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 IN NOME DI CESARE
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zanin roberto
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Inserito - 11/04/2007 :  19:01:33  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a zanin roberto
VIGILIA DELLA BATTAGLIA DI TAPSO 46 a.c. TUNISIA

Il profumo dei fiori di limone, era un recente ricordo, sotto l'ombra di un vasto uliveto, i soldati di Cesare si stavano riorganizzando, l'attraversamento del canale di Sicilia li aveva spossati, la tensione dello sbarco in territorio in mano ai nemici e le ore trascorse in balia delle onde avevano lasciato il segno.
Le triremi che avevano toccato terra vicino ad Adrumeto, non lontano da Cartagine, erano ancora poche. Quella maledetta guerra civile ora si era spostata in terra d'Africa, i pompeiani erano forti e motivati, li comandava uno Scipione, Quinto Cecilio Metello assieme a Labieno e il re numida Giuba. Giulio Cesare era partito imbarcandosi dalla Sicilia con sei legioni, ma ora ne aveva raccolte un paio, sapeva che la costa era presidiata dai nemici e non aveva dato istruzioni ai piloti delle navi per un punto preciso di approdo, lasciava alla fortuna decidere chi sbarcava e chi veniva fatto prigioniero.
Il 47 a.c. si stava cocludendo, alla fine di dicembre il grande Cesare si trovava in terra d'Africa, il clima non era ancora inclemente, le grandi distese di palme da dattero si allungavano per chilometri, molti pascoli erano pieni di animali caprini e ovini e di tanto in tanto si incontravano quelle enormi bestie gigantesche, gli elefanti con la proboscide insinuante.
Il comandante era irrequieto, scrutava per ore dagli scogli l'orizzonte, faceva fare la conta dei presenti e poi si appartava nella sua tenda bianca dalle bande rosso fuoco, con i suoi ufficiali a predisporre fortificazioni ed esplorazioni.
Il fumo degli spiedi che arrostivano le carni e il frenetico lavoro dei fabbri, intenti a forgiare armi e strumenti, si mescolavano al galoppo delle pattuglie che sollevavano polveroni densi e aromatici, il foraggio per le cavallerie non bastava, e i pompeiani non consentivano di allontanarsi dalle loro fortificazioni in quella "testa di ponte" stretta e poco adeguata. I cesariani si ingegniarono a raccogliere le alghe dal mare, le lavavano dal salso con acqua dolce, le facevano essicare e cosi le utilizzavano per i cavalli. Cesare sapeva che molte navi si erano perse e continuava a far pattugliare la costa, dalla sua flotta, in cerca dei naufraghi per portar loro soccorso ma anche il nemico cercava di cacciare e affondare imbarcazioni isolate o danneggiate.
Nel frattempo Labieno, un tempo fedele luogotenente di Cesare in Gallia, ora comandante della cavalleria di Scipione, si lanciava contro le fanterie leggere cesariane, per logorarlo e saggiarne la consistenza e il morale.
A pochi chilometri si intravedeva la città di Ruspina,dalle mura candide, con le case addossate l'una all'altra, il vento caldo ora sollevava sabbia e polvere, i legionari sono stanchi, hanno il senso del mal di mare ancora nel corpo, ma si allineano per il combattimento.
Labieno a capo scoperto, mena colpi a destra e a manca, con il suo cavallo a grandi chiazze grigie, l'uniforme bianca a righe dorate, e cerca di convincere i cesariani che stanno dalla parte sbagliata:
- " Perchè mai tu, recluta,sei cosi bellicoso? Cesare ha infatuato anche voi, con le parole? In nome degli dei, vi ha cacciati in un grande pericolo! Mi fate compassione! " - cosi dicendo si aggirava in mezzo alla lotta, più per spaventare che per uccidere, girando la testa a 360 gradi freneticamente per riconoscere qualcuno.
- " Oh, Labieno, io non sono una recluta ma un veterano della X legione!" - rispose un centurione con orgoglio, nella sua tunica rosso porpora.
- " Non riconosco le insegne della X " - ribattè Labieno cercando di smorzare quella fedeltà cosi contaggiosa o quel bluff forse spaccone.
- " Ora intenderai chi sono" - si tolse l'elmo e contemporaneamente gettò il giavellotto che colpi il cavallo di Labieno in pieno petto. -" Oh, Labieno, sappi che è un soldato della X legione a tirarti addosso per l'onore di Cesare!" - il sudore gli colava come cera da una candela consunta,e lo stupore colse Labieno incredulo, quelli erano i veterani di Cesare che aveva portato con se dalle Gallie. Si ritirò, pago della sua constatazione mentre in lontananza le carovane proseguivano il loro cammino verso l'Egitto dei Faraoni senza interesse.
I giorni passavano e il comandante Giulio Cesare si prodigava per ricostruire i suoi effettivi, nuovi arrivi avevano rincuorato e la speranza che tutti trovassero la strada al ricongiungimento si faceva più reale. Il suo legato in Sicilia, Allieno, aveva inviato il secondo convoglio di aiuti, su una nave di queste , si trovavano dei veterani con un centurione e delle reclute, questa triremi venne investita dalla burrasca e portata verso il porto di Egimuro, in mano ai pompeiani di Varo, comandante della flotta di Scipione.
Circondati e disarmati vengono fatti prigionieri e sbarcati sotto scorta, quindi condotti alla presenza di Scipione.
Mentre camminavano fieri, in mezzo a due fila di legionari, venivano scherniti da compagni che avevano combattuto assieme in Gallia o Ispania, da entrambe le parti quella crudele mattanza di sangue romano, non aveva senso, ma non c'era alternativa. Ognuno si era trovato schierato o con Cesare o con Pompeo e non si riusciva a vedere la fine di questa contesa, che aveva agitato mezza Europa, messo molte volte compagni contro compagni.
Entrarono in un palazzo alto e dalle colonne ioniche imponenti, lunghi tappeti color amaranto si stendevano nelle profonde gradinate, i vessilli delle formazioni erano allineati lungo una parete, grandi bracieri ardevano incensi e il suono di cetre allietavano con una melodia tenerissima l'atmosfera irreale,l'ombra interna, la quiete del vento, il profumo delle spezie, il pulito l'ordine , fecero capire che stavano per essere condotti al cospetto del comandante Scipione.
Quando entrarono nella sala delle udienze, molti indigeni di origine numida e mauritani stavano ai lati, quasi a sottolineare che loro si erano già sottomessi alla causa.
In piedi, molto marziale, Scipione Quinto Cecilio Metello, era di schiena, intento a guardare una pianta militare della zona dei combattimenti, a un suo cenno alcuni ufficiali uscirono salutando alla romana, quindi si girò verso i prigionieri e dopo averli ben scrutati, iniziò a parlare loro, muovendosi su e giù per il palco rialzato dove aveva il suo tavolo.
- " So per certo che voi non di vostra iniziativa, ma costretti dalla pressione e dall'autorità di quel vostro scellerato comandante, perseguitate malvagiamente i concittadini e gli uomini dabbene.Poichè la fortuna, vi ha portato in nostro potere, se, secondo quello che è il vostro dovere, difenderete lo Stato con tutti gli uomini dabbene, ho stabilito di donarvi la vita e una ricompensa di denaro. Per cui dichiarate il vostro pensiero! " -
Finito di arringare la sua causa, sicuro che questi soldati avrebbero certamente accettato le sue condizioni, si sedette sorridendo vincente e autocompiaciuto del suo intervento, con l'approvazione di molti suoi uomini,affascinati dalla sua retorica. Gli versarono del vino dell'Apulia e sorseggiando amabilmente fece cenno con la mano che i prigionieri parlassero.
- " Per il tuo grandissimo beneficio ti ringrazio, oh Scipione, infatti non voglio chiamarti comandante, poichè, a me, prigioniero di guerra, prometti vita e salvezza; e forse profitterei di codesto beneficio, se ad esso non si accompagnasse somma scelleratezza. Dovrei, io, schierarmi da avversario e in armi contro Cesare,...il mio comandante!, con il quale sono stato centurione, e contro il suo esercito, per l'onore e la vittoria del quale più di 36anni ho cambattuto?....Questi io non ho intenzione di farlo e vivamente ti esorto a desistere dall'impresa.Infatti tu ora puoi conoscere, se prima non ne hai fatto esperienza, contro chi e contro quali truppe stai combattendo. Segli una delle tue coorti, quella che reputi la più forte e schierala contro di me; io poi prenderò tra i miei commilitoni che ora tu tieni in tuo potere, non più di dieci uomini. Allora del nostro valore comprenderai che cosa tu debba sperare dalle tue truppe. Cosi io parlo per il nome di Cesare" - il vecchio centurione della XIV legione aveva decretato la sua fine, ma il suo intrepido coraggio aveva fatto venire i brividi a tutti nel salone, si era spinto a dare una lezione morale al comandante Scipione.
I pompeiani lo ammirarono, anche molti ufficiali rimasero colpiti dalla fedeltà granitica, dalla forza d'animo di quel centurione, questo era l'esempio di come Roma attingeva linfa per i suoi successi.
Il comandante Scipione non potè sopportare oltre l'oltraggio personale subito, incollerito e sdegnato con un gesto preciso della mano sentenziò l'immediata esecuzione a morte del prigioniero che cadde ai suoi piedi trafitto dalle daghe, ma dritto il suo gesto che rimbalzò d'animo in animo tra i pompeiani.
Cesare poco tempo dopo, venne a conoscenza di questo episodio, e mentre scrutava il mare turchese, i suoi pensieri riandarono alle Gallie, conosceva tutti i suoi centurioni, di molti aveva tra le sue fila i figli, i fratelli, e con grande amarezza si lasciò andare a uno sconforto.
Camminava sulla fine sabbia della spiaggia, si fermò, si chinò, raccolse la impalpabile sabbia tra le dita e la soppesò, come una bilancia, pensava al suo nome, pensava a quanti avevano rimesso nelle sue mani la loro vita, a quanti, lontani in fronti diversi, per suo conto, inneggiando al suo nome, si sacrificavano, soffrivano, morivano.
Il suo scrivano lo seguiva a pochi passi, pronto a scrivere qualunque pensiero gli venisse ordinato, di colpo Cesare lo fissò deternminato, si fermò immobile, quindi alzando gli occhi al cielo, disse:
- " Scriba, scrivi le mie disposizioni, da dare ai miei ufficiali,...ordino che tutti gli addetti alla difesa dei convogli navali, marinai, inservienti, ufficiali, vengano congedati dall'esercito con disonore, per negligenza e contro di loro venga pubblicato un editto durissimo. Non posso ridare la vita ai miei centurioni ma posso castigare chi doveva proteggerli e non l'ha fatto ! Caio Giulio Cesare" - con una mano fece cenno di lasciarlo solo.
Il sole scendeva infuocato in una tiepida sera sul Mare Nostrum, i gabbiani felici banchettavano con i resti del rancio degli accampamenti, le onde si infrangevano vinte sugli scogli pieni di molluschi, e il grande generale ebbe paura per un istante infinito, del suo nome !

di Zanin Roberto

zanin roberto

   
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