giornata a dispetto di quella luce al neon acromatica.

di Zanin Roberto