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 7 Riflessioni
 ^^^Il giorno della memoria^^^
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Shirin
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Italy
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Inserito - 28/01/2005 :  20:25:44  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Shirin
Per commemorare il giorno della memoria ho deciso di pubblicare su concerto una testimonianza che non mi appartiene. Spero sia fatto uno strappo alla regola perchè questo non è un testo inedito, ma apre le menti.
Spero che queste parole facciano palpitare i cuori di noi giovani, abbiamo il dovere di riscattare le ingiustizie subite dalle nostre madri, dai nostri padri e da coloro considerati dagli ignoranti come dei diversi.
Che la storia dell'umanità possa darci questo coraggio.

Shirin

da IL SILENZIO DEI VIVI, Gli specchi, Marsilio


1° novembre 1995: sono tornata ad Auschwitz.
Ho rivisto i reticolati, le torrette, quel che resta dei forni crematori e le baracche, dove ci raccoglievamo tremanti.
Ho risentito, nel silenzio assoluto di oggi, le voci e le invocazioni di ieri.
Ho capito che non bastano cinquant'anni, per cancellare il ricordo di un crimine così grande.
L'immagine di quei luoghi, e il dolore che ne derivò, sono impressi in maniera indelebile nei miei occhi: non mi hanno mai abbandonato.
Oggi più che mai, è necessario che i giovani sappiano, capiscano e
comprendano: è l'unico modo per sperare che quell'indicibile orrore non si
ripeta, è l'unico modo per farci uscire dall'oscurità. [...]
[...] Terminata la selezione, divisero uomini e donne e ci fecero entrare in
due baracche diverse. Qui avvenne la nostra orrenda metamorfosi. Il nostro processo di spersonalizzazione iniziava da quella baracca.
Costrette a spogliarci completamente nude, davanti ad alcune SS e alle guardine armate di bastoni, donne dal viso cattivo e prive di qualsiasi
sentimento, fummo fatte poi sdraiare su dei lettini, come quelli in
dotazione ai medici, e fummo completamente rasate in tutte le parti del corpo.
A questa mansione, erano addetti alcuni detenuti in camice bianco, che fungevano da barbieri. Da quegli uomini non udimmo neanche una parola, ma dal loro silenzio intuimmo che "dovevano" farlo. In un ultimo tentativo di difendermi da tanta violenza fisica e morale, serrai le gambe, cercando di coprirmi il seno con le braccia. Un nazista mi colpì con la canna del fucile e brutalmente gridò: "Spalanca le gambe e fatti rasare!"
In quel momento persi tutta la mia dignità e il mio pudore.
Le guardine di fronte a noi ci schernivano ridendo e brandendo il bastone, per accrescere la nostra paura. ma, ormai, non era più necessario.
Uguali nell'aspetto le une alle altre, già fiaccate nello spirito, eravamo inermi davanti ai nostri aguzzini che ridevano del nostro pudore, ci schernivano per l'aspetto, ci mortificavano nella nostra femminilità.
Eravamo ebrei, esseri immondi da eliminare: questa la ferrea logica del Reich.
I nostri indumenti furono accatastati su carrelli nel corridoio, mentre noi, costrette a passare in una grande sala attigua, fummo sottoposte a una doccia di gruppo: eravamo circa in trecento, pressate come le sardine.
Durante la doccia, sentivo i corpi delle mie compagne soffocare il mio e il contatto con quella pelle umida ed estranea, spingeva alla difesa il mio organismo ancora non abituato a quella vita disumana.
Più tentavo di evitare quel contatto e più mi sembrava di rimanerne
intrappolata. Mi sentivo impazzire.
Possibile che fosse tutto vero? Possibile che stesse accadendo a me? Ci furono attimi in cui la mente si isolò dal corpo e non riuscì a riconoscersi in quella grottesca figura, quale, ormai, era la mia.
Asciugate con enormi ventole che emanavano aria calda, fummo successivamente rivestite con stracci, senza biancheria, e con zoccoli disuguali. In seguito, avremmo imparato che il camminare con questi zoccoli di misura diversa, oltre a rappresentare una notevole difficoltà, avrebbe contribuito a rendere più tragica la vita, già tanto precaria, del lager.
Quando la temperatura scendeva sotto lo zero, i piedi, costretti in quelle calzature, si riempivano di tumefazioni e piaghe dolorose, deformandosi.
Quella condizione estrema, indirizzava irrimediabilmente il nostro cammino
verso la camera a gas. [...]
[...] Io ho vissuto per non dimenticare quella parte di me, rimasta nei lager, con i miei vent'anni.
Ho vissuto per difendere e raccontare l'odore dei morti che bruciavano nei crematori, per difendere la memoria di tutti i miei cari e di tanti innocenti, memoria che oggi si tenta ancora di infangare.
Ho vissuto per raccontare che le ferite del corpo si rimarginano col tempo, ma quelle dello spirito mai. Le mie sanguinano ancora.
Nostra è, ancora oggi, e sempre, la sofferenza di quel tempo, il nostro camminare avanti, fra mille difficoltà.
Abbiamo vissuto la degenerazione, la nostra "vita indegna", ma siamo
sopravvissuti, cercando di cancellare la nebbia e il buio, dalla nostra mente.
I nostri figli, tutto questo lo hanno già compreso, lo portano nel cuore. La nostra sofferenza, il nostro disagio, il nostro bisogno di riscatto, sono diventati la loro eredità.
I nostri figli soffrono il nostro passato.
I nostri figli soffrono, oggi, il nostro malessere, le nostre ansie, le nostre paure.
Gli altri sappiano che dalle macerie della nostra esistenza, sono nati loro, i nostri figli, stelle che abbiamo seguito per tutta la vita, con tutte le forze e che rappresentavano il riscatto, la vita che continua, nonostante tutto, la storia che va raccontata, che loro devono raccontare.
Auschwitz ha rappresentato, per noi, il buio, le nostre stelle son servite a illuminarlo.
A settantesette anni sono tornata ad Auschwitz-Birkenau.
E' stata la rivincita della mia vita sulle miserie della morte.
Mi sono ritrovata libera di camminare in quel deserto di morte senza
speranza, libera di piangere la mia solitudine, appoggiandomi all'uomo che, mai, avrei sperato di conoscere: mio figlio.
Lui ha compreso il senso della mia esistenza: ho vissuto, per cinquant'anni, ad Auschwitz all'ombra del Camino.
Da cinquant'anni, una volta all'anno, ritorno a Vienna, raggiungo il Zentral Friedhof e mi fermo davanti a una scritta: "Richard Springer, geb. 5.11.1879 - gest. 28.12.1938, Buchenwald".
Prego sulla tomba di mio padre, e depongo, ogni volta, una pietra: la pietra dell'amore e della vita.
Penso che un altro anno è passato. Il tempo scandisce la distanza che mi separa dai miei cari, ricordandomi che prima ancora di morire ho avuto la fortuna di rinascere per vivere.
Da cinquant'anni, ogni anno, mi fermo davanti al portone della "mia casa", in Strozzigaße, 32: non ho più il coraggio di entrare, ma piango.
E' strano, ho la sensazione di non essermi mai allontanata, è come se fossi rimasta lì ad aspettare la mia vita, il mio domani.
Ripenso a quel quadro appeso all'ingresso: raffigura una strada, senza inizio né fine, in mezzo a un bosco di betulle.
Lì ho lasciato il mio Passato. Lì si è fermato il mio Presente.
Il mio Domani, adesso, ha gli occhi di mio figlio.!

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Elisa Springer è nata a Vienna nel 1918 in una famiglia di commercianti ebrei di origine ungherese. Sopravvissuta ai campi di sterminio, nel 1946 si trasferisce in Italia. E' morta qualche mese fa, operata di tumore, dopo la morte di suo figlio.
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