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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 17/02/2003 :  16:36:08  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
Testimonianza


Spero che le cose che scriverò e i fatti che narrerò valgano come testimonianza per le autorità giudiziarie e per i medici dell’ospedale psichiatrico.
Sono solo una giovane universitaria e verrò presa in considerazione e creduta molto poco, ma posso assicurare che quanto affermerò per iscritto, risponde tutto a verità sacrosanta.
Il mio paese s’inerpica sulle pendici dell’Etna e da sempre è conosciuto come meta di turisti. Purtroppo in questi ultimi mesi le eruzioni sono state frequenti, quindi è rimasto un po’ isolato e nessuno vi si avventura spesso. Gli spettacoli offerti dalla lava sono stupendi, malgrado tutto. Quei fiumi di fuoco sono incredibili. Io li vedo dalla finestra della mia camera, lontani e magnetici, con esplosioni alterne che fanno pensare a dei giochi d’artificio.
Tutto cominciò proprio in una notte in cui si udivano dei boati tremendi.
I lapilli venivano lanciati in cielo con fragore.
Era pieno inverno ed era caduta la neve. Una notte di gelo terribile e stavo per mettermi a letto, quando udii una sorta di grido roco e animalesco.
Rimasi immobile, interdetta. Di nuovo vi fu quell’urlo tremendo come l’ululato di un lupo. Corsi nella stanza dei miei due fratelli. Sono molto più piccoli di me e temevo le loro reazioni di terrore.
I miei genitori non erano presenti perché si trovavano a Catania.
Il giorno dopo, si riseppe della morte di Gaspare il pastore. Un decesso inspiegabile visto che è stato trovato davanti la sua povera casa come assalito da un lupo. Ucciso a morsi. Dilaniato.
I giornali non ne hanno dato molto risalto poiché, in questo momento, le notizie più interessanti riguardano l’andamento dell’attività vulcanica.
Ci fu in seguito un altro episodio strano: i bambini del signor Campisi affermarono di aver visto aggirarsi attorno alla loro casa, una sera, uno strano figuro che si lamentava e si contorceva.
Poi ancora, una notte successiva, lo stesso personaggio fu avvistato nei pressi di un’altra casa del paese. Appena cercarono d’inseguirlo, si volatilizzò.
La cosa più strana fu la coincidenza che notai tra codesti avvistamenti e altri misteriosi fatti che, nel frattempo, accadevano a casa nostra.
Per esempio, ogni tanto sparivano i giocattoli dei miei fratellini. Piangevano e li cercavano fintanto che non li ritrovavano distrutti dentro il garage. Ma chi era stato? Come era successo?
Un altro fatto inspiegabile, ricordo che mi è capitato a Catania, mentre dal paese stavo andando all’università con il pullman. Ero scesa e, ad un tratto, vidi qualcuno.
Un individuo con un lungo cappotto grigio e un logoro cappello in testa mi seguiva. Aveva in mano qualcosa che mi parve un temperino. La sua attenzione era concentrata su di me, anche se teneva il volto abbassato e quasi interamente nascosto dal berretto. Allarmata presi a camminare più in fretta. Il quartiere era poco popolato e i passanti pochi. I miei passi echeggiavano sul selciato. Il cuore batteva forte. Udivo dietro me, l’eco dei passi dello sconosciuto. Non osavo voltarmi. Cominciai a correre e mi resi conto che anche lui correva. Ad un certo punto, mi raggiunse e sentii la stretta di una mano sulla spalla. La paura ebbe il sopravvento e credo di essere svenuta.
Quando rinvenni, c’era mio padre chino su di me. Era agitato e mi chiedeva cosa fosse successo. Il suo capo era scoperto, ma incredibile a dirsi! Indossava il medesimo cappotto dell’uomo in grigio.
Mi sollevai e spalancai gli occhi: “Papà cosa fai qui?”
“Cosa ci fai tu piuttosto?” fu la risposta perentoria.
Non mi spiegò mai come si trovasse lì in quel preciso momento.
Ricordo solo che aveva un aspetto diverso e sconvolto.
Quando mi riebbi del tutto, gli raccontai concitata che ero stata vittima di una aggressione. Mi disse che era stata solo un’allucinazione dovuta ad un malessere e che non ci dovevo più pensare.
“Ma papà che dici! Mi ha aggredito! Sono svenuta per la paura.”
Così dicendo avevo osservato con curiosità quel cappotto che non gli avevo mai visto.
Mi aveva ricondotto a casa sostenendo che non stavo bene e che non dovevo andare all’università.
Quello fu il primo di una lunga serie di circostanze inquietanti.
Alcuni giorni dopo la famosa aggressione, ero rimasta a casa a studiare.
Non c’era nessuno poiché i bambini erano a scuola in paese e mia madre si era recata a fare la spesa. Udii mio padre rientrare più presto del solito ed aveva un aspetto spaventoso. Gli occhi vitrei e spalancati, le mani tremanti e il colletto della camicia strappato. Quando s’accorse che ero in casa, ebbe un sobbalzo e cominciò ad indietreggiare.
“Papà cos’hai? Ti senti male?” chiesi.
Scappò via come invasato. Preoccupata andai fuori a cercarlo, meravigliata di non riuscire a trovarlo per molto tempo.
Quando tornai, i miei libri erano spariti e la camera era sossopra.
Chi era stato? Come era successo?
Come se non bastasse, qualche giorno dopo fu trovato il mio cane sgozzato dietro casa e il dolore che provai fu indicibile.
Continuavo a vivere come in un incubo anche perché mi rendevo conto che tutto ciò era inspiegabile.
Ne parlai con mia madre ed anche lei disse di non riuscire a capire cosa stesse succedendo nella nostra famiglia.
L’Etna, in quei giorni, era più infuriato che mai. Nuovi crateri si erano formati e la lava si era aperta nuovi varchi.
Per fortuna il nostro paese si trova ad una distanza di sicurezza.
Una notte ricordo di aver visto, lontana, la figura d’un uomo che si stagliava nel buio, illuminata solo dalla luce della lava. Era un’immagine impressionante e quell’individuo aveva le braccia spalancate e si contorceva. Trascorsi una notte insonne e questo mi lasciò impreparata ad affrontare quello che successe il giorno seguente.
Stavo studiando e udii mia madre urlare. Corsi a vedere cosa fosse accaduto ed ella mi disse che il più piccolo dei miei fratelli era scomparso.
“L’avevo lasciato che giocava nella sua stanzetta!” gridò allarmata.
Guardai l’altro mio fratello: “papà dov’è?” domandai.
“E’ uscito mezz’ora fa,” rispose.
Chiamammo disperatamente il bambino e lo cercammo ovunque.
Nel giardino attorno alla casa non c’era. Cominciai a chiedere ai vicini, ma nessuno l’aveva visto.
Le ombre della sera già avvolgevano ogni cosa e il vulcano tuonava furioso, come presago di sventure. Sentivo l’anima attanagliata da un’angoscia incredibile.
Quando ormai mia madre stava telefonando alla polizia, udimmo un pianto provenire dal garage. Proprio lì non avevamo pensato di cercare. La saracinesca era abbassata, ma i lamenti del mio fratellino erano distinti e chiari. Lo trovammo rannicchiato contro il muro. Era scosso da singhiozzi convulsi e sembrava in preda ad uno shock.
“Ma come ti sei chiuso qui dentro?” chiese mia madre scuotendolo e abbracciandolo.
“E’ stato lui! E’ stato l’uomo nero” fu la risposta.
“Che dici! Non c’è nessun uomo nero! Perché sei entrato nel garage?”
“Mi ha portato lui! Mi voleva ammazzare! Poi si è fermato, è scappato e ha chiuso la saracinesca!”
Aveva ripreso a piangere convulsamente e tremava. Mia madre cercò di calmarlo e consolarlo, anche perché temeva che fosse rimasto svenuto per qualche tempo.
Dopo che fu a letto ed ebbe bevuto del latte caldo:
“Lo hai visto?” gli chiesi, “perché dici che era l’uomo nero?”
“Perché aveva un capello nero, ma non si faceva vedere in faccia.”
“Lascialo stare in pace! Ora deve dormire,” intervenne mia madre.
Un’idea era fissa nella mia mente e la corrodeva come un tarlo: Licantropia!
Io studio a Psicologia e proprio in quei giorni stavo preparando un esame sulle patologie nervose.
Quella è un’affezione assai rara di natura isterica e gli individui che ne sono colpiti si sentono spinti a simulare il comportamento del lupo.
Possibile? Era mai possibile che mio padre fosse divenuto licantropo? Questo sospetto mi faceva venire i brividi, ma non potevo escluderlo.
Sto scrivendo tutte queste cose affinché si comprenda che è innocente e che ciò che ha commesso, lo ha fatto senza rendersene conto, senza piena avvertenza. Lo ha fatto nei momenti di crisi, quando la sua personalità si sdoppiava e diveniva furioso, incontrollabile. Eppure forse, proprio l’amore per noi lo bloccava e ci ha salvati.
Ricordo il momento atroce in cui mi afferrò, in preda ad un attacco di licantropia. Non era più lui. I suoi occhi tanto buoni, erano trasformati. Erano feroci, fuori dalle orbite! La bocca contorta e le braccia spalancate.
Povero papà mio!
Terrorizzata lo chiamavo, lo supplicavo di lasciarmi stare:
“Papà sono io! Papà guardami! Lasciami, non farmi male!”
Portò anche me in garage e prese la scure con cui taglia i rami degli alberi.
Compresi che non ragionava assolutamente e pensai che fosse venuta la mia ultima ora. Gridai atterrita e cercai di guardarlo negli occhi. Fu proprio allora, quando le sue pupille fissarono le mie, che uno strano guizzo attraversò il suo sguardo. Con uno scarto, mi buttò fuori dalla rimessa e chiuse la saracinesca. Si rinchiuse dentro. Urlava, ma mi aveva salvata da se stesso. L’amore era stato più forte della sua stessa pazzia.
Ero scappata ed ero corsa dai Carabinieri a chiedere aiuto. In fondo era ciò che aveva voluto.


Gabriella Cuscinà

   
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