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 Thank you, Mr Bean
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Roberto Mahlab
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Inserito - 07/08/2010 :  21:40:45  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
“Vorrei che tu andassi, per capire”, le diceva Daniel molte volte.
“Ti darò la risposta”, gli rispondeva Julie sorridendo, molte volte.

“Vi porto di nuovo dal giapponese stasera?”, il tono di Daniel era speranzoso.
“Ottima idea, il mio piccolo David ne è rimasto entusiasta la volta scorsa, facciamo alle sette e trenta?”, il cuore di Daniel accelerò.
“Abbiamo ancora un tavolo, ma venite alle sette e tre quarti precise, vi metto a disposizione il cuoco della volta scorsa”, il proprietario del locale confermò la prenotazione a Daniel che lo rassicurò sulla puntualità, non aveva alcuna intenzione di ricevere lo sguardo di fuoco del cuoco, uno dei migliori artisti di Parigi nel far volteggiare i coltelli in aria, se fossero arrivati in ritardo.

Si preparò con largo anticipo, scese in garage per prendere l’auto, arrivò mezz’ora prima, parcheggiò a cinquanta metri di distanza, in attesa delle sette e trenta, il tramonto era ancora lontano dall’azzurro cielo estivo della capitale francese, “meno male”, pensò Daniel, ricordando che la settimana prima si era abbattuto sulla città un acquazzone con tuoni e fulmini tale che Julie gli aveva telefonato dicendogli che non se la sentiva di uscire. Naturalmente dieci minuti dopo la disdetta la pioggia era cessata improvvisamente e il cielo era tornato sereno e Daniel si era ritrovato da solo a camminare senza meta per tutta la sera, protestando al vento contro la sorte beffarda.

Due minuti dopo che ebbe arrestato l’auto, il cielo si rannuvolò e all’improvviso si fece udire il rombo del tuono che precedette di pochi secondi una cascata d’acqua, i chicchi di grandine sorpresero i passanti che si misero a correre verso le fermate dei mezzi pubblici, senza poter evitare di bagnarsi dalla testa ai piedi. Daniel rimase inebetito, diede uno sguardo all’ombrello che si era portato dietro per scaramanzia e sospirò nell’attesa di ricevere la telefonata di Julie che gli chiedeva di rimandare anche quella cena.
Ogni minuto che passava, pioveva più forte e ogni minuto che passava Daniel stringeva tra le mani il cellulare. Rassegnato al peggio, pensò a quando sarebbe tornato poco dopo a casa e alla serata solitaria a leggere. Ormai non si arrabbiava neppure più contro le avversità che pareva si scatenassero ogni volta che programmavano di incontrarsi. “Il folletto dispettoso della galassia non vuole che ci vediamo”, era il loro scherzoso modo di ironizzare sugli avvenimenti.

Alle sette e venticinque il cellulare era ancora muto, incredulo Daniel rimise in moto l’auto e si portò sotto casa di Julie e David. Alle sette e trenta precise, come suo solito quando Julie gli dava un appuntamento, scese dall’auto con l’ombrello aperto e premette il pulsante del citofono, :”ciao, scendiamo appena finisce l’episodio di Mr Bean, David non ne perde uno”, disse la voce di Julie. “Ma certo, fate con comodo”, rispose Daniel, sollevato, era disposto ad attenderli anche tutta la notte, felice che Julie non si fosse accorta dell’uragano che ancora infuriava, forse perché avvinta insieme a David dalle comiche avventure di Mr Bean in televisione. “Thank you Mr Bean”, sussurrò Daniel. E quando fossero scesi, Daniel pregustò il momento in cui li avrebbe protetti con il suo ombrello, mentre teneva loro aperta la portiera. “Speriamo che non smetta di piovere”, si sorprese a pensare.

Mr Bean intanto sullo schermo guidava la sua Mini verde acido, con nel sedile a fianco il suo orsacchiotto di peluche Teddy, pioveva a dirotto e così salì su per le scale con l’auto, parcheggiandola in salotto. Aprì la finestra e vide dall’altra parte della strada un uomo che premeva un citofono, poi si volse e vide dall’altra parte dello schermo una donna che si alzava e rispondeva, mentre un bambino rideva delle sue espressioni facciali. Soffiò con tutto il fiato che aveva e ripulì il cielo dalle nuvole, tranne che davanti al marciapiede su cui l’uomo con l’ombrello attendeva che la donna scendesse per farsi apprezzare quale perfetto gentiluomo.

Daniel osservò che tutt’attorno le nuvole avevano lasciato spazio all’azzurro e un arcobaleno che lo lasciò senza fiato attraversò il cielo e desiderò che lei lo vedesse. Guardò l’orologio, erano le sette e tre quarti, la puntualità al ristorante era saltata e sperò che il loro tavolo non fosse stato dato a qualcun altro e che il cuoco non lo prendesse come bersaglio nel lancio dei coltelli per punirlo del ritardo. Non si sentiva ancora sicuro, e se Julie avesse aperto la finestra e visto come pioveva forte davanti alla sua casa e allora avesse deciso di rinviare la cena? E se al contrario avesse smesso di piovere e la sua speranza di proteggerla con l’ombrello fosse stata delusa?

Mr Bean adorava quando il piccolo spettatore rideva così di gusto e diede un altro sguardo dalla finestra del cartone animato e vide che l’uomo con l’ombrello guardava speranzoso lo spazietto di cielo piovoso e l’arcobaleno attorno e si mise a soffiare fino a che anche le ultime nuvole sopra l’uomo vennero spazzate via.

“Oh no!”, mormorò Daniel con sgomento, “Julie non saprà mai che il mio sogno era di proteggerla con l’ombrello, proprio adesso doveva smettere!”.

E, proprio in quel momento, si aprì il portone e Julie e David gli sorrisero, “ma che fai con quell’ombrello aperto?”, gli chiese Julie stupita.

Nei titoli di coda intanto Mr Bean era piegato in due dalle risate alla vista della scena dell’uomo con l’ombrello aperto, mentre il cielo era azzurro e la donna gli lanciava uno sguardo interrogativo.

Daniel rinunciò a dare qualsiasi spiegazione, Julie non gli avrebbe mai creduto. “In tv c’era Mr Bean che spostava le nuvole!”, raccontava il piccolo David entusiasta. “Ma che coincidenza”, mormorò Daniel.
“Che bella serata, meno male che non piove, ti ricordi che l’ultima volta abbiamo dovuto annullare per il temporale?”, disse Julie con trasporto. “Thank you, Mr Bean”, sussurrò ancora Daniel.

Lasciarono l’auto in un garage vicino al ristorante e arrivarono al loro tavolo alle otto e trenta, Daniel cercò le parole per scusarsi, ma il cuoco giapponese lo guardava storto e così non volle rischiare di farlo arrabbiare raccontando che la colpa del ritardo era di Mr Bean.

“Ci andrai?”, le chiese Daniel mentre assaporavano le squisite tagliatelle di soia.
Lei gli sorrise e non disse nulla.

Quando tornarono al garage, Daniel chiese loro se lo seguivano fino al piano dove l’auto era parcheggiata, non voleva lasciarli soli all’entrata. Julie disse di no, lo avrebbero atteso di sopra, Daniel non ebbe la forza di contraddirla e disse che avrebbe fatto prestissimo. Mandò il motore su di giri per raggiungerli dopo pochi secondi e li vide nell’angolo, gli si strinse il cuore, si tenevano stretti, si abbracciavano come per proteggersi l’un l’altro, gli apparvero così fragili, eppure lo sguardo di Julie appariva determinato, i suoi occhi assomigliavano a quelli di un cerbiatto.

“Andrai?”, le chiese Daniel prima di accomiatarsi.
Lei lo abbracciò, prese per mano il bimbo e sparirono nell’ingresso della casa.

§§§

Sabato, sì, Shabbat, ognuno ha la sua sinagoga personale, Daniel andava in montagna, o sciava d'inverno, o faceva il giro del laghetto circondato dalla foresta di pini in primavera, o saliva in quota con la funicolare e scendeva a piedi sui sentieri in estate, "vieni al Tempio sabato?" gli chiedevano gli amici, "no, vado a in montagna, a vedere le bellezze del Creatore", rispondeva. E quel sabato si trovava a metà strada dalla vetta verso il villaggio, la vista del laghetto, le montagne, il cielo, era spettacolare, tutti pensieri di turbamento e di incomprensione delle vicende umane venivano spazzati via in un istante, quella era la vera vita, il vero significato, il simbolo di quanto era contenuto negli animi umani. Nel punto da cui si godeva del panorama più mozzafiato, sotto i pini e sulla cima di una collinetta, c'era una panchina, “se fossero tutte così le panche con vista nelle sinagoghe, tutti si convertirebbero all'ebraismo”, gli venne in mente, “marketing, si chiama”, aggiunse divertito.

"E adesso mi leggo un capitolo del libro di uno dei miei autori preferiti", si disse sedendosi sulla panchina, Marc Levi, scriveva di favole moderne, il suo mito, uno degli scrittori più letti in Francia. Il sole era caldo, toglieva tutta l'umidità di una settimana in città, svuotava le menti appesantite “anche di chi nella mente non ha neppure le rotelle come me”, si prendeva in giro da solo, le pagine scorrevano via deliziose, l'eroe scalava vette e attraversava oceani, il suo coraggio proveniva da una forza misteriosa che lo spingeva ad osare l'impossibile per ritrovare la sua amata scomparsa nel corso di un incidente organizzato dalle trame dei cattivi nel nord della Cina. Era mezzogiorno, chiuse il libro, chiuse gli occhi, si dedicò solamente a respirare quell'aria, rintoccarono le campane del villaggio mille metri più sotto,”campane nella mia sinagoga?”, osservò con ironica sorpresa. Passò un minuto, riaprì gli occhi, osservò la radura tra i pini a venti metri di distanza, una figura marrone chiaro, quattro zampe, corpo soffice e allungato, un cerbiatto, bambi in persona, "oh Signore!", esclamò quasi cadendo dalla panchina, “be’,potrebbe anche sembrare che sto recitando Shachrit, la preghiera del mattino, a ben vedere”, ringraziò per quella visione, il cerbiatto lo osservava anch'esso, "che bell'animale", pensò Daniel.
"Ma guarda questo strano animale che invece di starsene nella sua città viene nel mio bosco con i piedi sulla panchina per leggere", forse pensò bambi. Per quindici secondi si fissarono, estasiato Daniel, con tranquillità il cerbiatto. Poi riprese a muoversi leggero e scomparve tra i pini. "Aspetta, che cosa sei venuto a dirmi? Significa qualcosa?", lo sguardo di Daniel lo inseguì anche quando non c'era più, no, non era possibile, non poteva essere il messaggio che tutto si era rimesso a posto, che l'apparente silenzio di Julie non era dovuto a ulteriori problemi, li aveva risolti uno per uno, si era rivolta a lui ogni volta e ogni volta Daniel li aveva scostati come rami nel difficile cammino di un bosco impenetrabile.

Ma il silenzio di Julie era proseguito, anche la sera di quel sabato, anche per tutta la mattina di domenica, pensieri ingiusti si rafforzavano nella mente di Daniel, la sua fantasia elaborava scenari da tragedia greca, “manca un giorno, un solo giorno, non ha ascoltato quello che vorrei che andasse a dire, ma le donne, perché sono così?". Poi nel pomeriggio alle quattro e trenta un sms al cellulare, "ci vediamo tra mezz'ora a prendere il thé al solito posto".

"Devo ancora finire la valigia", lo sguardo di Julie era pieno di gioia, gli occhi radiosi, i pensieri drammatici di Daniel si sciolsero come le zollette di zucchero nel thé, la riempì di frasi, "e poi potresti dire così e così", giorni interi di parole preparate che sgorgavano come acqua da un ruscello, lei sorrise, annuì, si trattiene dal dirgli :"me lo hai ripetuto cento volte nell'ultimo mese quello che vorresti che io dicessi", lo lasciò sfogare.
"Mi piacerebbe incontrare la nostra amica del kibbutz", disse Julie quando il torrente di Daniel si fu prosciugato. "E' lei il vero Israele", le rispose. "Porto con me il suo numero di telefono, chissà se potremo vederci", sospirò lei. Daniel non disse nulla, ma rifletté “se ha capito questo, ha capito quanto disperatamente cercavo di spiegarle da mesi ed ero convinto che non avesse capito, ma perché gli uomini sono così?". Passò veloce quella mezz'ora, Daniel aveva detto tutto quanto, Julie si alzò, doveva tornare a preparare le valigie, "e David vuole vedere il nuovo episodio di Mr Bean", aggiunse ridendo. Non sarebbe mai partita senza vederlo e farlo parlare, Daniel lo comprese infine, lei lo osservò per qualche secondo e poi scomparve leggera come un cerbiatto, "è la seconda volta che ti vedo in due giorni", mormorò Daniel e si rese conto in quell’istante di come il giorno prima un cerbiatto fosse venuto a dirgli che le sue paure erano inesistenti e di come Julie avrebbe portato il suo messaggio.

E quella sera Mr Bean sospirò e strizzò un occhio al piccolo David al di là dello schermo, "è divertente essere spettatori delle vostre vicende umane", sembrava che dicesse.

Roberto Mahlab


   
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