Sabato mattina presso il Commissariato dei Carabinieri di PortacomacchioIl sole del sabato mattina filtrava svogliato tra le tapparelle abbassate del Commissariato di Portacomacchio. L’aria sapeva di caffè vecchio e modulistica. Con passo incerto ma deciso, spinsi la porta d’ingresso, salutai con un cenno e mi avvicinai al bancone dove un carabiniere di mezza età sistemava dei fogli con l’aria di chi ne ha viste troppe... ma non ancora tutto.
Mi indicò una sedia di plastica, accanto alla scrivania, senza dire nulla.
Mi sedetti.
Lui prese in mano il modulo.
«Nome e cognome?»
«Beppe De Filippo.»
«Professione?»
«Parrocchiano... di quelli assidui.»
Il maresciallo solleva un sopracciglio.
«Non è previsto nel modulo, ma lo segno lo stesso.»
Seduto sulla sedia del Commissariato di Portacomacchio, stringevo tra le dita il mio foglietto d’appunti, un fazzoletto e la convinzione, tutta mia, che quel che era successo venerdì sera meritasse attenzione.
«Allora, signor De Filippo, dica: cosa è successo?»
«Venerdì sera, durante la Messa delle 19... eravamo tutti raccolti. Canti, parole del Vangelo, un silenzio rispettoso... e poi, puff!»
«Puff?»
«Come un’esplosione spirituale, ma al contrario. Una porta che si spalanca in fondo alla navata, un urlo. Forte, gutturale. Non un lamento, non un'invocazione. Un urlo e basta.»
Il maresciallo prende appunti con fare professionale.
«Urlo... tipo minaccia?»
«No, più tipo... scimmia allo zoo, ma più urbano, più social.»
«Capisco. Ci sono stati danni?»
«Più di quanto lei immagini, maresciallo. Un’anziana ha fatto cadere il Rosario. Don Claudio ha quasi perso il filo dell’omelia. E io, be’, io ho sobbalzato.»
Il maresciallo alza la testa.
«Sobbalzato?»
«Sì, interiormente. Che è peggio. Ma soprattutto... ci hanno rubato la serenità.»
Una pausa.
«La... serenità?»
«Esatto.»
«Signor De Filippo, mi perdoni, ma... non risulta tra gli oggetti denunciabili.»
Mi sporgo sulla scrivania.
«E allora la inserisca. La inventi, la protocolli. Chi è entrato non voleva soldi, non cercava statue d’oro. Voleva solo distruggere quel momento. E ci è riuscito.»
Il maresciallo tamburella con la penna sul blocco.
«Capisco. Un atto dimostrativo.»
«Una bravata, una goliardata. Forse una “storia” da mettere sui social. Ma ha lasciato uno strappo, maresciallo. Piccolo, ma vero. In un luogo dove uno va per ritrovarsi, è stato... disturbato. Violato.»
Silenzio. Poi il maresciallo chiude la cartellina con decisione.
«Allora formalizziamo. Data: venerdì scorso. Luogo: Parrocchia di San Pietro e Paolo. Reato: Furto di Serenità, con violazione di raccoglimento collettivo.»
«Grazie. Mi sento già meglio.»
«Avvieremo accertamenti. Ci sono telecamere nella zona davanti alla alla chiesa. Magari qualcuno ci ha lasciato un indizio. O un selfie.»
Mi alzo. Saluto. Il maresciallo mi accompagna alla porta.
«Signor De Filippo, sa cosa le dico?»
«Dica.»
«Che la serenità si può anche rubare... ma solo a chi se la fa portare via.»
Sorrido. Ma solo un po’.
Poi esco dal commissariato e, mentre cammino lungo il viale alberato che porta verso la macchina, penso.
Forse quel ragazzo o quella ragazza voleva solo farsi notare. Forse era una sfida fra amici, una corsa al “chi osa di più”. O magari c’era solo noia, e l’illusione che rompere un silenzio sacro fosse un modo originale per dire “io ci sono”.
È facile, da adulti, sentirsi offesi. È comprensibile, da fedeli, sentirsi violati. Ma forse dovremmo anche chiederci perché un giovane senta il bisogno di fare “casino” proprio in chiesa.
Perché la veda come un posto muto, spento. Vecchio. Un museo per vecchi abitudinari.
Eppure, la chiesa è molto di più.
È memoria viva, cucita nei canti e nei volti dei nonni.
È luogo di passaggio, dove una generazione prende il testimone dall’altra.
È ponte invisibile tra ciò che è stato, ciò che siamo... e ciò che saremo.
Non solo qui, su questa terra , tra Portacomacchio e le sue strade di cubetti di porfido, ma anche nell’eternità che ci attende.
Perché se davvero crediamo in quel Regno promesso, allora ogni gesto che facciamo oggi, ogni preghiera sussurrata, ogni sguardo condiviso nella pace... è già un mattone posato su quella strada.
E magari, chissà, anche chi ha urlato, per gioco o per sfida, un giorno troverà in quel silenzio interrotto una domanda nuova.
E forse, proprio lì, comincerà a cercare la risposta.