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 Frammenti di vita: l'inizio della consapevolezza
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saphir
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Inserito - ago 31 2002 :  00:22:16  Mostra Profilo  Visita la Homepage di saphir Invia un Messaggio Privato a saphir
Novembre.
Finalmente quell'interminabile riunione finì.
Schizzai, letteralmente, fuori dall'aula quasi senza salutare e mi ritrovai in strada...il sole già quasi spento...come me...la testa piena di pensieri.
Organizza le priorità: accertamenti indispensabili, assicurazione, avvocato, lettere e nastri da incidere, testo di oncologia,intervento.
Non pensare ad altro, al momento.
Non potevo rientrare a casa, ma nessuno si sarebbe stupito dei miei orari impossibili.
Non potevo nemmeno andare al mio studio, che era lì vicino, perchè avrei potuto incontrare mia madre.
Tovai un telefono pubblico...non volevo entrare in un bar, sapevo che mi sarei messa a piangere non appena avessi pensato a mio figlio e non voglio piangere in pubblico.
Non usavano i cellulari...una cabina telefonica alla sede della Telecom era più riservata... nessuno ti ascolta...nessuno ti vede se volgi le spalle alla porta.
La prima chiamata fu per un amico che lavorava in una clinica privata.
La mia voca ancora fredda, professionale, come se non parlassi di me.
"Ho bisogno di una mammografia urgente e che resti rigororsamente privata, non registrata, un unico referto e le lastre nelle mie mani".
La mia mente era già corsa avanti ore prima...pensieri: considera gli aspetti pratici, organizza le priorità.
"Domattina alle 9, niente richiesta...cerca di me appena arrivi..penso
io a tutto"
Mille domande a cui non risposi.
"Te lo spiego domani"
Gli amici sono così. Pazienti, pronti ad aiutarti senza chiedere, hai il loro rispetto senza condizioni...la tua fiducia non viene mai tradita.
La seconda fu per l'unica amica che avevo.
Operata per un tumore al seno due anni prima.
Ero stata in sala operatoria con lei l'anno precedente l'intervento al seno, perchè aveva dovuto sottoporsi a un'isterectomia.
Me lo aveva chiesto lei....voleva che convincessi il ginecologo ad asportarle anche le ovaie, ma non ci riuscii...i ginecologi hanno vedute ristrette.
I chirurghi in genere ed anche i ginecologi, seppure con minore entusiasmo questi ultimi, si erano abituati a vedermi in sala al loro fianco, dopo la diffidenza delle prime volte.
Mi piaceva la chirurgia...loro erano più tranquilli ad avermi già lì in caso di complicanze cardiache.
Non era quello il caso, ma fra colleghi è normale fare eccezioni.
Quando si operò al seno mi ero stupita che non avesse richiesto di nuovo la mia presenza, ma poi mi fece vedere il referto sia della mammografia che dell'ecografia ed entrambi definivano il suo nodulo
"privo di caratteri di malignità".
Anche il chirurgo asportò solo il nodulo, visto che l'esame istologico
estemporaneo, che viene fatto al momento dell'intervento, era negativo.
Eppure ci fu un errore,e fu richiamata a Natale dallo stesso chirurgo
che le comunicò di dovere asportare l'intero quadrante e i linfonodi ascellari, perchè all'esame istologico completo era risultato trattarsi di un tumore maligno.
Seppi del secondo intervento solo a cose fatte...e anche allora, pur volendole bene, non capivo veramente cosa provava...non capivo perchè non me lo avesse detto...non capivo il suo ostinato silenzio...
credevo che lei fosse tranquilla...credevo di sapere, ma sbagliavo! Ancora non sapevo quanto!
Alla mia amica chiesi il nome di un chirurgo senologo...quello che l'aveva operata era morto d'infarto l'anno precedente.
"Nessuno", rispose, "al di fuori del policlinico".
Pensieri che prendevano forma nella mia mente anche se non volevo.
Il cervello era come diviso in due parti: una veniva travolta da pensieri e ricordi su cui non avevo il minimo controllo, l'altra restava fredda e lucida mentre parlavo e ascoltavo.
Pensieri...
Il policlinico è escluso...conosco troppe persone, la voce si spargerà in un battibaleno...qualcosa arriverà anche ai miei e non é ancora il momento propizio.
Inoltre c'erano altri aspetti da tenere inconsiderazione: l'inevitabile andirivieni di amici-colleghi, l'impossibilità di restare anonima... e, soprattutto, quello che avrei letto nei loro occhi, quella paura e quell'angoscia che ancora dovevo affrontare e per la quale mi occorreva altro tempo...non ero ancora pronta a mettere a nudo le mie emozioni davanti a me stessa.
Ora erano relegate in un angolino ristretto della mia mente, al
confine fra conscio e subconscio.
Lucidità...
Ci sono altre priorità in questo momento.
Affronta un problema alla volta.
Nell'ordine che hai stabilito.
Ricordi...
La voce di mio padre che dice "fidati di te".

Anche lei mi chiese perchè volevo il nome di un senologo...le risposi che avevo fretta, che non potevo spiegarle, al momento.
Non aggiunse nient'altro che..."fammi sapere".
La terza telefonata fu per un chirurgo toracico che da poco aveva vinto il concorso di primario della divisione chirurgica del terzo ospedale della mia città..lo conoscevo bene, anche se non si trattava
di un'amicizia profonda...avevamo lavorato insieme in diverse
occasioni, lo stimavo come chirurgo... aveva operato un'amica di mia madre per un tumore al seno in stadio avanzato e aveva fatto un'ottimo lavoro, donandole otto anni di vita decente...anche se poi, inevitabilmente, era morta per metastasi diffuse.
Avevo assistito a quell'intervento...fu lui a chiedermi se mi avrebbe fatto piacere.
Per prima cosa mi chiese di lei...poi io gli esposi il mio problema.
"Che accertamenti hai fatto?"
"Nessuno, al momento...me ne sono accorta oggi e domani ho un appuntamento per la mammo"
"Non puoi esserne certa"
"Invece lo sono"
"Daccordo, se vuoi ti posso operare la prossima settimana"
Dettò una lista di esami preoperatori, oltre a quelli usuali.
"Ti farò sapere quando devi venire a parlare con l'anestesista"
Gli dissi che non avrebbe dovuto parlare con nessuno dei miei
sospetti, nemmeno con l'anestesista.
Gli avrei mostrato gli accertamenti che avevo in programma solo a patto che non venissero inclusi in cartella e, per quanto riguardava il tipo di intervento che avesse ritenuto opportuno eseguire,per il referto operatorio, l'esame istologico, gli eventuali consigli terapeutici, ogni particolare, insomma, sarei stata solo io la sua referente...lo vincolavo al segreto professionale nei confronti di chiunque, compresi i miei famigliari.
Gli avrei firmato un "consenso informato" e una liberatoria in bianco, così avrebbe potuto eseguire l'intervento che avesse ritenuto più opportuno senza chiedere ulteriori permessi e, in caso di complicanze, nessuno avrebbe potuto rivalersi su di lui.
"Ok, stai tranquilla..ti farò entrare con la diagnosi di nodulectomia
di ndd"
Ndd: natura da determinare.
Termine molto usato in medicina quando la diagnosi è incerta.
La quarta telefonata fu per il mio assicuratore.
Gli chiesi un appuntamento per rivedere tutta la mia posizione... gli investimenti...l'assicurazione.
Mi attaccò un bottone tremendo... lui parlava di progetti...di soluzioni interessanti...diceva che proprio in quei giorni aveva pensato di chiamarmi perchè aveva delle cose da propormi...facevamo battute scherzose.
Come facevo a ridere?
Come riuscivo ad ascoltare con indifferenza?
Come potevo sembrare così normale in un momento in cui stavo guardando verso l'abisso delle mie più profonde paure?
"Domani pomeriggio va benissimo anche per me...non ho pazienti in agenda".
La quinta telefonata fu la più dura. La più personale...quella che temevo di più, perchè in quella avrei dovuto parlare dei miei cari e affrontare alcune cose che a noi medici sono ben note e di cui non parliamo mai.
Si trattava di un amico cardiologo...era stato un allievo del mio stesso professore qualche anno dopo di me.
Mentre lui si stava specializzando lavoravamo insieme nello stesso ambulatorio...il più delle volte restava al mio fianco durante una guardia fin verso ora di cena.
Ora lavorava in un'altro ospedale.
Era molto bravo, affezionato e discreto.
In alternativa al mio professore, sulla cui discrezione non potevo fare affidamento conoscendolo da moltissimi anni, solo a lui avrei affidato me stessa e lo chiamai per fargli promettere che se mi fosse accaduto qualcosa, si sarebbe preso cura di mio marito e di mio figlio...avrebbe riservato a loro lo stesso trattamento che avrebbe tenuto verso i suoi parenti più stretti.
Non riuscivo a smettere di piangere, al telefono con lui.
Avevo dovuto raccontargli ogni cosa.
Era sbigottito, turbato.
Mi diceva che non potevo esserne certa e, logicamente, aveva ragione.. ma invece io ero sicura di non sbagliarmi.

Vi siete mai chiesti perchè un medico non fa diagnosi sui propri famigliari?
Perchè non li visita?
Perchè non li cura, a meno che si tratti di cose evidentemente banali?
Al massimo prescrive loro gli esami cui sottoporsi, ma niente di più...può anche leggere i referti, ma poi si rivolgerà ad un collega di fiducia.
Può sapere se è il caso di portarli al pronto soccorso...ma poi li lascerà gestire da altri colleghi.
Sarà presente, attento, controllerà ogni cosa...interverrà solo a chiarire l'anamnesi se loro faranno confusione, si accerterà che vengano eseguiti tutti i controlli necessari a raggiungere una diagnosi...controllerà le terapie...farà domande specifiche,ma poi
si rimetterà al parere del collega e alle sue decisioni.
Vi siete mai resi conto che il rischio maggiore lo corre sempre il medico divenuto paziente e non la persona comune?
In medicina un certo rischio esiste sempre...anche statisticamente basso, ma esiste.
Coi medici-pazienti la legge statistica sembra perdere ogni valore...
la si può paragonare alla teoria del caos.
In apparenza i due aspetti sembrano disgiunti, ma non è così.
L'obiettività.
L'obiettività è la regola prima e inderogabile.
L'analisi dei fatti e dei sintomi deve essere obiettiva, il che non può essere quando si è coinvolti sentimentalmente, come nel caso dei famigliari e degli amici, o professionalmente.
In quest'ultimo caso gioca un ruolo molto importante il fattore tensione emotiva...per prima cosa ci si immedesima, e questo è già un grave errore, poi non si vuole commettere il minimo sbaglio che potrebbe ritorcersi contro di noi per cui, invece di comportarci come con un qualsiasi altro paziente, si tende a strafare, a esagerare e così capitano gli incidenti.
Non so se lo sapete, ma la maggioranza dei medici sono scaramantici e i chirurghi lo sono al massimo.
E' risaputo che un collega è un paziente difficile e a rischio
elevato...così non si è a proprio agio, si pensa a tutto quello che potrebbe succedere e.. immancabilmente qualcosa va storto.
Sapevo che questi pensieri attraversavano anche la sua mente, in quel
momento, e non solo la mia... ma nessuno dei due li tradusse in parole.
Girai per le strade, in macchina, senza una meta...non ricordo le strade percorse...guidare mi impegnava e solo una parte della mia mente veniva travolta da pensieri e ricordi, mentre l'altra parte, vigile, stava attenta alla guida. Avevo bisogno di tempo...dovevo
riacquistare l'autocontrollo prima di poter rientrare a casa.
Guidare, per me, è sempre stato il modo migliore per rilassarmi.
Novembre.
Pensieri....
Quel novembre ho capito.
Quanta presunzione per anni!
Tanto studio... tanto tempo trascorso ad ascoltare centinaia di persone...
Credevo di sapere...ma mi rendevo conto, solo quel giorno, che non era così. La mente in subbuglio, anche se le impedivo di analizzare i miei sentimenti troppo in profondità... non ero ancora pronta per questo.
Ora dubitavo persino di essere stata davvero vicina a tutte quelle persone...persone per le quali credevo di aver fatto qualcosa... qualcosa di più che tenere la mano o cercare di mitigare le loro paure...ma non avevo mai veramente capito cosa si prova ad essere dall'altra parte della barricata, ad aspettare qualcosa che ti tolga dall'angoscia e dal dubbio di non avere speranze...ad essere consapevoli delle terribili sofferenze che ti aspettano... delle umiliazioni...per cosa?
Non per salvarti, ma per condurti solo in un pozzo di solitudine dove sarai sempre solo tu ad affrontare le prove peggiori...un pozzo verso il nulla...fra te e i tuoi cari un'abisso incolmabile...lontani,sempre
più lontani ad ogni giorno che passa.
E...esserci come medico?
C'è una sottile differenza...e...una consapevolezza che ti lascia stordito.
Non ti puoi ingannare...nessuno ti può ingannare.
E' la nostra più grande paura.
La mia era il dolore...al resto non volevo pensare.

Pensieri...ricordi...
Mi sarebbe piaciuto fare cardiochirurgia.
Quanto mi sarebbe piaciuto!
Ma quando mi laureai non c'erano donne chirurgo...neppure una.
La cardiochirurgia è ancora oggi un mondo prettamente maschile.
Sono sempre stata "diversa", anticonvenzionale, interventista, abituata a lottare fin da bambina...ma non volevo restare relegata in un ruolo in cui non avrei potuto fare nulla per nessuno.
Non era il mio modo di vedere la medicina.

Ricordi....
Papà ricordi la mia promessa in quella gelida stanza dell'obitorio?
Io e te, eravamo soli.
Sono stata più di due ore sola con te, e sono dovuta andar via solo quando sono arrivati i becchini per trasferire la bara sul carro e riportarti "a casa".
Ma quale casa?
Tenevo la mano posata sulle tue..ti accarezzavo il viso...un fiume di parole che non ti avevo mai detto...sottovoce.
Ti ho voluto bene, papà, ho sempre apprezzato i tuoi sforzi per ritagliare un po' di tempo per me, anche quando eri stanco e preoccupato come negli ultimi tempi...credevo di avere una vita, davanti, per stare con te per dirti quello che ti sto dicendo ora.
Credevo che tu fossi una roccia...così mi sei sempre apparso, fin da bambina.
La tua ultima telefonata era una richiesta di aiuto e di amore, lo capisco solo ora. Ma io ero cieca e sorda...pensavo al mio esame di anatomia...credevo di avere tutto il tempo dell'infinito.. che mi avresti aspettata come facevi quando rientravo tardi, la sera, dopo lo studio.
Mi stavo preparando a venire da te...mi ero già accordata col migliore cardiologo, il mio professore, lo avrei portato da te la prossima settimana.
Non ho fatto in tempo!
Non volevo lasciare il mio ragazzo anzitempo...la settimana seguente sarebbero cominciate le vacanze pasquali e saremmo stati lontani comunque. Che stupida a non capire che cosa era veramente importante.

Pensieri...
Crediamo sempre che le persone che amiamo siano eterne...che noi stessi siamo eterni.
Il tempo è un concetto volubile...ti rendi conto che è un tiranno solo quando è ormai troppo tardi.
Per l'amore è la stessa cosa...credi sia eterno..."per sempre"...ma la realtà è spesso diversa da ciò che ci insegnano gli adulti e le favole.
Amore è tutto...è amare un uomo, un padre, un figlio, un amico.
Si tratta sempre di amore...non ci sono gradi di intensità, solo esigenze diverse.
Si tratta sempre di dimostrarlo, di dirlo...ma il più delle volte ce ne dimentichiamo...o ci sembra superfluo.
Errore.

Ricordi...
L'ho capito solo ora, Papà.
Tu avevi bisogno di una manifestazione di amore...lo so che non dubitavi del mio, ma avevi bisogno di sentirlo vicino.
Io lo davo per scontato...non occorreva dirtelo, dimostrartelo, rinunciare a qualcosa di piccolo o grande che fosse per farti felice un'ultima volta.
Ci sarebbe stato altro tempo per quello.

Pensieri...
Invece no.
Non c'è mai altro tempo.
Carpe diem.
Cogli l'attimo.
Ogni occasione persa è persa per sempre.
Pensieri...
Tempo.
Quanto ti ho odiato...quanto ti odio da sempre...
Quanto ancora di più oggi!
Prima ti potevo combattere e a volte vincevo...era esaltante ogni vittoria su di te!
Ora non ho armi...ora sei libero di fare ciò che vuoi.

Ricordi...
Papà quanto mi manchi!
Non riuscirai a sentire le mie parole...il mio amore non riesce a scaldare questo gelo che ti avvolge e non ci riuscirà mai più.
Avevi bisogno di quel calore prima...allora ti avrebbe scaldato...
ti sarebbe bastato anche solo un minuto di calore per sopportare tutto questo gelo... ora non più.
Non avrò più le tue dolci carezze quando sono tesa prima di un esame...quel tuo: " Vai tranquilla, fidati di te..io sono sicuro che andrà tutto bene...fidati di te"
Quel sorriso radioso e allo stesso tempo malizioso, come un dolce rimprovero, quando, tornata a casa, ti dicevo che era davvero andato tutto bene.
Lo so che con quel sorriso volevi dirmi che ne eri sicuro.
" Farò più che il possibile per non commettere errori che causino la morte di un essere umano...e se non dovesse essere così, anche solo una volta, non farò più il medico...te lo prometto, Papà".
Lo so che non mi avresti mai confidato le tue paure...non davanti alla mamma...mi avresti detto "va tutto bene"...e...avrei visto quel sorriso dolcissimo, non malizioso, non quella volta, e ancora una volta mi avresti dato coraggio...
Ora devo andare avanti da sola.
Vorrei vederlo ora quel sorriso, Papà.
Vorrei che mi dicessi che ne sei sicuro.
Invece io non c'ero.

Pensieri...
Lui era morto per un errore. Allora lo sospettavo solamente, più tardi ne fui certa.
Non mio...ero al secondo anno del corso di laurea.
Ma pur sempre un errore.

Ricordi...
Ho tentato.
Ho tentato di tracciare una strada.
Per sei mesi, appena laureata, sono stata sostituto di un collega chirurgo in un ospedale della provincia...e quando lui non è tornato e si è trasferito, ho vinto il concorso.
Il posto era mio...ci sono rimasta un'altro anno...il tempo di accorgermi che non era il primo gradino di una scala da percorrere, seppur faticosamente...ma era il primo di una discesa verso il nulla.
La prima volta che feci davvero "il terzo", in sala operatoria, il paziente ci fu portato ancora sveglio...anche sotto la cuffia, anche dietro la mascherina, restavo incontestabilmente una donna.
I suoi occhi sgranati fissavano me...intorno al tavolo solo noi tre: il primario, l'assistente ed io.
Un po' più arretrati: la ferrista e gli altri infermieri.
L'anestesista nella sua postazione a un capo del tavolo...dietro la testa del paziente.
Mentre l'anestesista lo preparava i suoi occhi fissavano me.
Dilatati, spauriti, perplessi...preoccupati.
Ero di guardia quel giorno.
Guardia per il reparto chirurgico, il pronto soccorso, l'ostetricia e ginecologia, l'ortopedia e la pediatria.
24 interminabili ore di stress.
Non ho mai capito perchè un chirurgo dovesse essere di guardia, da solo, per tutti questi reparti.
Ora non è più così, per fortuna.
Era un rischio tremendo per i pazienti.
Finita la giornata in sala operatoria e dopo che i colleghi avevano staccato andai a vedere i casi operati quella mattina.
Solo lui era sveglio quando entrò in sala.
Era sveglio anche quando andai a controllare se tutto andava bene.
"Come si sente?" Una frase di rito.
"Nonostante tutto...bene"
Quel "nonostante" mi colpì con la forza di un pugno.
Avevo capito.
Pochi mesi dopo ero tornata "volontaria" al policlinico.
Una breve parentesi all'inseguimento di un sogno impossibile si era conclusa.
Restava la cardiologia.
Bella...bellissima.
Accessibile.

Novembre.
Come potevo essere stata così felice solo 4 giorni prima?
Così spensierata?
Ora mi sembrava che fosse passato un secolo.
Ero sola con una decisione difficile...poco tempo per preparare le cose..Natale alle porte.

E' un rito il Natale...lo è sempre stato, per me.
Da bambina era l'unico giorno in cui ricevevo sorrisi e attenzioni.. i regali non erano la cosa più bella...la più bella era il sorriso di mia madre mentre apriva i suoi pacchetti...e...un veloce cenno del capo verso di me, o una sua frase che suonava come una melodia alle mie orecchie.
Tutto l'anno aspettavo quel giorno..tutti gli anni da che mi ricordo,
dall'età di tre anni.
Tempo.
Sei da sempre stato il mio più grande nemico.
365 giorni di attesa in cambio di una mezz'ora scarsa.
A tre anni non ti "leggevo" ancora, Tempo, ma già mi sembravi un tiranno.

Non so quanto ho girovagato, nè le strade percorse.
Attraversavo i sentieri tortuosi della mia mente...cercavo di ricordare tutto quello che avevo studiato....e, in mezzo, a intrecciarsi inesorabilmente i pensieri e i ricordi di una vita.
Aggiornamento continuo.
Eresia.
Per lavorare in Clinica Medica in un policlinico come universitaria,
l'aggiornamento era un obbligo e un dovere morale...io ero, come il mio professore, un cardiologo che lavorava in campo internistico, le nostre guardie erano nel reparto internistico.
Vagavo sola...forse in mezzo alla gente, ad altre auto... ma sola coi miei pensieri...ancora soltanto un abbozzo.
Le cose più urgenti: esami, assicurazione, avvocato, intervento... nell'ordine.
Avevo pensato a tutto?
Le cose pratiche distraevano la mente e mi riportavano in uno stato di calma.
Pensa alle cose pratiche...affronta i problemi nell'ordine stabilito.. una cosa alla volta...hai una settimana solamente e non puoi sprecare tempo prezioso.
Tempo.
Oggi ti odio anche di più.
Non pensare al Natale...sarà un Natale bellissimo, basta solo volerlo.
Non pensare alle centinaia di persone che hai visto soffrire per la tua stessa malattia...non pensare a ciò che vedevi, sentivi...non
pensare a "quella frase"...non pensare alla loro morte da soli, il più delle volte con un estraneo accanto, quando erano fortunati... perchè si sà che la morte arriva quasi sempre nelle ore in cui i parenti non possono entrare.
Non bussa, non avverte...tu puoi coglierne i segni in anticipo se mai vorrai guardarti allo specchio...lo vorrai?
E se anche fosse così, staresti ad aspettare? Vorresti i tuoi parenti vicino?
Domande ancora senza risposta.
Ancora oggi non mi rispondo.
Ho avuto otto anni per pensarci, eppure ancora non so la risposta.
O non voglio ascoltarla prendere forma nella mia mente, proprio come in quella settimana facevo tutto ciò che andava fatto senza pensare quasi mai alla "mia" malattia.

A casa era ora di cena.
Credevo fosse più tardi.
Tutto normale...anch'io.
Incredibile come a volte credi di conoscere i tuoi limiti e invece fai scoperte inaspettate.
Riuscivo ad essere perfettamente normale, tranquilla, serena.
Ma da quella notte non riuscii più a dormire che poche ore soltanto.

   
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