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 ALEX
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Inserito - apr 30 2002 :  13:42:30  Mostra Profilo  Visita la Homepage di palsai.  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a palsai.
La giornata era stata dura.
Alex, stanca, spense il computer.
Fuori era quasi buio e come al solito a quell’ora cominciava a provare un senso di inquietudine.
Nel complesso di uffici, dove lavorava come pubblicista e traduttrice, stavano per spegnere le luci.
Era tempo di tornare da Chiara: “ sarà meglio che mi sbrighi ” pensò “se non voglio essere in ritardo anche stasera!”
Alex chiamò l’addetto alla sorveglianza ma l’unica risposta che ebbe, furono gli echi dei propri passi fra i corridoi vuoti.
“Oggi dovrebbe essere di turno “ressaca”, speriamo che non si sia ubriacato anche stasera!”
“ Quando c’è lui di servizio non si può mai essere sicuri!” L’ultima parola le uscì dalla bocca quasi urlata ma ad ascoltarla bene, si sarebbe potuto pensare che fosse quasi uno scongiuro.
Le lampade al neon bianche e livide, che illuminavano le piastrelle grigie del pavimento, creavano profonde isole di buio ad ogni svolta: pozze nere senza forma né sostanza.
TLACK! In un attimo si spensero le luci.
Alessandra, smarrita, emise un gridolino.
Nel buio totale avanzò a tentoni, cercando di raggiungere la parete più vicina, la sua mano umida però cozzò contro del metallo freddo e duro, curvo.
“ Un pomo, strano… non mi ricordavo che ci fosse una porta…
Vediamo un pò…” la serratura era aperta, “ che stanza è questa?”
La donna si infilò nel riquadro ancor più scuro dello spazio nero che l’avvolgeva.
“Ecco l’interruttore!” due, tre volte premette il pulsante. “ Niente! Non si accende…” Si girò sui suoi passi per tornare nel corridoio familiare ma non riusciva a trovare l’apertura sconosciuta.
L’inquietudine si stava trasformando in ansia, appoggiò i palmi sul muro premendo e spingendo, finché non le si spezzò un’unghia ben dipinta contro quella superficie solida ed impenetrabile.
Si volse di scatto, il cuore le batteva forte.
In un angolo, in fondo alla stanza misteriosa, balenò per un attimo un riflesso.
Alex, come una falena impazzita, si precipitò verso quell’effimera immagine di luce.
Il barbaglio proveniva dal vetro di una finestra che si affacciava su un prato ben curato, al centro del quale stava una grande vasca illuminata da alcuni fari in lento movimento, posti a pelo dell’acqua.
“Una piscina! Non c’è mai stata una piscina qui!” Un rumore
sordo. “ Chi è?” Alex si voltò di scatto, gli occhi rivolti e spalancati verso il buio solido della stanza. “Sei Josè?…” chiese con voce incerta.
Niente, nessuna parola rassicurante giunse dal vuoto spazio avvolgente… ma dietro la nuca cominciò ad avvertire una sensazione.
La peluria invisibile e sottile si stava drizzando, come ad indicare una situazione di pericolo.
Si mosse di nuovo, veloce, in direzione della finestra.
Stava per perdere il controllo e l’urgenza di uscire da quella stanza, sconosciuta e incomprensibile, moltiplicava all’infinito la sua angoscia.
“ Dio! Devo uscire! C’è qualcosa qui!”
Tutto il suo corpo era in allerta, si sentì sfiorare la guancia da qualcosa di freddo.
Un’ombra senza volto la osservava con occhi duri.
Alex non poteva vederla ma la sentiva muoversi attorno a se, muta e indagatrice.
Corse.
Le sue gambe lunghe presero la decisione in modo completamente autonomo.
Il buio la inghiottì quasi fosse un liquido denso, il suo piccolo naso, dalle narici dilatate e frementi, fendeva quella materia irreale.
La riconobbe infine: era la sostanza di cui sono fatti gli incubi.
“Chiaro!”
La luce le feriva gli occhi, ma il dolore aveva un solo significato: “ Sono fuori!”
I suoi passi frenetici le rimandavano un suono soffocato.
In un punto imprecisato, fra l’inizio della sua folle fuga dalla stanza buia, dalla creatura senza nome, e lo spazio aperto in cui si trovava, aveva smarrito le scarpe.
La perdita la colpì.
Quando si sentiva un po’ depressa, oppure aveva avuto una delusione, Alex andava a spasso per il centro e finiva sempre per comperare un paio di scarpe.
“ Ahi Che male! Le scarpe… non le ho più”.
Questo pensiero, si accorse con sorpresa, le fece provare una forte malinconia, quasi avesse perso ben più di un capo di vestiario.
Il cuore non martellava come prima nel suo petto, la luce e il dolore ai piedi l’avevano calmato un poco.
Si avvicinò al bordo della piscina: “Cosa mi sta succedendo…la stanza, la presenza che ho avvertito” diede uno sguardo ansioso nella direzione dalla quale era venuta, “ questo luogo impossibile…”
Non si muoveva niente, nessuno si precipitava su di lei minaccioso.
Ansimando, si mise a camminare sul bordo della vasca, era di mattoni in cotto rosso, appena tiepidi.
Sfiorò con la punta delle dita la superficie liquida, era di un bel colore azzurro, il suo gesto, smovendola, creava riflessi e distorsioni.
Si mise a sedere sui mattoni e infilò entrambi i piedi nella piscina.
“ah che bello, è fresca… mm…”
“ Chiara!” Il nome le usci di bocca prima ancora che il pensiero divenisse conscio.
La paura, la corsa concitata, le avevano fatto dimenticare la sua bambina ma adesso che cominciava a riprendere il controllo di se, la sua mente corse subito alla piccolina.
“Cosa ci faccio qui! Devo andare a casa, si! a casa…”
Fece per alzarsi ma scivolò nell’acqua, la sentiva fredda, fece uno sforzo tentando di uscirne ma il bordo diventava sempre più alto e liscio.
Sentiva freddo alle gambe, no, era più che freddo, una sensazione di gelo che toglieva ogni altra sensibilità.
Alex, con le sue unghie graffiava le pareti rosse del colore del sangue, inferendo profondi tagli in quella sostanza diventata simile alla carne.
Ormai immersa fino al petto guardava in alto, le mani protese verso il bordo irraggiungibile, da questo si sporse un volto pallido senza occhi né bocca che la fissava muta, eppure Alex seppe che quella maschera inespressiva stava sorridendo beffarda.
Non sentiva più niente immersa in quel liquido azzurro che sembrava acqua ma non lo era, solo freddo, fuori e dentro di lei.
Si ricordò che doveva fare una cosa prima di soccombere, era terribilmente importante, non ricordava… ecco sì… chiuse gli occhi e pianse.
Caldo, luce, bagnato, duro, soffice.
Aria sulla pelle, fresco sulle mani, rumore nelle orecchie, profumo nelle nari.
Si mosse.
Il sole caldo le batteva sul capo dorato e sul corpo nudo.
Alex ebbe un sussulto, si mosse, si girò su un fianco.
Aprì gli occhi e vide un sole basso e splendente, circondato da corolle di nubi rosa, rosse, variegate da striature color dell’oro.
La brezza che la accarezzava tiepida odorava di sale.
Rivoli di acqua marina scendevano giù dalle spalle, disegnando bizzarri arabeschi sulla pelle.
Si guardò una mano, era appoggiata sulla superficie scabra di uno scoglio, mentre le dita avevano attorcigliate delle alghe verdi, umide e soffici che le davano una gradevole sensazione di benessere.
L’acqua marina, rifluendo dalle piccole pozze dal profumo pungente, sciaguattava con ritmo calmo e rassicurante carezzandole le piante dei piedi.
Alex emise un lungo tranquillo sospiro: “ che bello! Questo luogo è meraviglioso!”
Si alzò in piedi, in direzione del sole poteva vedere una estensione infinita di onde che, con lento movimento, distribuivano lampi argentei nell’aria tremolante.
Dietro, si allargava a ventaglio una bassa scogliera, un insieme di cavità scavate dalla risacca, qua e la delle pozze d’acqua riflettevano il mutevole cangiare delle nubi.
Alessandra si avviò in quella direzione.
C’era anche un suono adesso, una esile vocina tutta assorta e compiaciuta di sé; un fagottino si mosse, battendo la manina paffuta sulla superficie di una di quelle pozze, facendo schizzare diamanti liquidi tutto intorno.
“Chiara, la mia bimba!” Alex corse da lei, la prese in braccio di slancio e la coprì di baci, la bimba le tirò il naso e risero a crepapelle, poi insieme, madre e figlia si incamminarono sul sentiero che davanti ai loro piedi si snodava agevole, era certa che sarebbero tornate a casa.
Il sole alle loro spalle, con un ultimo guizzo, si tuffò nell’oceano. Forse fu solo un gioco di luci, un’illusione ma in quel preciso momento, la pozza che Chiara aveva agitato si calmò del tutto e nel fondo si sarebbe potuto scorgere una pallida maschera senz’occhi né bocca.
Nel punto esatto dove avrebbero dovuto esserci le labbra, un tacco spezzato lacerava quel simulacro di volto.
Non avrebbe mai più potuto sorridere beffardamente, sarebbe rimasto muto per sempre.



Edited by - palsai on 30/04/2002 19:50:35

   
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