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 MALO GALLICO
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zanin roberto
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Inserito - 01/12/2006 :  23:37:30  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a zanin roberto

MALO GALLICO

Fra Guglielmo da Bassano era un uomo alto e con due spalle larghe che tradivano un passato non proprio contemplativo, era un grande mangiatore di carne e nonostante quelli fossero anni di miseria nera, si adoperava per non saltare mai un pasto.
Era partito dalla sua città tanti anni prima ed era da prima approdato a Portogruaro poi si era trasferito a Cordovado, chiedendo asilo al priore Fra Stefano dei francescani, che non avendo altra missione che fare del bene, ebbe il coraggio di prendere sotto la sua protezione quel povero cristiano, fidando di farne il suo degno successore ora che gli anni gli pesavano.
Nel 1592 la Madonna era apparsa ad una giovane contadina di Cordovado, chiamata Scantina (Innocente) e aveva espresso il desiderio che si erigesse una chiesa al suo culto, cosa che si era compiuta nel 1602 anno della consacrazione del Santuario, con il sacrificio di molti cordovadesi e di donazioni da tutto il nord Italia.
Ora vicino al Santuario si era costruito un convento dei Domenicani e le pelegrinazioni si susseguivano con frequenza, in anni in cui la peste mieteva vittime in abbondanza.
Fra Stefano si era innamorato di questo ameno paese e per dare un segno tangibile della sua devozione e fede volle edificare in ingresso di paese una chiesa e un convento dei francescani che prese il nome di Madonna Campagna.
Appunto in questo luogo fra Guglielmo venne ricoverato e iniziò il suo cammino di collaborazione con il priore frate Stefano. La vita era dura e la preghiera frequente, il lavoro si faceva sempre più pesante con l'aumentare della miseria e dei fratelli, il borgo di Cordovado viveva di agricoltura e di scambi che si tenevano vicino al guado di un ramo minore del fiume Tagliamento.
In quel 1608, il vescovo Sanudo si era trasferito nel periodo estivo nel castello di Cordovado, spesso cavalcava in mezzo alla campagna, verso la villa del Venchieredo fino ai molini di Stalis che affondavano le pale di legno nel placido fiume Lemene, senza dimenticarsi che quelle terre erano sotto il dominio del potente abate di Sesto al Reghena.
Le risorgive, con le olle limpide d'acqua e i salici che si tuffavano nelle roie sparse rendevano il luogo incantevole, ricco di selvaggina e di alberi da frutto, noccioli, melograni,pomi selvatici, prugni arricchivano quella pianura che si livellava fino al mare in una fitta foresta, luogo che avrebbe ispirato l'Ippolito Nievo nel suo romanzo un secolo dopo.
Frate Guglielmo soleva prendere un asinello e trascinarsi fino ai molini di Stalis, dove senza paura alcuna, si liberava del saio e si tuffava nudo nel Lemene, si godeva il refrigerio dalla calura pomeridiana, poi raccolta un pò di frutta, rientrava al convento francescano di Madonna Campagna e raccontava al paziente priore fra Stefano che si era spezzato la schiena per raccogliere la frutta da portare alle cucine.
Un giorno il vescovo Matteo Sanudo scortato da un paio di armigeri stava cavalcando nella zona del Venchieredo quando senti del trambusto in mezzo ad un folto campo, un susseguirsi di movimenti furtivi, si fece dare un arco e scagliò un paio di frecce, in rapida successione, nella direzione sospetta. Infilzò ad una gamba uno sfortunato sconosciuto. Gli armigeri lo raccolsero e lo fecero inginocchiare al cospetto del vescovo Sanudo.
- " Chi sei, omo o canaglia?...timorato di Dio o infedele?..." chiese con risolutezza il prelato.
- " Sono lo frate Guglielmo, francescano, dello santo convento di Madonna Campagna...mi ero perso nello inseguir tra le alte erbe, uno fagiano...per lo sostentamento dello mio convento...eccellenza" disse piagnucolando l'uomo in crisi di giustificazioni mentre una donzella non vista si dileguava oltre le vigne.
L'aria non si placava, l'odore forte di muschio e di foraggio si alternava al mirabile profumo del sambuco, variegato dalle lontane fragranze dei tigli e addolcito dall'ombra delle alte acacie, il frate si sollevò ma la freccia lo faceva sanguinare e il dolore era forte.
- " Vi supplico eccellentissimo di darmi assistenza prima che io muoia, ...non ho fatto nulla di sconveniente e voi forse avete esagerato nel cacciarmi come una volpe o faina che ruba polli !"
- " Che il santissimo nome di nostro Signore mi sia da testimone, voi avete ingannato la mia ragione assumendo una parte che facilmente si poteva scambiare per un animale, preda di caccia, ora che abbiamo appurato la verità vi farò medicare in Corduvato, nella villa castellana dove soggiorna lo speziale, voi trasportatelo colà!" disse con decisione il vescovo.
Il ponte levatoio della porta nord dell'area castellana era sceso e la sorveglianza era ridotta ad un paio di sentinelle in uniforme della repubblica veneziana, il drappello entrò al galoppo e subito si diresse alla "barchessa" dove si trovava il dottore.
Frate Guglielmo venne medicato e rifocillato e ottenne dal suo tutore fra Stefano il permesso di poter restare ospite del vescovo Sanudo per li giorni necessari alla guarigione.
Più si cicatrizzava la ferita alla gamba, più si faceva grave una ulcerazione all'inguine, tanto che un giorno in cui era comparsa anche la febbre, si decise a consultare lo speziale per porre rimedio a quel terribile bruciore.
Lo speziale, famoso studioso, laureatosi all'università di Padova, aveva seguito il vescovo nella sua missione e gli stava vicino come medico personale, aveva fama di essere molto moderno e all'avanguardia nelle conoscenze e abile terapeuta, tanto da essere citato fino a Roma.
Costui era discendente di una nobile famiglia scaligera che aveva terre e castelli in varie zone della Repubblica Veneziana, il suo nome era Florio e non aveva ancora legato il suo destino ad un evento straordinario, ma di li a poco lo avrebbe fatto.
Frate Guglielmo era disteso su un lettino di paglia, con un drappo di lana come coperta, gli occhi erano arrossati, la febbre era salita molto, tremori lo scuotevano in continuo, le labbra erano riarse e alcune pustole lo tormentavano all'inguine, lo speziale lo fece mettere in piedi e gli controllò la pelle della schiena, sotto le ascelle e ascoltò il torace, poi gli disse di fargli vedere la lingua che presentava una grossa pustola ulcerante, infine lo spogliò dei panni che gli avvolgevano i genitali e scopri nuove ulcerazioni, si passò la mano sul mento foltemente barbuto e quindi disse:
- " Malo gallico caput est et infirmatus esset"
Erano passati solo quindici anni da quando un medico spagnolo descrisse e riconobbe la sifilide, prima testimonianza a Barcellona nel 1493, da Ruy Diaz de Isla. La nefanda malattia che si trasmetteva tramite pratiche sessuali, seguiva le grandi armate di soldati che attraversavano l'Italia, quella di Carlo V e al seguito dei francesi.
In questa narrazione romanzata si ha la prima testimonianza tratta da una nota redatta da un notaio in Cordovado nel 1506 della malattia in Friuli, il "malo gallico" o male francese.
Frate Guglielmo fuggi lontano una volta venuta alla luce la sua condotta con lo sconforto dell'anziano suo tutore, frate priore Stefano che tanto aveva riposto in lui.

di Zanin Roberto

zanin roberto

   
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