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 Il madrigale
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Paolo Talanca
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Inserito - 19/12/2003 :  15:49:48  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Paolo Talanca  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Paolo Talanca
ad Elena…

Nell’ambito di una analisi formale delle opere musicali un posto di assoluto rilievo è occupato dalla forma metrica del madrigale. L’interessante discussione che si sta svolgendo su questo sito allo spazio riservato alle riflessioni (da cui il link http://www.concertodisogni.com/mp/topic.asp?TOPIC_ID=6017&FORUM_ID=6&CaT_ID=4&Topic_Title=Parliamo+di+poesia%3F&Forum_Title=+ ) potrebbe trovare in questo mio messaggio anche una parziale risposta.
A mio parere analizzare metricamente un’espressione della propria creatività come può essere un’opera musicale o poetica, risponde all’esigenza di analizzare cosa abbia spinto un artista a comporre quella sua impresa rispettando delle regole dettate dai suoi predecessori, seguendo un istinto che vedeva una traccia invisibile dentro una forma come strumento utile e quasi indispensabile. Non a caso sto parlando di instintualità, perché nella storia della musica occupa un ruolo fondamentale la enorme tradizione orale popolare – ed attenzione, non semplicemente popolaresca. Questa tradizione permette l’esistenza di quel modo di intendere l’opera d’arte come un qualcosa di virtuoso e supremo e non ci si meraviglierà se fino ai nostri giorni sui monti dell’Appennino si trovano pastori semianalfabeti che sanno la Divina Commedia a memoria o improvvisano tenzoni poetiche in ottava rima: il dover rispettare quella forma cantata di sicuro non è visto come un vincolo, bensì anche come un’arma per la memoria, un punto di partenza che rende “onore poetico” ai versi ed a tutto il componimento.
Questa tradizione popolare, come detto, da sempre ha rappresentato un fenomeno di primissimo piano per la produzione di musica, profana in primis, ma poi anche sacra con delle “parodie” alle quali però in periodo di Controriforma la Chiesa ha cercato di dare un freno. Basterà ricordare l’opera “L’homme armé” di Jusquin Desprez che è una messa del periodo italiano dell’artista fiammingo su tema di una canzone popolare francese, bandita appunto in periodo di Controriforma.
Per parlare della forma di madrigale ho preferito partire da questa dissertazione sull’importanza della tradizione popolare, non perché il madrigale sia una forma popolare, ed anzi soprattutto nel XVI secolo è la forma di musica profana più nobile nel panorama musicale italiano, bensì per via del fatto che non credo che il rispetto di una data forma metrica derivi da una pedante regola formale, quanto da esigenze reali e prettamente poetiche e, come avremo modo di capire più avanti, anche allo stesso madrigale sono state attribuite origini completamente popolari.

La forma del madrigale è attestata nell’opera “Summa Artis Ritmici Vulgaris Dictaminis” del 1332 di Antonio da Tempo col nome volgare di "marigale" che dal latino "madrialis" mutua il senso di “poesia dei pastori, dei custodi di mandrie”. Ora sappiamo che il XIV secolo rappresenta un punto importantissimo per la storia della musica perché comincia a diffondersi un concetto di Ars nova che già da un secolo e mezzo circa (nella seconda metà del XII secolo parigino) cominciava a serpeggiare negli ambienti francesi grazie soprattutto a due autori come Magister Leoninus e Perotinus che sono tra i primi autori di cui si conosca il nome e che apportarono fondamentali innovazioni alla musica del loro tempo, specialmente con l’aumento del numero delle voci da due (organum duplum) a tre (triplum) fino a quattro (quadruplum), fino ad introdurre per la prima volta un tipo di notazione che indicava non solo l’andamento melodico intervallare, ma anche il ritmo.
E’ solo nel XIV secolo però che le continue innovazioni portano ad una presa di coscienza teorica con l’opera di Philippe de Vitry “Ars nova” databile intorno al 1320 (dello stesso periodo sono altre opere analoghe di due teorici come Johannes de Muris e Jacobus Leodiensis).

Anche se in Italia è meno netto il distacco tra l’Ars nova ed una Ars antiqua, si può far risalire il periodo di diffusione della nuova arte nella nostra penisola a due momenti ed in due luoghi ben precisi: in primo momento compreso tra il 1340 e il 1360 presso le corti degli Scaligeri di Verona e dei Visconti di Milano che ospitarono compositori come Giovanni da Cascia e Jacopo da Bologna; il secondo periodo comprende l’ultimo terzo del secolo e si svolge a Firenze. In questa ricostruzione mi piacerebbe concentrarmi sul primo spazio di tempo, quando la forma maggiormente trattata è stata proprio quella del madrigale (contenuti per la maggior parte nel codice Rossi, conservata alla Biblioteca Vaticana). E’ importante il fatto che questi componimenti, a differenza dell’antica arte, trattavano per lo più di temi profani ed è proprio da questo aspetto che deriva un’altra possibile etimologia del termine madrigale (che per altro poco si allontana da quella fornita poco sopra), quella cioè che la vorrebbe derivante dal termine “matrice” o da “madre” (=matricale), sottolineando il fatto che la nuova lirica musicale trecentesca avesse lingua e contenuto “madrigali”, cioè materni, familiari, semplici, dunque coerente con la diffusione dell’Ars nova in quanto musica polifonica profana.

Preliminarmente è bene fare una distinzione tra il madrigale trecentesco e quello cinquecentesco. Il primo è formato in genere da una serie di terzine (non meno di due e non più di cinque) e da un distico (sostituibile con un verso isolato o con una coppia di distici). I versi sono endecasillabi o endecasillabi e settenari con vari schemi di rima e spesso anche con rime irrelate. Nel Cinquecento il madrigale è una forma libera di endecasillabi ed anche qui la rima è organizzata in modo vario. In questo caso una delle poche regole è quella di non andare oltre gli 11-12 versi, ma ci sono numerose eccezioni.
La differenza principale, dunque, è la forma pseudo strofica dell’opera trecentesca che anche sotto il punto di vista musicale rende una diversa organizzazione: ad ogni terzina corrisponde una medesima intonazione, mentre il ritornello finale ne ha una diversa. Sotto l’aspetto polifonico invece c’è la combinazione di due parti vocali, di cui quella più acuta è piuttosto fiorita. Un alto numero di madrigali del Tre-Quattrocento sono tramandati in manoscritti musicali, col solo nome di colui che li ha “intonati” (cioè musicati), il quale può essere talvolta, ma spesso non è, autore anche del testo letterario.

Fin qui ci siamo limitati ad osservare il più possibile il madrigale trecentesco ed il suo rapporto con l’origine popolare (della quale spia inequivocabile a mio parere è l’organizzazione in terzine). Nel Quattrocento, almeno nella prima metà del secolo, questa forma è un po’ trascurata, per poi tornare con una veste completamente nuova nel Cinquecento; come se questa forma poetica avesse sentito il bisogno di indossare il vestito da sera in occasione di un incontro tra parole e musica, che l’avvento della nuova arte aveva inaspettatamente messo in primo piano.
A questo punto mi piacerebbe citare per intero un intervento da un libro di De Robertis del 1966, p.412:

Quello a cui assistiamo fra Tre e Quattrocento, è il progressivo affrancarsi della musica dal testo poetico e il suo costituirsi […] come un’arte autonoma, come un’ars nova (e qui non si parla di tutta l’altra produzione popolare e popolareggiante, che resta e resterà di tipo monodico). Il testo è pretesto per un libero inventare: la musica entra nel regno della fantasia. Lo sviluppo polifonico propone dei rapporti che non sono più d’ordine logico, un dialogo d’altra natura, tende a realizzare una specie di discorso magico, evocativo, in cui la parola resta completamente distrutta; gli strumenti stessi diventano delle voci, si sostituiscono a quella umana, contano per sé. Il grande madrigalismo del Cinquecento e l’affermarsi della composizione strumentale traggono origine da qui”.

Quando proprio nel Cinquecento si inizierà a parlare di “madrigalismi”, si cominceranno a raccogliere dunque i frutti di questo lavorio interno delle coscienze e delle consapevolezze artistiche della musica strumentale. E’ questa la base dell’enorme successo della sonata seicentesca e dell’enorme serbatoio artistico della musica strumentale del Settecento e dell’Ottocento, con artisti ed opere immortali.

Aiutandoci anche con le parole di De Robertis possiamo intuire che il madrigale divenne la forma principe del Rinascimento italiano e possiamo capire come l’Umanesimo sia stato importante per il rapporto tra poesia e musica. Accanto a questo genere classico che era per intelletti più elevati (che brutta espressione!), chiamata appunto Musica reservata, le forme popolari come la villanella, canzoneta o canzon villanesca non furono del tutto abbandonate. Il madrigale nel XVI secolo è un componimento polifonico a quattro o cinque voci con lo stesso ruolo musicale dalle più acute come il soprano fino al contralto, tenore e basso; il testo poetico non è più strofico come per la frottola (componimento strofico popolaresco con importanza fondamentale nelle rime) ma è più sintetico, con una grande importanza dei concetti anche nel rispetto di un nuovo modo di poetare codificato dal Bembo con le sue “Prose della volgar lingua” del 1525. In quest’opera viene idealizzata la poetica di Petrarca di suono e ritmo delle parole come esempio da seguire (addirittura spesso con le stesse parole). Così Bembo critica la poesia strofica a favore di composizioni più sintetiche dove è il suono/immagine della parola a rendere gli elementi poetici:c'era un testo poetico relativamente breve (poteva essere ad esempio un sonetto) che era musicato frase per frase, - ogni frase avendo un suo senso compiuto - dall'inizio alla fine, di norma senza riprese o ritornelli. In questo modo nasce anche un modo nuovo di intendere la musica che si adegua alla varietà del metro. Gli esordi del madrigale sono negli anni ’20 del Cinquecento con Bernardo Pisano che musica delle stanze del Petrarca.
I compositori di questo genere di opera cercavano di evidenziare con la musica il concetto delle parole: se il testo parlava di luce si alzava la melodia, con una parola che voleva esprimere lo smarrimento le voci si intrecciavano, la solitudine era espressa con una sola voce, il pianto era reso con note alternate a pause (singhiozzo) , per la parola “bianco” c’erano note bianche (semibrevi e minime), per “notte” c’erano note nere (semiminime e crome), per “mistero” dissonanze e cromatismi (oltre la normale diatonia) e così via. Tutto questo rappresenta il “madrigalismo” e si può ben immaginare come mai per De Robertis questo sia alla base della fortuna dell’opera strumentale. Si capisce anche il buco nell’acqua dell’ambiente francese che nel XVII secolo condannava la sonata in stile italiano (Corelli o Vivaldi per intenderci) che non avendo un testo non avrebbe un significato e cercherebbe solo di far notare uno stato d’animo, senza evocare la natura come una poesia.

E’ importante poi il fatto che i madrigalisti del Cinquecento scrivevano musiche su testi dei più grandi poeti come Tasso, Ariosto, Guarini, Marino o Chiabrera. L’ambiente più fiorente fu in un primo momento Roma ma, successivamente al sacco del 1527, fu fondamentale l’ambiente veneziano dove si diffuse nel 1530 il primo libro di madrigali. Alcuni nomi importanti sono Costanzo e Sebastiano Festa e i grandi maestri fiamminghi. E’ quasi d’obbligo a questo puno aprire una parentesi sulla grande tradizione fiamminga e sull’importanza che questi compositori rivestono nella tradizione madrigalistica del XVI secolo.
Tra i primi madrigalisti ci furono Philippe Verdelot e Jakobus Arcadelt, operanti a Firenze e che composero nello stile della chanson francese. E’ importante citare “Il bianco e dolce cigno” di Arcadelt, con sezioni omofoniche, imitative per sottolineare il testo poetico. I maestri fiamminghi erano compositori di primissimo piano per quello che riguarda la tecnica contrappuntistica: la fortuna della scuola franco-fiamminga è soprattutto legata alle cattedrali gotiche che furono costruite in gran numero nelle città di quella zona a partire dal XIV secolo. L’organizzazione delle cattedrali prevedeva che per il servizio liturgico venissero selezionati dei pueri cantores dell’età di 8 o 9 anni ai quali veniva fornita un’accurata istruzione non solo nel canto, ma più in generale nello studio del contrappunto e della composizione. Per questo motivo i maestri fiamminghi rivestono un ruolo di primo piano nelle composizioni dei madrigali, destreggiandosi agilmente nell’organizzazione polifonica, nei madrigalisti e nella cosiddetta musica degli affetti.
A Venezia il madrigale raggiunge l’apice tecnico con opere di Cipriano de Rore e Adriano Willaert. Con questi maestri si arriva alla massima espansione della corrente madrigalistica e non si deve dimenticare che un fortunato esempio deriva anche dalle opere di Jusquin Desprez (a cavallo tra il Quattrocento ed il Cinquecento) dove, ad esempio, il pianto veniva reso con un movimento per terze minori, abbozzando già la creazione di un vocabolario madrigalistico.

Bibliografia:
- Baroni, Fubini, Petazzi, Santi, Vinay "Storia della musica", Einaudi, Torino, 1999
- Beltrami "La metrica italiana", Il Mulino, Bologna, 2002
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So che si può vivere non esistendo, emersi da una quinta, da un fondale, da un fuori che non c'è se mai nessuno l'ha veduto

Edited by - PaoloTalanca on Dec 19 2003 15:51:18

Edited by - PaoloTalanca on Dec 19 2003 15:56:17

Edited by - PaoloTalanca on Dec 19 2003 18:16:08

   
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