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 Il volo dell'aquila
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luisa camponesco
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Il volo dell’aquila

Il sole, sorgendo, illuminava il sentiero dei navahos. Ombre fantastiche si allungavano fra i pinnacoli del Bryce Canyon, alle 6 del mattino l’aria era fresca anche in piena estate, uno scoiattolo scomparve fra i rami di un albero e in lontananza un cerbiatto brucava l’erba umida. Sembrava di vivere nella foresta incantata e agli occhi di un bambino di 10 anni tutto sembrava possibile.
Con un fucile di legno intagliato dal padre, Jeremy si avventurò sul sentiero, provava un senso di libertà incredibile, finalmente solo a godersi quella vacanza in mezzo alla natura. Approfittando del fatto che i genitori dormivano ancora, scese lungo un percorso accidentato immaginando di essere un pioniere alla conquista della terra. Si acquattava dietro ogni roccia, spiando nemici immaginari, puntando il piccolo fucile e imitando con la bocca il rumore dello sparo. Conquistava territori palmo a palmo, quando un freccia gli passò accanto conficcandosi nel terreno.
Jeremy si guardò attorno stupito, chi poteva aver fatto una cosa simile? Era tentato di correre dai suoi ma un pioniere non fugge davanti al pericolo. Si fece guardingo ed ecco spuntare da dietro un masso un altro ragazzino. Un pellerossa.
Si studiarono per un po’ poi Jeremy prese coraggio.
- Ma tu da dove vieni?
L’altro non rispose ma entrambi incominciarono a studiarsi. Si avvicinarono.
- Allora non mi dici da dove vieni? Non capisci la mia lingua?
Un richiamo dal basso e il ragazzino indiano scomparve.
Jeremy non disse nulla ai suoi genitori, anche perché, quel mattino era uscito senza il loro permesso, ma il giorno dopo tornò sul sentiero, nella speranza di incontrare nuovamente il piccolo indiano. Chissà magari avrebbero potuto inventare nuovi giochi.
Rimase deluso, non lo vide più fino al giorno della partenza, quando Jeremy volle ritornare sul sentiero, per salutare il sorgere del sole. Un rumore di sassi smossi e se lo trovò davanti, con il suo arco e frecce.
- Ma dove eri finito? Ti ho aspettato tutti giorni! Ma mi capisci?
L’indiano fece un cenno d’assenso e lo invitò a seguirlo. Una pista appena segnata, Jeremy seguiva l’indiano col batticuore, preludio di una nuova scoperta. L’ingresso della piccola caverna era nascosto da un cespuglio, pietre poste in circolo con dei rami secchi al centro, indicavano che era stato acceso un fuoco. L’indiano si sedette con le gambe incrociate ed invitò anche Jeremy ad imitarlo. Prese una lunga pipa e finse di fumare. Così ebbe inizio il gioco, due bambini, due mondi diversi si erano incontrati in una mattina d’agosto del 1925
Quello fu solo l’inizio di una amicizia che li avrebbe accompagnati anche nell’età adulta.
Quasi tutte le estati, Jeremy con la famiglia trascorreva qualche giorno di vacanza nella foresta del Bryce Canyon e ogni volta si incontrava con l‘amico nella caverna segreta.

- Ora sono un guerriero, ho conquistato il mio nome! – lo disse battendosi una mano sul petto
- Come devo chiamarti?
- Per la mia gente ora sono Aquila Grigia!
- Augh Aquila Grigia!
Si dipinsero il volto col color dell’ocra ed iniziarono una danza propiziatoria.
Trascorsero gli anni e i due ragazzi divennero uomini, presero strade diverse ma non scordarono la loro amicizia.

Era un giorno d’autunno, la foresta sfoggiava colori vivaci, la tenda canadese si confondeva fra gli alberi integrandosi con la natura che la circondava. Jeremy respirò profondamente quell’aria frizzante poi scese per il sentiero del canyon. Accese un fuoco nella grotta si sedette e attese. Un‘ombra apparve all’ingresso.
- Salve fratello bianco! Ho visto il fumo e sono venuto subito. Il cuore mi dice che il tuo spirito è turbato e nubi minacciose sono nel tuo orizzonte.
- È vero Aquila Grigia, sono venuto a salutarti. E non so quando e se potremo ancora incontrarci….
La commozione impedì a Jeremy di proseguire, distolse lo sguardo dall’amico per imprimersi nella mente la visione di quel panorama.
- Dove andrai e cosa farai? – chiese l’amico indiano
- Vado a difendere il mio paese, a difendere gli ideali sui quali è fondato!
- Allora fai una cosa giusta e il mio spirito sarà vicino al tuo!

Jeremy partì qualche giorno dopo, destinazione una base aerea situata in Cornovaglia vicino a Plymouth.

Gli aerei erano disposti in fila sulla pista pronti al decollo. Dietro ad un hangar, mimetizzati con cura, vi erano sei hurricane.
- Uno di questi sarà il suo tenente! Ora vada a presentarsi al colonnello e poi in libertà.
Jeremy con la sacca a spalle si diresse verso il posto di comando e dopo aver presentato le credenziali fu accompagnato, da un attendente, nella zona ristoro.

- Signori vi presento il tenente Jeremy Wilson farà parte del secondo stormo!
Si fece silenzio, tutti guardarono il nuovo venuto, poi uno di loro, dopo aver posato la stecca da biliardo si avvicinò tendendogli una mano.
- Scott Duràn molto lieto.
Tutti gli altri gli si fecero attorno dandogli il benvenuto con grandi pacche sulle spalle.
Incominciò l’addestramento poi i primi voli sulla Manica a protezione dei convogli. La vita si svolgeva con un ritmo intenso, dormivano praticamente vestiti, pronti a levarsi in volo al primo avvistamento, ma aveva avuto anche la possibilità di conoscere nuovi personaggi, nuovi amici.
- Ehi! Jeremy! Stasera si va a Port Isaac, sarà una serata memorabile! Non farti troppo bello altrimenti le ragazze guarderanno solo te. – Scott era sempre di buon umore anche nei momenti più difficile era il solo in grado di sdrammatizzare la situazione.
Un pò di svago per dimenticare la guerra anche per una sola sera era una occasione da cogliere al volo. Le due jeep erano pronte e i giovani partirono cantando

I stand at your gate
and the song that I sing is of moonlight,
I stand and I wait
for the touch of your hand in the June night.
The roses are sighing a Moonlight Serenade.


Erano già a metà percorso quando Scott intimò il silenzio le auto si fermarono e spensero i fari. All’inizio fu solo il rumore del vento, poi un rombo, con intensità crescente e apparvero, inequivocabili le sagome dei Messerschmitt.

- Si stanno dirigendo verso la base!

Invertirono il senso di marcia e tornarono indietro.

Il campo era in fiamme, ordini urlati, chi poteva si alzava in volo, altri si prodigavano a spegnere gli incendi, Scott si diresse subito, seguito dagli altri, all’hangar dove si trovavano gli hurricane
Jeremy non era mai salito su quei velivoli pur conoscendo perfettamente la strumentazione e le modalità di volo. Avrebbe cominciato il volo di prova il giorno successivo, ma quell’attacco aveva anticipato i tempi.
Lo colse un attimo di smarrimento.
- Facciamo vedere chi siamo a quei bastardi! – l’urlo di rabbia fu la risposta e tutti salirono sui propri aerei. E la battaglia ebbe inizio. La prima, per Jeremy di molte altre nei mesi che seguirono.

Il briefing era appena cominciato, il colonnello dopo aver srotolato una enorme mappa sulla parete incominciò a cerchiare in rosso alcune zone.

- Signori! I nostri ricognitori hanno individuato tre squadre aeree nemiche dislocate, qui nella Francia nord orientale, qui in Olanda e in questa zona della Germania il sospetto è che ce ne siano delle altre camuffate fra i villaggi dei civili. Il vostro compito è scoprirle e fotografarle. Non vi nascondo la pericolosità della missione. Il silenzio radio sarà d’obbligo. Domande?
Un mormorio si diffuse e poco dopo Scott alzò il braccio.
- Cosa significa, signore, che il silenzio radio sarà d’obbligo?
- Significa che le nostre comunicazioni in codice sono state tutte decifrate, e finché non troviamo un altro modo il silenzio è la sola cosa che ci rimane. Dovrete fare affidamento sulle vostre capacità ed intuizioni.

Quella notte Jeremy non dormì, il ricordo delle estati trascorse nel Canyon era lì vivo come non mai. I grandi silenzi rotti solo dal grido dell’aquila gli riempirono il cuore di nostalgia. Chissà, si chiese, se avrebbe riassaporato quei momenti, il giorno successivo avrebbe volato sulla Germania, in pieno territorio nemico.
Un’alba grigia e umida, quel 10 novembre 1941, Jeremy scaldò il motore del suo aereo, controllò il piano di volo ed attese l’autorizzazione al decollo.
Fra le nuvole si sentì meglio, era il suo elemento naturale, poteva percepire il vento. Quando era un bambino gli piaceva sentirlo sul viso, a volte gli parlava e gli pareva di udire risposte. Parlare col vento gli dava un senso di libertà.
Silenzio radio, stava per raggiungere l’obiettivo, incominciò a fotografare facendo ampi giri sulla zona…all’improvviso la contraerea aprì il fuoco.
Virò, cercò di sottrarsi, l’aereo si inclinò da un lato, un fumo sottile invase l’abitacolo, meditò su cosa fare, lanciarsi? Sarebbe caduto in Germania l’avrebbero fatto prigioniero. L’altimetro era fuori uso e il serbatoio perdeva carburante ma decise di proseguire. Qualsiasi cosa era preferibile al cadere in mano ai tedeschi. Rispettò il silenzio radio nonostante la tentazione di segnalare la sua posizione e lo stato dell’aereo. Si era perso in una nuvola, e il fumo era insopportabile. Chiuse gli occhi e si lasciò andare, sarebbe morto con onore.
La radio gracchiò, e una voce che pareva venire dal passato lo chiamò. Sono già morto, pensò Jeremy, conoscendo bene quella voce era impossibile che gli parlasse in quel momento. Quella voce amica però lo consolava, ma continuava a chiamarlo in un modo così insistente che lo costrinse ad aprire gli occhi …e si decise a rispondere.
Un idioma fatto di suoni strani lo ridestò del tutto, rispose con gli stessi suoni e fu come trovarsi fra i pinnacoli del Canyon.
Si convinse che stava sognando perché vedeva un’aquila volare davanti al muso del suo hurricane, un’aquila grigia.
Bellissima, con la sua ampia apertura alare, Jeremy la seguì istintivamente, non sapeva dove l’avrebbe condotto, ma sapeva di volare verso il suo destino.

- Tenente! Ma come ha fatto ad atterrare in queste condizioni? L’avevamo dato ormai per disperso.
Un gruppo di uomini guardava stupito ciò che restava dell’aereo mentre Jeremy si recava dal colonnello per fargli rapporto anche se non sapeva esattamente cosa riferire.

In quello stesso istante, in un luogo lontano, su di un antico sentiero, un uomo dalla pellerossa addobbato con penne d’aquila, danzava e cantava al chiarore della luna.

Luisa Camponesco

   
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