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 20 Sfumature di Vita
 Il primo nodo

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R A S S E G N A     A R G O M E N T I
rosvita Già al principio dell’autostrada, in quelle prime centinaia di metri che dai molteplici caselli di ingresso si soffocano poi in due solitarie corsie, aveva desiderato che la matassa di pensieri si sciogliesse. L’immaginava davanti a se proprio come un matassone di lana, di quelli ricavati dal disfare maglioni vecchi, quando era bambina, quelli dove il filo era tutto intorcolato, e veniva lasciato cadere a terra. Poi diligentemente, preso un capo, se ne creava un gomitolo nuovo. Ecco, anche nella sua testa era un groviglio spaventoso di idee, ma un solo filo, solo la sua vita, ma troppo ingarbugliato. “Se ad ogni chilometro riuscissi a dipanarla, come questa autostrada... Se impegnassi tutto il tempo di questo viaggio nel lavoro paziente di individuare il capo, e seguirlo, snodarlo, liberarlo...”
Era tardo pomeriggio. Il viaggio sarebbe durato fin dopo il tramonto, e sarebbe stato magnifico davvero finalmente chiarire qualcosa dentro se.

Dentro sobbolliva una sensazione strana. Si sentiva piena di una malinconia liquida che sbatocciava di qua e di la sulle pareti della sua anima ad ogni curva, ad ogni violenta sterzata di sorpasso, come una bottiglia semi piena che venisse dondolata, dove il liquido andasse a lambire improvvisamente ma costantemente le pareti. E ad ogni movimento più brusco, ecco che l’acqua arrivava fino all’apertura estrema, e qualche goccia schizzava fuori, e lei si ritrovava a piangere.
“Ancora “si disse “Accidenti, ancora!”
Eccola lì, una enorme bottiglia di vetro a forma di Vita, con dentro un liquido trasparente e liquoroso. Un mistrà, quasi. Di più, un’Anisetta, proprio l'elisir principe della sua città.

Ma i chilometri scorrevano, e la matassa restava lì, colpa dell’Anisetta che non dava pace e tornava a sbatocciare per una buca, per una frenata brusca, per un cambio di corsia.
Tutto il mondo in autostrada, si disse. Ponte lungo, si torna a casa. O meglio, si va in giro con gli amici. Già, avercene di amici... Vita tornava dai suoi, di amici, ma erano poco più che sconosciuti, e l’avrebbero fatta soffrire. Lo sapeva, eppure tornava. Perché nella matassa imbrigliata non era riuscita a trovare niente di meglio.
Le altre auto sembravano più felici della sua.
Un’Alfa grigio topo era davanti a lei. La densità del traffico le avrebbe rese compagne di tragitto per un bel po’. Nemesi storica, pensò Vita, che tra amici e ex ragazzi con le Alfa 147 ci aveva un conto aperto. Dentro si vedevano 4 teste. Giovani probabilmente, l’Alfa 147 è un’auto giovane. Stavano parlando tra loro, stavano scherzando. Dietro erano due ragazze, davanti due ragazzi.
Erano il luogo dove avrebbe voluto essere lei in quell’istante.
Ad ogni movimento di una delle quattro teste la colpiva una morsa di malinconia al cuore. Cercò di guardare altrove, ma il traffico era costrittivo, e non c’era via di fuga.
“Qualcuno mi tolga dai piedi quest’Alfa o la scavalco” si ritrovò a mormorare indispettita.

Così, era finita così?
La indispettiva la felicità degli altri?
Era questo che alla fine era diventata?
Cos’era che la tormentava, che gli altri fossero felici o che lei non fosse riuscita nel suo scopo?
Aveva sbagliato scopo, non c’era altro da dire. C’è chi nella vita vuole una famiglia, chi semplicemente un compagno, chi il successo nel lavoro, chi l’approvazione altrui...
Vita aveva scelto la strada più difficile, aveva scelto di volere degli amici. Che sono l’unica cosa che non dipende da te.
Perché avere amici prevede la presenza di tante persone diverse da te e che pure siano tutte sulla tua stessa sintonia.
Vita aveva voluto l’inconciliabile, grandi amici ed una vita irrequieta.
Non puoi avere grandi amici se ogni anno cambi città. Puoi avere solo amicizie con la data di scadenza. 1 anno, forse 2.

Così, aveva sciolto un nodo. Tutta la matassa era ancora lì, ma senza questo nodo. Adesso sapeva che gli amici non l’avrebbero mai resa felice.
A notte tarda, uscendo al casello dell’autostrada, ancora terrorizzata all’idea di rivedere i suoi vecchi amici, senza sapere che i giorni seguenti avrebbero sottolineato in più punti l’estraneità ed il divario da loro, una frase lineare si autogenerò nella mente, inconsapevole eppure determinata.
Non sarebbe più tornata a casa: era troppo triste.



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