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 Memorie di un uomo
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Bruno Antognini
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Inserito - 12/01/2006 :  13:09:37  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a Bruno Antognini

La città era stupenda, dal mare si estendeva fino ai piedi della collina in un susseguirsi incessante di vigneti ed alti eucaliptus. Scrutando l’orizzonte si vedeva maestoso il monte che aveva fatto sognare Ulisse, il regno della maga Circe. Il tavolo era sempre lo stesso, solo gli scogli lo dividevano dai flutti. Seduto, intento a guardare lo scintillante mare un uomo, aveva una settantina d’anni, la fronte segnata da qualche ruga, pochi capelli bianchi, due occhi celesti che sembravano due macchie rubate al cielo. Sembrava parte del paesaggio, le mani forti e callose intente a girare lentamente il cucchiaino in una tazzina fumante di nero caffè, il corpo guarnito in un elegante vestito blu scuro. Alle sue spalle altri tavoli, appendici di un localino molto rustico, e molto caratteristico, il nome spiegava le sue origini, “caffè lo scoglio”. Le pareti erano coperte da legno, sembrava ciliegio, e qua e la erano ornate da reti di pescatori e grandi conchiglie. Dei quadri rappresentanti scene di pesca d’altura completavano l’arredamento.
Le persone sedute erano tutte silenziose, non tristi, semplicemente raccolte nei loro pensieri, il rumore lieve delle onde che si infrangevano sugli scogli una musica suadente che favoriva la concentrazione. Vista dall’esterno quella scena sembrava strappata ad un film.
Lasciai il sentiero e entrai nel locale, ordinai un caffè e andai a sedermi all’esterno, vicino a quell’uomo. Senza levare lo sguardo dal mare cominciò a parlarmi ................
“ Vedi, la mia vita non si è mai staccata dalle emozioni offerte dal mare, entrai giovanissimo in marina militare, fui ben presto imbarcato sul Conte Biancamano e su di esso cominciai a girare il mondo. Erano anni duri, gli anni della guerra, anni segnati da un grandissimo scempio di vite umane, ma erano gli anni della mia gioventù e li ricordo comunque con grande amore e passione. Nel mio girare ho conosciuto tanti ragazzi, molti come me ce l’ hanno fatta, altri non ci sono più, hanno perso la loro vita in terre lontane, senza l’affetto ed il calore dei loro cari, ma con l’orgoglio e la fierezza di aver onorato la loro divisa e la loro Patria.” Per un lungo attimo i suoi occhi si riempirono di lacrime, i ricordi dovevano suscitare in lui forti emozioni. La sua voce un pò tremante ricominciò a narrare .........“ Ricordo che un giorno eravamo in una base di sommergibili tedesca a Bordeaux in Francia, nella notte continuavano ad arrivare treni con una fila interminabile di vagoni, era un rumore fastidioso che ci impediva di dormire e sopraffatti dalla curiosità alcuni di noi, nel buio si alzarono per guardare cosa stesse accadendo. I tedeschi scaricavano dai vagoni tonnellate di materiale ferroso, e lo ammassavano in grandissimi magazzini. Ogni volta che entravano chiudevano le enormi porte alle loro spalle, era impossibile vedere cosa accadeva all’interno. La storia andò avanti per diverse notti e per noi anche se alleati era impossibile avvicinarci a quell’area. Solo dopo qualche mese ci fu raccontato che stavano fondendo grandi quantità di ferro per costruire un cannone di dimensioni enormi. La permanenza in quella base fu tranquilla, finchè un triste giorno un nostro sottomarino uscì in missione e fu l’ultima volta che vedemmo i nostri compagni, infatti colpito dalle navi nemiche non fece più rientro. Quanti poveri ragazzi morti nel fiore degli anni intrappolati per sempre nel profondo blu. ”
Venne al tavolo una graziosa cameriera che mi portò il caffè ordinato al mio arrivo. Mentre sorseggiavo la calda bevanda, guardavo il profilo di quell’uomo, era commovente lo slancio con cui mi rendeva partecipe della sua vita. Il mare intanto continuava a scintillare sotto i raggi del sole primaverile mentre nel cielo limpidissimo piccole nuvole bianche disegnavano delle figure straordinarie. Era tutto così lontano da me, riuscivo quasi a vedermi dall’esterno del mio corpo, la mia mente leggera veleggiava mossa dalle parole di quell’uomo, aspettavo trepidante che ricominciasse a narrare. Pochi secondi dopo fui accontentato. Si accese una sigaretta, ne guardò l’estremità e riprese lentamente a parlare ................“ Erano anni difficili, gli anni in cui ci si accontentava di poco, bastava una serata in una balera, un bicchiere di vino e la compagnia di una donna, non esistevano le comodità di oggi, non vi erano tante alternative a sere sempre uguali, ma c’erano i nostri stupendi anni, la nostra gioventù e c’era sicuramente più spazio per il dialogo, per comunicare con gli altri le proprie emozioni. La vita di soldato mi portò nei luoghi più sperduti del mondo, pochi sapevano e sanno tutt’ora che durante la seconda guerra mondiale l’Italia aveva delle Concessioni in Cina, che noi marò del battaglione San Marco avevamo il compito di difendere. Quanta gente salvammo da morte certa in mezzo alla neve, poveri abitanti del luogo a cui la guerra aveva portato via tutto, persone a cui era rimasta a malapena la dignità di uomini. Quelle esperienze ci avevano fortificato, reso più maturi, lontani migliaia di chilometri dalle nostre case, dai nostri affetti, soli in luoghi sconosciuti e spesso ostili ”. Mentre parlava dall’interno della giacca prese delle foto ingiallite, le mise sul tavolo e come se volesse dare supporto alle sue parole mi mostrò le immagini della storia che mi stava raccontando.
In alcune foto era ritratto sulla grande muraglia, in altre in posa con suoi commilitoni sul ponte di un sottomarino, in altre ancora sulla branda di una nave. Doveva aver vissuto quegli anni come un’esperienza unica, li aveva divorati con appetito riponendo tutti i ricordi in un baule che non aveva mai dimenticato di portare con se. Riprese a parlare ........“ Finita la guerra tornai a casa, sposai la donna che per tutti quegli anni mi aveva aspettato, rinunciai ad un impiego statale e rilevai un’ attività commerciale. Fu la mia grande avventura, l’avventura che avrebbe segnato il resto della mia vita. Amavo raccontare, parlare con la gente e quindi decisi che il mio non doveva essere un semplice bar, non un semplice luogo di incontro, ma un salotto dove leggere un buon libro, dove scambiare le proprie opinioni con un lieve sottofondo musicale, un locale dove i giovani potevano far conoscere le loro opere, perchè ogni racconto, ogni verso è un opera che merita di essere conosciuta da tutti. Inizialmente incontrai delle difficoltà, ma le mie esperienze parigine mi aiutarono, avevo visto dei locali a cui ispirarmi. Arredamento sobrio, quadri di buona fattura, tavoli quadrati e poltroncine in cui stare comodi. In breve tempo divenne il punto di riferimento della città. Quante storie d’amore ho visto nascere e morire intorno a quei tavoli, ricordo ancora con simpatia dei frammenti. Il mio locale si trovava di fronte all’università, frequentato quindi da tanti ragazzi e ragazze che coltivavano l’aspirazione di diventare dei buoni medici. Non erano ragazzi diversi dagli altri, avevano le stesse preoccupazioni dei loro coetanei, direi qualcuna di più essendo molti di loro nati e cresciuti in città lontane da questa. Latina li ha accolti come ha potuto, con entusiasmo, con genuina ospitalità, ma non ha potuto offrire loro da subito un’organizzazione perfetta e quindi i luoghi di aggregazione sono divenuti soprattutto i locali pubblici, i bar della zona, e fra questi fortunatamente c’era anche il mio.
La prima volta che Serena è entrata nel mio locale, mi hanno colpito subito i suoi occhi chiari, la sua bellezza, ma anche la sua profonda tristezza. Una ragazza che fra le centinaia che abitualmente vedevo si staccava dalle altre, aveva un fascino discreto, e forse quell’aria triste vagamente assente la rendeva ancor più interessante. Si sedeva sempre al solito tavolo, e con grande cortesia chiedeva sempre un caffè al vetro macchiato caldo che beveva a piccoli sorsi guardandosi intorno, mentre con una mano usava toccarsi i lunghi capelli biondi.
Per un certo periodo stava ore ed ore in compagnia di un ragazzo, si capiva chiaramente che erano fidanzati, le loro effusioni non lasciavano alcun dubbio, ma qualcosa non andava sicuramente per il verso giusto, spesso era silenziosa e spesso i suoi occhioni erano colmi di lacrime.
Qualcosa le lacerava l’anima. Il bar era un frenetico vai e vieni di persone, tutte con aria più o meno indaffarata, tutte accompagnate da una fretta del diavolo, con esperienza ormai consumata da oltre vent’anni di lavoro io e mia moglie con un sorriso accontentavamo tutti, ma entrambi eravamo spesso colpiti da quella figura seduta al tavolo, la sua calma, la sua gentilezza al pari della sua misteriosa insoddisfazione catturava spesso il nostro sguardo.
Passarono molti giorni, e la sua presenza era diventata una piacevole abitudine. Con lei negli attimi di stanca si parlava di tutto, dai suoi studi, alle sue passioni, e piano piano si delineava la sua personalità. Io e mia moglie eravamo contenti di darle dei consigli e di ascoltarla quando aveva voglia di parlare. Aveva alle spalle un passato di modella, sogni infranti contro un muro difficile da perforare, un ambiente che regala tante emozioni, tante prospettive, ma se la cosa non va bene lascia solo un pugno di illusioni. Il suo aspetto fisico le aveva dato dei problemi fin da piccola, dimostrava più anni di quelli che aveva, insomma fisico da donna ma l’età di un’adolescente, per cui tutti l’avevano sempre trattata da grande pretendendo che non vivesse la sua età nei modi che invece avrebbe meritato. Non poteva avere bambole, perchè lei era una bambola agli occhi di tutti. Serena frequentò per anni il locale, amava scrivere poesie, era il modo più semplice per scoprire la sua anima di farfalla, lieve, leggera, colorata, finchè un giorno un ragazzo entrò nel locale.................aveva capelli lunghi ondulati, un’aria da sognatore. Si accomodò al banco ed ordinò una cioccolata calda. Si guardava intorno incuriosito, fra le mani un libro dalla copertina sgualcita, probabilmente letto più volte. Nel bar vi erano diverse persone sedute, ma il suo sguardo finì su Serena intenta a scrivere al suo solito tavolo. Si andò a sedere al tavolo di fianco. Proprio di fronte a lei. Per un pò rimase li, sfogliava il libro, ma io mi rendevo conto che non stava leggendo, cercava solo di attirare l’attenzione della ragazza. Passarono delle ore, finchè il destino ci mise lo zampino, Serena si alzò e mentre veniva verso di me, urtò il libro del ragazzo. Si chinò a raccoglierlo e le loro mani si sfiorarono. Non so cosa accadde ma sicuramente sentirono qualcosa, perchè da quel momento era impossibile non trovarli insieme. Il loro amore è cresciuto fra le pareti del mio locale, protetto, ovattato, cullato, finchè un giorno arrivarono insieme e all’unisono mi dissero della loro intenzione di sposarsi. Rimasi per un attimo senza parole felice della loro scelta, li vedevo molto affiatati e innamorati. Una storia d’altri tempi che si concretizzava in un unione stupenda. Tornarono a trovarmi per anni e quando si trasferirono in una città lontana in Inghilterra continuarono a scrivermi sempre. Ora hanno due figli e sono innamorati come allora ed è stato commovente sapere che hanno aperto un punto d’incontro per giovani artisti anche li. La mia vita è stata complessivamente felice, dal mio matrimonio ho avuto tre figli e grandi soddisfazioni, una famiglia vera. Tutto è andato per il verso giusto finchè mia moglie non è morta, una vita passata insieme e poi un’improvvisa solitudine che nessun interesse ha saputo colmare”.
Fece una nuova pausa, questa volta più lunga delle altre, giocava nervosamente con il cucchiaino sporco di caffè componendo strane forme sul piattino, chissà quali pensieri passavano per la sua mente.
Quel paradiso sul mare fu per noi una piccola isola segreta in cui incontrarci e parlare, quell’uomo mi aveva regalato tanti racconti, alcuni ripetuti più volte, altri a volte sicuramente ingigantiti, però mi aveva dato tanto, più di quanto si possa fare in una vita intera. Morì in una domenica primaverile e con lui se se andò il compagno più grande e vero della mia esistenza, quell’uomo era mio padre.
Sarà stato il suo carattere o forse il mio, ma non parlammo mai tantissimo, solo dopo la morte di mia madre scoprii fino in fondo che grande persona era, scoprii che aveva sempre vigilato sull’esistenza di noi familiari con discrezione, ma con attenzione. Mi si aprì un nuovo mondo fatto di racconti lontani dalla mia epoca, fatti di sofferenze, di passioni, ma comunque erano racconti che contenevano qualcosa di importante, la vita di mio padre.
Tante volte ho rimpianto il tempo che potevo trascorrere con lui e che invece per tanti motivi ci siamo negati. Ai miei figli racconto di un uomo stupendo, che amava il mare e che non avrebbe saputo fare a meno di quella distesa azzurra. Per molti è solo una massa enorme di acqua per lui era un oceano di emozioni. Spesso torno a sedermi a quel tavolo e guardo l’orizzonte, ma lo guardo in maniera diversa, quella che per me era una semplice linea era divenuta grazie ai suoi racconti una virgola e non un punto. Dietro vi era un mondo intero da scoprire.
Il localino è sempre lo stesso, vi si respira la stessa aria di allora. Il tempo non ha scalfito minimamente quei ritmi e quelle atmosfere. Le persone si muovono fra i tavoli con incedere lento non si odono voci, ma solo il canto del mare. A volte senza accorgermene ho trascorso un intero pomeriggio seduto a guardare quella distesa azzurra, con la mente occupata a rincorrere i ricordi. Da qualche parte in cielo mio padre e mia madre mi stavano sicuramente osservando e li immaginavo sorridenti e abbracciati. Il tramonto con le sue esplosioni di colore mi sorprese a sognare ad occhi aperti, mi alzai presi al banco l’ennesimo caffè e tornai sulla strada. Mi aspettavano i miei figli ed il mio lavoro.
In pochi minuti arrivai in città, parcheggiai l’auto ed entrai nel bar, lo stesso bar voluto e creato da mio padre. All’interno alcune persone erano sedute intente a sfogliare libri, altre scrivevano su dei blocchi bianchi, altre ancora chattavano su dei computer. Sicuramente fra quei tavoli, in quel clima vagamente bohemiano avrei visto nascere altre storie d’amore, altre meno fortunate morire, ma fra quelle quattro pareti ovattate si sarebbe continuato a respirare il profumo della vita.

Gennaio 2005


   
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