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riccardo resconi
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Inserito - 30/01/2010 :  17:09:30  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a riccardo resconi
Arlecchino

Dall’alto del paese il porto, dove erano ordinatamente ormeggiate le barche, era ben visibile.
Un piccolo porticciolo destinato solo alle barche a vela.
Qui i giovani rampanti della vicina città , le lasciavano in custodia durante il periodo invernale a Fernando.
Aveva ottenuto quel lavoro da poco tempo.
Erano barche di competizione ad alto livello, che durante l’estate veleggiavano nel Mar Mediterraneo , sfidandosi all’ultima boa e investendo notevoli somme di denaro solo per iscriversi.
Le notevoli possibilità economiche, portavano facilmente i proprietari delle barche ad investire soldi, con l’unico scopo se non quello di ottenere la vittoria nelle regate, per poi veleggiare verso mete più mondane con il trofeo ben visibile sulla prua.
Fernando era per loro un po’ come era un maggiordomo per le loro abitazioni, solo posto all’imbarcadero ,dove erano riposti i loro giocattoli costosi.
Lui non si sentiva così, perché era tale l’amore per il lavoro che svolgeva, che tutto quell’effimero brillare non gli faceva girare la testa, ma anzi lo teneva ben sveglio ed attento su chi lui fosse e quale fosse il suo percorso.
Era tutto preso da rande, bome e fiocchi.
Maestro d’ascia, aveva una estrema grande conoscenza su tutto quello che sapeva di acqua salata, sole , barche e vento.
Suo più grande maestro era stato il padre.
Pescatore per necessità, gli insegnò i rudimenti della pesca, ancora quando Fernando aveva pochi anni, e due braccia in più erano veramente comode.
La loro famiglia proveniva dal nord della Spagna, esattamente da Colera, un paese il cui nome non molto rassicurante diede i natali a tutti loro.
Per necessità, Don Alonso, papà di Fernando si trasferì con tutta la famiglia ad Torre Vedras,vicino Lisbona, dove aveva avuto ottenuto la firma di un contratto, con un grosso mercante ittico che possedeva oltre dieci imbarcazioni.
Qui gli fu affidato il ruolo di capitano della più bella barca che avesse mai potuto desiderare “ La Delicia” . Agli occhi di Fernando, sicuramente la più grande e bella barca del mondo,solo per il suo papà.
Qui, dopo i primi tempi di adattamento, l’intera famiglia De Cruisero si ambientò in maniera armoniosa nella nuova cittadina che li aveva ospitati.
Torre Vedras, era davvero una cittadina graziosa, si affacciava sull’oceano e la rambla era imponente.
D’inverno quando si passeggiava su di essa, sia il sole che riscaldava le gote del viso,sia l’oceano imponente che con il suo fragore faceva sentire chi fosse lì il padrone, davano delle sensazioni bellissime.
Il sale si adagiava sulle labbra che strofinandole davano un brivido ed il vento ti faceva socchiudere gli occhi.
Anche l’architettura delle abitazioni, diversa dalla città di Colera, era accogliente, con case tutte colorate che davano gioia.
Era Febbraio,periodo di Carnevale, quando Fernando ancora ragazzo conobbe Antonio, un ragazzo italiano.
Quest’ultimo era arrivato a Torre Vedras, in quanto stava compiendo un viaggio itinerante insieme ad un altro gruppo di giovani. Avevano raggiunto quella cittadina anche perché rappresentava il luogo dove si svolgeva il più famoso Carnevale del Portogallo.
Lo scopo di quel gruppo di ragazzi italiani, era far conoscere anche ad altre culture, vedi quella portoghese, la tradizione della maschera popolare italiana.
Stavano in effetti, riscuotendo notevole successo le loro performance in giro,secondo quanto dicevano tra di loro.
Era tutto svolto per strada. I ragazzi trovarono un posto comodo dove prepararsi e dai loro zainetti venne fuori l’impossibile.

Sembrava quel fumetto famoso americano, dove un buffo pupazzo tirava fuori dal suo abito cose inimmaginabili.
Abiti sgargianti, trucchi per viso di ogni genere, scarpe enormi appuntite e nasi colorati di rosso. Cappelli di diverse fogge e guanti, baffi posticci a manubrio e mantelli.
Fernando quella mattina,spinto da un’enorme curiosità, si piantò proprio davanti alla figura di Antonio.
Questi gli sorrise ,vedendo che era ancora un ragazzo. Si accorse prontamente che gli occhi di Fernando erano rapiti dai sui movimenti, dai colori che avevano i suoi costumi, chiese lui se avesse voglia di aiutarlo a vestirsi ed ad indossare il costume.
Fernando accettò con gioia.
Quando la vestizione fu ultimata,il viso del ragazzo era raggiante e stupito nel contempo.
Quel vestito indossato da Antonio era bellissimo.
Tutto fatto di rombi colorati uniti tra loro, con quel buffo berretto bianco sulla testa come una specie di tovagliolo da tavola e quelle scarpette nere da ballerina.
La sua maschera, nera,avvolgente, brillante.
Fernando non seppe descrivere tutto quello con parole.
L’unica esclamazione che gli venne fuori dalla bocca fu un “ohhhhhhh” prolungato di meraviglia.
Antonio salutò Fernando.
La festa stava per avere inizio.
Il Re Carnevale aveva dato il via ai festeggiamenti.
Le prime file si stavano formando e i “ze pereiras”, maschere satiriche e trasgressive avevano aperto la festa, accompagnate dal suono delle cornamuse.
A seguire si videro i “trapalhao” che rappresentavano caricature di pagliacci.
Fernando intanto si era sistemato in maniera davvero fortunosa su di un muretto antico. Da lì poteva osservare tutta la sfilata in maniera perfetta. Ma il suo vero scopo era di attendere il passaggio del suo amico Antonio e della sua maschera di Arlecchino.
Con la mano sulla fronte per ripararsi dal sole, guardava nel corteo come fosse un marinaio sulla nave posto sul pennone, in attesa della vista della terraferma.
-Ecco gli italiani, gridò!-
La gente si girò, ma non gli diede molto peso. La tradizione in quel luogo era molto forte e degli italiani non avrebbero sovvertito lo stato delle cose.
Arlecchino era in testa,baldanzoso,con il suo manganello che ruotava sulla testa, saltando come una rana fa nello stagno o un acrobata su di un telo molleggiato.
Sembrava quasi avesse molle poste sotto i piedi e con fare irriverente disturbava gli spettatori posti lungo il perimetro della sfilata.
A seguire Rosina, Pantalone, Pulcinella, Rugantino e Colombina, Capitan Spaventa e Brighella.
Tutti rigorosamente nei loro vestiti d’ordinanza e a cui Fernando non poteva trattenere l’emozione alla loro vista, battendo le mani fino a farle diventare rosse.
La sfilata stava ormai volgendo al termine. Fernando balzò giù dal muretto al pari di un felino e corse dove si stavano dirigendo gli italiani.
Questo volta trovò le parole adatte.
Meraviglioso.
Non immaginavo potessero esserci della maschere così belle.
Sono felice di avervi incontrato, disse loro.
Qui Antonio chiamò a se il piccolo Fernando e facendolo accomodare su di una piccola sedia, gli adagiò sul volto una maschera nera.
Più piccola di quella che lui possedeva,ma altrettanto rappresentativa della figura di Arlecchino.
Il cuore di Fernando sobbalzò.
I battiti erano ormai accelerati a mille.
La gioia incontenibile.
Antonio disse lui solo poche parole.
-Questo mio regalo voglia essere per te Fernando come un proseguimento della nostra cultura nel mondo.-
Fanne tesoro.
La compagnia degli italiani partì la sera stessa.
Quella mattina all’imbarcadero giunsero in diversi.
Erano alcuni gruppi di skippers, venuti in visita con amici portoghesi,alcuni proprietari di qualche barca ormeggiata lì.
Quando videro come Fernando avesse in custodia le barche,si congratularono con lui.
Uno di loro in particolare, quello meno altezzoso del gruppo, entrò nel suo piccolo ufficio.
Alzando lo sguardo,vide la maschera nera di Arlecchino appesa sul muro.
Chiese di vederla e Fernando dopo averla pulita frettolosamente con il gomito dalla polvere, gliela porse .
-Vedi Fernando,questa è una maschera italiana.
Io sono italiano.-
-Anche noi tutti qui oggi,abbiamo una maschera sai.
Non la si vede ma l’abbiamo indosso da sempre.
Una maschera che nasconde le nostre vere emozioni,soffocate invece dal nostro status quo.
Dove tutto deve essere perfetto,dove niente può essere messo in discussione, dove l’effimero prevale sulla genuinità.
Tu Fernando sei così. Genuino.
Quella maschera non l’hai indossata. L’hai solo messa lì in evidenza come monito,come per dirti ogni giorno chi sei realmente,come per dirti ogni giorno dove vuoi andare.
Grazie di questa lezione di semplicità.-
Restituì la maschera di Arlecchino a Fernando e congedandosi disse lui,-adesso Fernando rimetto la mia di maschera,per rientrare di nuovo nel mio mondo.
Arrivederci.-
Chiuse la porta dell’ufficio lentamente e sparì.


patapump

   
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