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 Leggende nella cultura friulana-Spiriti e fantasmi
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Isabella
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Inserito - 13/09/2004 :  17:39:26  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Isabella
LA NOTTE DEI MORTI

Nella sera d’Ognissanti (1 novembre) di parecchi anni fa un vecchio canonico raccomandò al suo sagrestano di destarlo al secondo tocco di campana. La luna splendeva candida nel cielo notturno. Forse allarmato dalla straordinaria intensità dell’astro il canonico si svegliò anzitempo, credendo che fosse già giorno e che il sagrestano avesse scordato la sua richiesta. Come la sua umile stanza anche la chiesa sembrava investita da quel fulgido fascio di luce. In sagrestia indossò i paramenti sacri come ogni mattino e s’incamminò verso il coro.
Profondamente stupito poté immediatamente constatare che la chiesa era gremita di volti ignoti. Mentre avanzava verso il coro, gli rivolse la parola una donna che egli sapeva morta da lungo tempo. Ella lo esortò a lasciare al più presto la chiesa. Solo al mattino dopo, dopo il suono dell’Ave Maria, la sua presenza sarebbe stata giustificata; rifiutando di andarsene, avrebbe subito gravi conseguenze.
Il vecchio canonico, spaventato, abbandonò allora i paramenti in tutta fretta in mezzo alla navata laterale e corse verso il portone della chiesa, che si chiuse da solo alle sue spalle.
Al secondo tocco di campana il bravo sagrestano volle svegliarlo ma, dato il pauroso stato d’agitazione in cui lo trovò, decise d’andare in chiesa da solo. Terrorizzato trovò per terra i paramenti completamente stracciati. Il parroco era stato fortunato a seguire il saggio consiglio della donna defunta, altrimenti gli sarebbe spettata indubbiamente la sorte di quelle povere vesti.

Isabella
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Inserito - 19/09/2004 :  14:12:50  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Isabella
IL CORTEO DEI MORTI (la danza dei muarz)

Nel giorno dei morti anche i goriziani rivolgono il pensiero ai loro defunti. E’ credenza che per due notti consecutive le anime vadano a visitare brevemente le loro vecchie case, vagando per gli oscuri corridoi, intrufolandosi negli inaccessibili angoli ed in quei luoghi che erano stati loro cari in vita. Poi, raccolti in processione, raggiungono il camposanto e, sempre sotto l’aspetto d’immagini bianche o di fiammelle, scompaiono.
Una volta, in un villaggio friulano, una vecchia, spinta da inopportuna curiosità, volle assistere incautamente alla processione delle anime. La sera, quando la campana aveva già suonato per la seconda volta, suo figlio si recò in chiesa, assieme agli altri contadini, per dare – come usanza – altri due rintocchi di campana in memoria dei defunti. Intanto in casa la vecchia madre pregava il rosario dei “muarz”. Quando il figlio tornò a casa, ella tagliò il “pan dei muarz” che poi, secondo il rito, viene consumato accompagnati da una preghiera.
Al prolungato suono della campana del paese i defunti si risvegliarono. Mentre il figlio andò a dormire, la donna rimase alla finestra con gli occhi fissi nel buio. Quando suonò la mezzanotte ella si sporse alla finestra.
Da lontano avanzava un corteo di spiriti avvolti in vesti candide. La donna riconobbe molti di coloro che le passavano d’innanzi, ma tutti procedevano muti verso la chiesa. Allora cominciò ad aver paura, e, chiusa la finestra, si coricò, tremante. Il giorno dopo raccontò al figlio l’accaduto ed egli cominciò a preoccuparsi molto per la madre e temette seriamente per la sua vita. Dopo qualche giorno infatti la vecchia s’ammalò e morì.
E’ questa la pena riservata agli avventati che osano spiare la segreta processione notturna dei morti.


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Isabella
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Inserito - 19/09/2004 :  14:13:40  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Isabella
LE FATE DELLA BRINA SUL COLLIO: le Vile

Nella zona collinare sul Collio presso Gorizia, che nel Medioevo i tedeschi chiamavano “in den Ecken” (negli angoli), di notte s’alza spesso un forte vento per annunciare il raduno degli spiriti notturni.
Nell’oscurità le Vile scendono nella valle. I loro abiti trasparenti brillano come fossero trapuntati di diamanti e di gemme. Su un prato si tendono le mani per una lenta ridda.
All’alba le incantevoli fate perderanno i loro gioielli: l’una dopo l’altra le gemme si staccano dai loro veli fluttuanti, trasformandosi poi nella brina sui prati.

L’ISONZO

Tre fratelli scorrono impetuosi nella vicina Slovenia: la Dava, la Sava e l’Isonzo (in sloveno, Soca). Un giorno i tre fiumi scommisero chi di loro sarebbe riuscito a sfociare per primo nel mare. La sera la Sava e l’Isonzo s’addormentarono accidentalmente, mentre la Dava proseguì il suo viaggio, astuta e silenziosa. Quando il mattino seguente la Sava si svegliò e vide la sorella filare rapida verso oriente, raccolse furibonda tutte le sue forze e si lanciò spietata al suo inseguimento.
Il chiasso che le due sorelle causarono finì per svegliare anche l’Isonzo. Con grande impeto si scavò un nuovo letto tra le rocce, scegliendo un’altra direzione.
Fu il primo ad arrivare al mare.

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Inserito - 26/09/2004 :  15:54:20  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Isabella
LA BORA

Secondo la tradizione popolare il famigerato vento carsico, la Bora, che non segue mai una direzione precisa, è una vecchissima strega con un figlio, il Borino. Ambedue abiterebbero in una caverna con l’apertura sbarrata da un grosso masso. Spesso la Bora sguscia fuori e deve esser spinta dentro nuovamente. Infuria per tre, nove e perfino quindici giorni: “Quando la bora se move, o un o tre o cinque o nove”.
Quando la vecchia strega soffia per nove giorni la gente dice: “In tre giorni la nassi, in tre giorni la cressi, in tre giorni la crepa” (“in tre giorni nasce, in tre giorni cresce, in tre giorni muore”). Altri detti dei marinai sono: “A Fiume la nasce, a Segna la fiorisce, a Trieste la crepa”. Inoltre: “Piova e vento, le strighe va in convento, sol e bora le strighe va in malora” (“pioggia e vento, le streghe vanno in convento. Sol e bora le streghe periscono”). “Tre calighe fa una piova, do fa una bora” (“tre nebbie portano la pioggia, due la Bora”). “Tre barbe bianche prima mentirà che le tre bore di marzo mancherà” (“sarà più facile che tre anziani mentano che le tre Bore del 7, 17 e 27 marzo manchino”).
In passato si credeva che la Bora preannunciasse lo scoppio di una guerra. A Trieste si crede che, quando viene impiccato un criminale o quando un suicida s’impicca nel Bosco dei Pini o presso una fonte nel Boschetto (nel cosiddetto Boschetto dei Suicidi), la Bora soffierà per tre giorni. Oppure si dice che, quando la Bora imperversa con violenza, qualcuno si è tolto la vita o ha venduto l’anima al diavolo.
Su molte alture del Carso la gente conosce le “caverne della Bora”. E’ nota una presso Trieste ed un’altra sopra Segna del Quarnaro, dalla quale la strega si scatena con i suoi “refoli”. Nel Goriziano si diceva avesse un rifugio in un burrone a Gargano, fra il monte San Gabriele ed il Monte Santo.
Secondo un’antica leggenda i Veneziani abbatterono i grandi querceti nelle zone carsiche della costa adriatica per ricavarne il legname per la costruzione della loro flotta. Per questo motivo la maledizione degli schiavi incatenati ai banchi delle galere ricadde sulla patria del legno delle navi dove i boschi morirono e da quel tempo sul Carso imperversa la Bora.
E’ in ogni caso fatto storico che quei boschi erano già stati abbattuti molto prima che i Veneziani vi avessero stabilito il loro dominio.


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Inserito - 26/09/2004 :  15:57:58  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Isabella
Cenni geografici
L’Isonzo
Nasce dal complesso montuoso sloveno del Tricorno (in sloveno, Triglav). Da qui il suo corso va ingrossandosi, scorrendo per la maggior parte in Slovenia. Una volta entrato in territorio italiano, l’Isonzo modifica profondamente la regione della bassa pianura friulana (prevalentemente zone lagunari ed umide), collocata tra le foci del Tagliamento e dello stesso Isonzo. Gli ambienti lagunari di Grado e Marano, formatisi dai sedimenti alluvionali, costituiscono un’apprezzabile oasi faunistica, abitata da un gran assortimento di uccelli palustri, molto spesso riconducibili alla fauna di transito, conseguenza dei fenomeni migratori stagionali.


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Inserito - 19/12/2004 :  15:37:31  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Isabella
LA BORA
Secondo la tradizione popolare il famigerato vento carsico, la Bora, che non segue mai una direzione precisa, è una vecchissima strega con un figlio, il Borino. Ambedue abiterebbero in una caverna con l’apertura sbarrata da un grosso masso. Spesso la Bora sguscia fuori e deve esser spinta dentro nuovamente. Infuria per tre, nove e perfino quindici giorni: “Quando la bora se move, o un o tre o cinque o nove”.
Quando la vecchia strega soffia per nove giorni la gente dice: “In tre giorni la nassi, in tre giorni la cressi, in tre giorni la crepa” (“in tre giorni nasce, in tre giorni cresce, in tre giorni muore”). Altri detti dei marinai sono: “A Fiume la nasce, a Segna la fiorisce, a Trieste la crepa”. Inoltre: “Piova e vento, le strighe va in convento, sol e bora le strighe va in malora” (“pioggia e vento, le streghe vanno in convento. Sol e bora le streghe periscono”). “Tre calighe fa una piova, do fa una bora” (“tre nebbie portano la pioggia, due la Bora”). “Tre barbe bianche prima mentirà che le tre bore di marzo mancherà” (“sarà più facile che tre anziani mentano che le tre Bore del 7, 17 e 27 marzo manchino”).
In passato si credeva che la Bora preannunciasse lo scoppio di una guerra. A Trieste si crede che, quando viene impiccato un criminale o quando un suicida s’impicca nel Bosco dei Pini o presso una fonte nel Boschetto (nel cosiddetto Boschetto dei Suicidi), la Bora soffierà per tre giorni. Oppure si dice che, quando la Bora imperversa con violenza, qualcuno si è tolto la vita o ha venduto l’anima al diavolo.
Su molte alture del Carso la gente conosce le “caverne della Bora”. E’ nota una presso Trieste ed un’altra sopra Segna del Quarnaro, dalla quale la strega si scatena con i suoi “refoli”. Nel Goriziano si diceva avesse un rifugio in un burrone a Gargano, fra il monte San Gabriele ed il Monte Santo.
Secondo un’antica leggenda i Veneziani abbatterono i grandi querceti nelle zone carsiche della costa adriatica per ricavarne il legname per la costruzione della loro flotta. Per questo motivo la maledizione degli schiavi incatenati ai banchi delle galere ricadde sulla patria del legno delle navi dove i boschi morirono e da quel tempo sul Carso imperversa la Bora.
E’ in ogni caso fatto storico che quei boschi erano già stati abbattuti molto prima che i Veneziani vi avessero stabilito il loro dominio.


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L’ORIGINE DEL CARSO

I
Al termine della creazione a Dio avanzò un mucchio di sassi ed allora ordinò all’angelo Gabriele di spaccarli e buttarli in mare. L’Arcangelo si mise subito al lavoro, riempì un sacco con tutti quei sassi frantumati e portò via il pesante fardello. Il diavolo lo vide mentre passava sopra l’altopiano del Carso, l’inseguì di soppiatto e tagliò le cuciture del sacco. Tutta la gran massa dei sassi rotolò fuori e ricoprì l’intera zona fino al mare. Il Signore però ebbe pietà della povera gente del Carso e fece nascere su quel terreno roccioso la vite, che dà il vino migliore di questa terra.

II
Un giorno Cristo volle visitare in compagnia di Pietro i villaggi del Carso. L’accorto Pietro procurò un asinello e di nascosto acquistò anche un grosso prosciutto. Ma di quest’ultimo dettaglio il Signore non se ne accorse. Allorché, dopo un lungo tratto, si concedettero finalmente una sosta, Pietro aiutò il Signore a scendere, gli cercò un posto all’ombra di un noce e poi volle tirar fuori il prosciutto. Nel frattempo, però, un carsolino s’era avvicinato furtivamente e l’aveva rubato. Così il Signore dovette accontentarsi di un po’ d’insalata. A punizione del furto ordinò che tutte le acque del Carso sparissero. Allora s’asciugarono tutti i laghi e quel rigoglioso paese diventò brullo e desolato. Da allora per placare la loro sete gli abitanti del Carso devono faticosamente raccogliere in recipienti l’acqua piovana.


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STREGHE ED ALTRI ESSERI SPETTRALI

Nelle “Furlanie” (terre friulane) è credenza che le streghe s’incontrino di notte in una caverna nel bosco, e che, assumendo l’aspetto di gatti o fuochi fatui, insidino i viandanti ai crocevia. A Idria un minatore, tornando a casa dalla miniera a notte inoltrata, incontrò un gatto nero con occhi verdi luccicanti. Per scacciarlo l’uomo gli gettò un sasso ma, con suo grande spavento, la bestia cominciò ad ingrossarsi per trasformarsi infine in un gigante alto come il campanile della Chiesa di Santa Barbara. Fu proprio alla patrona dei minatori che l’uomo si raccomandò, facendosi il segno della croce. Così potè raggiungere incolume la sua casa.
Un tempo nella periferia di Trieste, a Rozzol, vivevano cinque streghe che di sera stavano in agguato sulla “crosada delle strighe” per attirare i passanti nella loro casa. Se un uomo le seguiva, l’intorpidivano con una pozione, lo costringevano a camminare su chiodi ben aguzzi, lo tormentavano fino allo svenimento e poi, a mezzanotte, lo riportavano sul crocevia.
Nelle Alpi Carniche le streghe svolgono i loro riti orgiastici di giovedì e non di sabato. L’unguento stregato che si spalmano su tutto il corpo le rende invisibili e tanto leggere da poter scivolare attraverso finestre e camini. Inoltre, provocano la grandine e sono fonte di grossi malanni per la gente e per il bestiame.
Nelle vicinanze del monte Techia si trova il campo delle streghe, un prato di forma rotonda caratterizzato da un’erba rigogliosa, che però i contadini si guardano bene a tagliare per il timore di conseguenze nefaste.
La Val Blancha presso Gorizia è anche chiamata “Campo delle streghe” perché in tempi antichi quello spazio era riservato proprio al rogo delle streghe.
Una volta le fate del Friuli riuscirono a respingere l’invasione delle streghe costringendole a promettere di non mettere più piede in tutto il Friuli. Ciononostante di tanto in tanto tornano, nascoste nelle nuvole nere spinte oltre le montagne dalla bora o dalla tramontana, per far cadere la grandine sui campi. Allora le fate si rivolgono ai lontani alleati, i venti del sud, che ricacciano le intruse oltre le Alpi.
Curiosità: talvolta le streghe vengono chiamate “Aganis” (lis aganis). Sono demoni femminili con i piedi rivolti all’interno.


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