luisa camponesco
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Italy
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Inserito - 18/05/2004 : 19:38:38
Dove finisce l'arcobaleno Nel piccolo paese di montagna la vita scorreva lentamente, ogni giorno sempre uguale e pur sempre diversa. La neve imbiancava ancora le vette più alte, ma la primavera era ormai inoltrata. In quella strana primavera del ’44, il sole pareva non volesse scaldare più la terra. Nei pascoli il verde dell’erba era appena visibile, il vecchio Cesare guardava preoccupato il cielo che non prometteva nulla di buono. Michele il nipotino si avvicinò - Nonno cosa guardi? – - Dove finisce l’arcobaleno – rispose - Cosa c’è alla fine dell’arcobaleno? - Ci sono i sogni degli uomini – Già, i sogni degli uomini, il pensiero di Cesare andò al figlio lontano che combatteva da qualche parte su monti come quelli, non aveva sue notizie da molto ormai, la guerra pareva non finire mai. Ogni tanto i soldati tedeschi salivano al paese a fare razzie di cibo, portavano via tutto quello che trovavano, impossibile opporsi, si rischiava la vita. Gli abitanti avevano imparato a nascondere qualcosa, non molto, quel tanto che bastava per non morire di fame, se avessero nascosto di più i tedeschi se ne sarebbero accorti. Il bestiame veniva portato nei pascoli più alti e nella stalle rimanevano le mucche più vecchie, quelle che davano meno latte, in questo modo si limitavano i danni. Quella sera Cesare durante la cena, che consisteva in una tazza di latte freddo e polenta calda, osservava Michele che mangiava avidamente e si sentì impotente, avrebbe voluto dargli ben altro che polenta e latte, ma tutto era razionato bisognava pensare al domani. Michele appena finita la sua ciotola sorrise al nonno, aveva ancora fame, ma non l’avrebbe mai detto, era consapevole del momento difficile che stavano vivendo. - Nonno! Oggi mi detto che i sogni degli uomini vanno tutti alla fine dell’arcobaleno. E’ proprio vero? - Certo Michele è vero. - Anche quelli dei bambini vanno in fondo all’arcobaleno? - Quelli dei bambini corrono anche più in fretta lungo l’arco e quando giungono alla fine gli angeli li raccolgono per portarli al buon Dio. - Allora se ho un sogno lo posso mandare anch’io sull’arcobaleno? - Certo Michele – e con la mano Cesare gli scompigliò i capelli – ora però a letto. Nella sua cameretta, il bambino guardò il cielo dalla piccola finestra, alcune stelline si erano appena accese, chiuse gli occhi ed espresse un desiderio, poi si fece il segno della croce s’infilò sotto le coperte e si addormentò sorridendo. Al mattino, nonno Cesare lo svegliò presto. - Michele, devi andare ai pascoli alti, ci sono le mucche da mungere, e controllare i vitelli, dovrai aiutarmi. Michele si stropicciò gli occhi e poi balzò in piedi, era importante aiutare il nonno, i tempi erano duri e quelle mucche erano la loro unica risorsa, se i tedeschi le avessero trovate sarebbe stato un disastro. Quella mattina era particolarmente fresca, ma Michele correva su per quel pendio con un secchio sulle spalle e in un telo annodato aveva del pane nero e formaggio. Mentre percorreva quel sentiero pensava all’arcobaleno e ai sogni dei bimbi. La sera prima aveva pregato di poter rivedere presto il babbo, si guardava attorno, ma non c’era nessun arcobaleno. Le mucche brucavano tranquillamente, non erano molte, solo sei con due vitellini, per un attimo Michele le invidiò, loro erano ignare di quanto succedeva, loro non avevano il babbo lontano a loro bastava un po’ d’erba e un prato per pascolare La mungitura non era così facile, spesso scalciavano, ma lui aveva imparato, senza latte non c’era burro e nemmeno formaggio. Incominciò dalla Rosina, era più mansueta poi tutte le altre, il secchio era ormai colmo, ne bevve un pò, aveva un buon sapore, era sempre così quando pascolavano nei prati alti. Finì, stanco, si sedette ai piedi di un abete ed incominciò a mangiare, poi col berretto sugli occhi si stese all’ombra dell’albero. Un rumore di rami spezzati lo fece sobbalzare, pensò subito ad un animale, la sua fantasia incominciò a correre, orsi, lupi… non ne aveva mia visti prima. Il rumore si ripetè, questa volta più vicino, il cuore incominciò a battere più forte, le mucche non si erano mosse continuavano a brucare, quindi non doveva trattarsi di un animale selvatico. Incominciò a guardarsi attorno con circospezione, il rumore proveniva da un gruppo d’abeti poco distanti. Un cespuglio ondeggiò, ma non c’era vento, Michele si avvicinò pensando ad una lepre o ad un fagiano, sarebbe stata davvero una bella fortuna. Si avvicinò con cautela un bastone in mano, forse quella sera avrebbero mangiato qualcosa di diverso. Alzò il bastone e scostò il fogliame, ma ciò che vide non era certo una lepre… l’uomo alzò un braccio. - Bambino italiano help me – Michele arretrò impaurito, ma l’uomo non si mosse – No paura bambino please… Quel uomo era un soldato, ma Michele non aveva mia visto una divisa come quella, quando cercò di alzarsi, il ragazzo vide una macchia rossa vicino al ginocchio, era ferito. Non sapeva cosa fare, se fuggire oppure avvicinarsi. Il soldato alzò un braccio ed indico il cielo, il cuore di Michele fece un sobbalzo, era venuto dal cielo, forse dall’arcobaleno, magari aveva notizie del padre. Si avvicinò e l’uomo gli sorrise - Bravo bambino aiuta me – si raddrizzò zoppicando, poi recuperò quello che a Michele sembrava un enorme lenzuolo bianco – paracadute – disse vedendo la meraviglia del ragazzo. - Vieni dal cielo? – chiese - Yes dal cielo – rispose - Allora forse conosci il mio papà - Non sò bambino forse. Mio nome Steven Maloni mio papà italiano - Io Michele - Bene, Michele aiuta me, io aiuto Michele – estrasse da una tasca delle tavolette di cioccolata ne diede una al ragazzo e l’altra la mangiò poi controllò la ferita al ginocchio e la medicò alla bene meglio. Michele corse a prendere il secchio del latte e glielo offrì. Il soldato bevve -Molto buono latte italiano – era evidente che il ginocchio gli faceva male. Il bambino non sapeva come aiutare quell’uomo con quello strano accento allora gli porse del formaggio che non aveva mangiato. - Dimmi bambino c’è casa qui vicino? Devo riposare per gamba vedi? – indicò il ginocchio ferito Michele sapeva che il fienile del vecchio zio Oscar non era lontano, contento di aver trovato la soluzione fece cenno di seguirlo. Zoppicando il soldato con il suo pesante zaino s’incamminò per il sentiero seguendo il ragazzo. Il fienile era vuoto da tempo e con tetto in parte scoperto, ma a Steven Maloni sembrò perfetto, poi rivolto a Michele: - Nessuno deve sapere, capito? – e mise l’indice sulla bocca - Nemmeno al nonno? - Nessuno Michele, questo nostro segreto. Per molti giorni il bambino corse sù per quei monti a trovare l’amico portando quel poco che poteva, pane, formaggio, una volta riuscì persino a portare una coscia di pollo. Poi un giorno… - Ora devo andare piccolo amico, mio compito finito – disse indicando una radiotrasmittente - Ma Steven non dimenticherà Michele…un giorno tornerò. A Michele scese una lacrima, si era affezionato, l’americano gli accarezzò il capo. - Corri Michele, a casa e grazie, ma stai attento adesso c’è molto pericolo. Michele lo osservò mentre si caricava il pesante zaino sulle spalle e si dirigeva verso la montagna. Sul sentiero del ritorno sentiva il cuore gonfio di tristezza, aveva perso tutti gli amici, la mamma, il babbo era lontano chissà dove ed ora anche Steven. Tutti andavano via, lo lasciavano solo per fortuna c’era il nonno. I suoi pensieri furono interrotti da una voce amplificata dall’eco. - ACHTUNG, ACHTUNG Michele conosceva bene quelle parole, incominciò a correre verso il paese. Soldati tedeschi armati entravano in tutte le case, rastrellando tutto quello che vedevano, le poche galline, il maialino, la farina… - SCHNELL, SCHNELL – era un ordine perentorio, gli uomini e le donne venivano radunati nel centro della piazza e a chi si opponeva veniva bruciata la casa nella migliore delle ipotesi. Michele raggiunse il paese, alcuni di loro stavano portando fuori i sacchi di frumento dalla dispensa del nonno, gli ultimi rimasti, perderli significava la carestia. Il nonno si oppose e il calcio di un fucile lo colpì in pieno viso, un ufficiale tedesco ordinò ad un soldato di ucciderlo. Il soldato obbedì e puntò la mauser alla fronte del vecchio. - NOO – urlò Michele, non poteva perdere anche lui e si frappose fra il nonno e l’arma. Il soldato dopo un attimo di sorpresa mutò espressione. Pietà? Compassione ? No! Qualcosa di più profondo, forse il ricordo di un figlio che l’attendeva nella sua terra, un figlio come Michele. L’ufficiale urlò qualcosa in lontananza, il soldato spostò la pistola e sparò in un’altra direzione poi, quasi correndo senza girarsi si diresse verso il camion. Quella notte un temporale si abbattè sul paese con vento e grandine, Michele al capezzale del nonno lo vegliava e ogni tanto gli bagnava la fronte livida per il colpo ricevuto, poi il respiro si fece regolare e il vecchio si addormentò. L’alba colse il bambino col capo appoggiato sul letto, un timido raggio di sole lo accarezzò, stropicciandosi gli occhi si alzò e spalancò le ante, il cielo era terso e… un’arcobaleno attraversava da capo a capo la vallata. Un’arcobaleno, Michele corse fuori e con il dito seguì l’arco, finiva proprio sui pascoli alti. Il suo sogno era là, non poteva perderlo. Dopo essersi accertato che il nonno fosse tranquillo si accinse a percorrere il sentiero della montagna. In fretta, più in fretta che poteva, prima che sparisse e con lui il suo sogno. Col cuore in tumulto e il fiato corto non vedeva nemmeno dove posava i piedi, guardava continuamente in alto, l’arcobaleno era sempre lì nitido e bellissimo, non si accorse della scarpata, precipitò per un tempo che pareva infinito. Due braccia forti lo presero, Michele aprì gli occhi, erano gli angeli pensò, quelli che portano a Dio i sogni dei bambini, poi vide che erano uomini, uomini armati con un fazzoletto rosso al collo. - Ragazzino!! Ma cosa stai facendo? Non hai visto la scarpata? Michele era confuso guardò in alto, l’arcobaleno finiva proprio lì e quelli non erano angeli il suo sogno era svanito un singhiozzo salì dalla gola ma… -MICHELEEE- una voce conosciuta, familiare lo fece voltare. Un uomo si staccò dal gruppo che saliva dalla valle e con un passo veloce si avvicinò al ragazzo, pareva volesse volare. Il bambino strizzò gli occhi e poi… - Babbo! Babbo sei tu? - le parole non servivano ormai, padre e figlio erano abbracciati - Dimmi Michele come facevi a sapere che ero qui? Michele sorrise e puntò il dito verso l’alto, il padre non capì… ma non aveva più alcuna importanza.
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