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 9 Borderline
 Frammenti di vita: l'inizio del cambiamento
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saphir
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Inserito - set 06 2002 :  18:49:39  Mostra Profilo  Visita la Homepage di saphir Invia un Messaggio Privato a saphir
Quello che sto raccontando non è una ricostruzione a posteriori, ma è esattamente quello che pensavo, facevo, sentivo allora...ed anche quello che sento ora.
Tutto è rimasto impresso come una cicatrice mai guarita..rivivo ogni cosa tutti i giorni, tutti i minuti, tutti i secondi da quasi otto anni..ogni pausa è riempita immediatamente senza che possa esercitare un qualsiasi controllo e la notte...la notte è il momento peggiore.
Perché la notte è una lunga, lunghissima pausa...perché il buio è sinonimo di solitudine, di vuoto, di paura.
Ricordate quando eravate bambini?
La mamma vi rimboccava le coperte e poi,dopo un bacio e una carezza.. spegneva la luce.
Quanti di voi hanno pianto in quel momento?
Quanti l’hanno chiamata?
Quanti di voi hanno ottenuto che lei tornasse per rassicurarvi che andava tutto bene?
Quanti di voi hanno chiesto che la luce rimanesse accesa?
La mamma, con un sorriso condiscendente e dolce, ha lasciato accesa l’abat jour o la luce del corridoio?
Oppure i più giovani di voi avevano già lucine notturne a forma di animaletto, come l’elefantino che avevo comprato per mio figlio?

Mia madre non è mai tornata indietro.
Non ha mai acceso una lucina per me.
La notte era sinonimo di paura...paura da vincere...da sola.
Pian piano, crescendo, ho imparato a vincere la paura ma...non l’ho mai scordata.

Le guardie.
Allora erano di 24 ore.
Il momento peggiore era sempre la notte.
Per me, per loro...i pazienti.
Non sono mai riuscita a dormire una sola notte quando ero di guardia.
Se riuscivo a chiudere gli occhi era solo fra le 22 e mezzanotte al massimo.
Poi il telefono suonava.
Dopo non ritornavo più nella mia stanza...rimanevo in reparto.
Periodicamente mi affacciavo alle porte delle stanze illuminate dalla tenue luce notturna azzurra...silenziosa, ma presente..come una mamma.
Quante volte ho udito quel grido rompere il silenzio della notte?
“Mammaaaaa”
Così tante da non poterle contare!
Lo sapete che erano sempre i pazienti maschi a urlare quel nome?
Mi chiedevo il perché. Ora penso di averlo capito e rende la mia consapevolezza più reale...più angosciosa.
Tutti, qualsiasi età avessero, la chiamavano con un tono disperato..
tutti erano pazienti molto gravi..a volte non coscienti, a volte era solo parte di un incubo che li svegliava...a volte era l’urlo di un malato “terminale” in preda a un dolore insopportabile, disumano, che
rendeva quel grido e quel nome potente come la lama di un coltello che ti strazia.
Quante volte sono accorsa al fianco di quell’uomo?
Tutte.
A volte solo per accorgermi che era un urlo generato solo dal subconscio di un uomo in coma, ma altre volte c’era ancora uno stato di coscienza.
Mi sedevo sul bordo del letto, accarezzavo la loro fronte gelida e sudata..li rassicuravo sottovoce..prendevo la loro mano fra le mie... restavo con loro finchè altre emergenze me lo consentivano.
Ricordavo la mia solitudine da bambina.
Conoscevo la loro.
Non sapevo ancora perché.

Perché racconto questi frammenti della mia vita...questi pensieri così intimi, personali e così difficili da avere davanti agli occhi mentre li scrivo?
Perché ci sentiamo esclusi...tutti.
Ci sentiamo diversi...tutti.
Ci sentiamo soli, infinitamente soli...tutti.
Siamo impauriti...tutti.
Ci sentiamo traditi..traditi da chi ci sta accanto e non ci riconosce perché siamo diversi..traditi dalla sorte, dal destino o da Dio se qualcuno ci crede...tutti.
Ci sentiamo incompresi...tutti.
Perché siamo arrabbiati...tutti.
Molto arrabbiati!
Perché è già un fardello così pesante da portare questa malattia, etichettata dai medici, me compresa, come un qualcosa di così terribile da renderla impronunciabile...quasi fosse una malattia di cui vergognarsi come era un tempo per le malattie mentali o quelle sessuali...che non siamo in grado di aggiungere altri pesi sulle nostre spalle e vorremmo solo essere accettati nella nostra nuova veste senza discussioni filosofiche o compassione o inutili, e per noi dolorosi, consigli su come gestire quella parte di vita che ci resta e su quali debbano essere le nostre priorità ora..desidereremmo che vi accorgiate e diate importanza al nostro nuovo modo di vedere le cose e che ci facciate sentire il calore del vostro sforzo restituendoci, così, la Vita.
Racconto perché, mentre auguro a tutti voi esseri umani di non dover mai arrivare a capirci, vorrei però che tutti voi, nessuno escluso, arriviate a pensare a noi con maggior tolleranza per le nostre nuove necessità e non continuiate a indurci a pensare e ad essere come prima...non c’è più il “prima” c’è solo il “dopo”...siamo diversi e sforzarci di non esserlo è estremamente faticoso...perché spero che voi, amici, estranei, parenti, tutti voi, siate più generosi nei nostri confronti senza che dobbiamo chiedere, perché dover chiedere, per noi, è l’ennesima sconfitta della vita e ci fa sentire ancora più diversi, più isolati.
Siamo un’elite..ci riconosciamo in un attimo...ma vorremmo sentirci parte del mondo, parte di tutti gli “altri”.
Chi non passa attraverso questa esperienza non può veramente capire, e il mio scopo non è quello di farmi capire, ma soltanto quello di essere accettata nella mia nuova diversità o, per meglio dire, il mio scopo è quello che possiate accettare ed essere generosi e pazienti con tutti coloro che hanno la mia stessa malattia, anche con quelli che non ne sono consapevoli..vorrei, in un certo senso, condurvi per mano in una visita guidata dentro la mente di chi conosce, di chi ora sa.
Voglio condurvi in un viaggio difficile per me e per tutti voi, con la speranza che le mie parole, il mettere a nudo pensieri ed emozioni, vi porti un po’ più vicino a noi...vicino non solo col cuore, perché noi sappiamo che abbiamo l’amore di chi ci sta accanto, ma vicini con la mente e con i gesti perché solo così ci restituite la normalità.

Credevo di essere vicina a F., a Maurizio, a Luigi..soprattutto a lui perché lui sapeva e questo lo rendeva più fragile...con lui ho fatto lo sforzo maggiore...credevo.
Ma non era così.
L’ho capito solo in quel novembre.
L’ho capito in quella settimana piena di impegni e preparativi ma ne ho preso coscienza solo dopo, dopo l’intervento, e ogni giorno da allora in poi.

Novembre.
Una sola settimana per preparare ogni cosa.
Una vera fortuna avere così tante cose da fare, da non aver tempo di ascoltare le mie paure.
La notte era un problema.
La prima notte restai nel letto per ore senza chiudere occhio...ma dentro di me scalpitavo al pensiero di sprecare tutto quel tempo!
Non volevo sembrare diversa dal solito.
Io ho sempre dormito con facilità se non avevo seri pensieri o guardie.
Mio marito ha il sonno leggero.
Era un incubo stare distesa senza far niente e con la mente che viveva di una sua vita propria!
Non riuscivo a scacciare i pensieri...non riuscivo nemmeno a controllarne una minima parte.
Ho provato e riprovato a concentrarmi su cose diverse, ma rivedevo i miei pazienti...rivedevo i loro parenti, i loro amici...le voci riempivano il buio della notte...tante voci...così alte che temevo potessero uscire dalla mia mente e svegliare tutti.
Non ero pronta ad affrontare i miei cari.
Non ero pronta nemmeno ad affrontare me stessa.

Elenafior
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Inserito - set 09 2002 :  10:58:51  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a Elenafior
cara Saphir, sono fresca fresca di ospedale.Devo dire che, io personalmente, ho paura,una vera paura delle infermiere, a meno che non siano vestite di verde!!!!Questo è dovuto ad un ricovero di molti anni fa, quando ero una bimbetta spaurita e per 40 giorni sono rimasta in isolamento.
Quanto ai medici, devo dire che, soprattutto le nostre cardiologhe, sono molto amate da noi pazienti.
Ci si rende perfettamente conto dell'impegno e di quanto viene fatto per noi. Il 13 avrò la visita di controllo e, al mio timore di trovare medici che non mi conoscono, la dottoressa dell'ultimo ospedale, quello della riabilitazione respiratoria,mi ha tranquillizzato e mi ha promesso che ci sarà lei per l'ecocardiogramma e per la terapia.
Ho visto medici preoccuparsi dei loro pazienti,sempre in piedi, di corsa, da una stanza all'altra.
Ho visto medici salvare la vita a loro pazienti, mantenendo calma , serenità e dolezza.
Credo che la vita in ospedale sia durissima.

Ora che sono a casa, sento un grande silenzio, e bisogna dire che non distante da casa mia passano gli aerei, poi verso mattina riprende a passare il tram e la città si risveglia.

In ospedale i suoni sono diversi. Ultimamente mi avevano permesso di tenere le porte chiuse, ma a volte un urlo di dolore trapassava la mia protezione,anche se non sentivo rumori, sapevo che la nonnina stava passando una brutta notte e ciò mi agitava.( la terza notte, la Pierina , di novantadueanni, che aveva riso nel vedermi sollevare dal letto attaccata ad una fune,non resistette, alle nove del mattino mori, la seconda morte a cui assistetti in un mese)

So, anzi sappiamo tutti, che i medici sono esseri umani, si ammalano e soffrono come chiunque altro, ma , a maggior motivo apprezziamo ciò che fate per noi e vi vogliamo bene!!!
Elena


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saphir
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Inserito - set 28 2002 :  18:56:33  Mostra Profilo  Visita la Homepage di saphir Invia un Messaggio Privato a saphir
Grazie Elena delle tue parole. So che cosa hai passato e che ora stai bene. Anch'io sento sempre l'amore dei pazienti che mi accompagna, ma la storia che narro è per un altro genere di amore di cui hanno bisogno le persone che si sentono isolate e diverse. Se scrivo di un argomento così triste e soprattutto aborrito da tutti, me compresa, è per lo stesso motivo per cui mi sono iscritta a medicina: per aiutare gli altri. Se solo voi amici di concerto leggete e sopportate il mio racconto...se solo un giorno ricorderete le mie parole...se le riporterete ai vostri amici, anche ad uno solo di essi, allora la fatica che mi costa vedere scritti i miei pensieri sarà ampiamente ricompensata. Spero che questo tam tam possa aprire le porte di una prigione in cui siamo rinchiusi e che porti ciascuno di noi più vicino alla vostra mente, perchè sappiamo già di essere vicini al vostro cuore, ma abbiamo bisogno di aiuto, di uscire da questo isolamento e solo la vostra pazienza e l'accettazione del nostro essere diversi senza la pretesa di ricondurci dove non possiamo più arrivare renderà più facile e sereno il nostro cammino. Grazie ancoraVai a Inizio Pagina
   
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