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 Elena a New York - 3 ( romanzo a puntate)
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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 15/03/2007 :  18:53:46  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
“Elena a New York”
(romanzo a puntate di Gabriella Cuscinà)

18


Alla pizzeria quella mattina, il sole entrava prepotente dalle vetrate e riempiva l’atmosfera di luce sfavillante. Il caldo di luglio induceva Don Carlo a tenere gli impianti di refrigerazione accesi.
Vi erano numerosi avventori seduti nella zona del bar e si difendevano dalla calura con bevande ghiacciate. Alcuni chiacchieravano tra loro o con degli amici, altri conversavano con i baristi, appoggiati al bancone delle mescite. Uno solo era in disparte e rimaneva silenzioso guardandosi in giro. Aveva l’aspetto dimesso e stanco della persona provata e disillusa dalla vita. Alto e magrissimo, il volto incorniciato da una barba brizzolata e gli occhi, pensierosi e tristi, erano bellissimi.
Giacomo uscì dalle cucine e si stava dirigendo al salone ristorante, quando venne colpito dalla figura di quell’avventore. Non visto, restò fermo a guardarlo. In lui aveva ravvisato l’immagine di qualcuno conosciuto tanti anni prima, al paese. Ma chi era? Lo conosceva, anzi l’aveva conosciuto, ma non ricordava, in quel momento, chi fosse. Aveva tutta l’aria della persona vista molti anni prima, faceva parte dei suoi ricordi, ma doveva essere cambiato e non lo ravvisava. Nella sua memoria non riusciva a ritrovare quel volto. Poi ad un tratto, fece un balzo! Lo aveva riconosciuto! Ora sapeva perfettamente chi fosse! Si passò una mano sulla fronte. No, non era possibile! Prima sua madre, ora quell’uomo! Era Don Mario! Il giovane sacerdote del suo paese, quello di cui Elena era stata invaghita. L’uomo sacrilego che s’era approfittato di sua sorella. Forse però era solo una somiglianza. In fondo, lo vedeva di profilo.
Come richiamato dal suo sguardo insistente, l’avventore si voltò verso di lui e lo fissò. I due uomini si osservarono e nessuno dei due osava muoversi. Per primo, il nuovo arrivato si riscosse e andò verso di lui.
-Sei Giacomo- disse -ti riconosco. E’ passato tanto tempo, ma mi ricordo perfettamente di te! Lo sai chi sono io? Ti ricordi?-
-Sì credo, sì, forse. Lei è Don Mario! Mi pare incredibile! Mi ricordo. Che fa qui a New York?-
-Non sono più Don Mario, ho lasciato l’abito e non sono più un prete, però sono sempre io; ti ricordi bene. Tu non sei cambiato, è trascorso tanto tempo, ma sei rimasto tale e quale! Mi fa piacere rivederti, Giacomo.-

Quello stava pensando che, da un momento all’altro, Elena sarebbe potuta sopraggiungere e avrebbe rivisto quell’uomo!
Disse all’improvviso: - Forse però sarà meglio che vada, Don Mario, sarà meglio che mia sorella non la veda.-
-Tua sorella! Parli di Elena! Oh come vorrei rivederla! Ho letto sai ciò che ha scritto in quella novella. Porto nell’animo un eterno pentimento per quanto feci. Però vorrei chiederle perdono personalmente.-
-No, no, meglio di no, meglio che non la veda. Senta Don Mario, io vorrei evitare a Elena questo incontro. So che ne soffrirebbe. Ha sempre ricordato con molto dolore ciò che accadde.-
-Io potrei spiegare, potrei chiederle di perdonarmi. Ti prego, Giacomo, fammela rivedere! Quel che successe allora fu provocato da una serie di circostanze incresciose. Fu un momento di follia, di cui ancora mi pento, e non cerco scusanti. Fu tutta colpa mia. Ero un sacerdote, ero molto più grande di lei e avrei dovuto resistere alla tentazione. Invece mi lasciai travolgere, approfittandomi della sua giovinezza e della sua infantile infatuazione.-
-Don Mario, ripeto che non deve farsi vedere da lei.-
Come al solito invece, l’uomo fa le pentole e il diavolo ci mette i coperchi. Difatti, mentre erano entrambi concitati a dire :-Sì, sì, no, no-, senza che se ne fossero accorti, Elena era arrivata alle loro spalle e ora sorrideva al fratello. Questi vedendola comparire all’improvviso, rimase con la bocca semiaperta e non riusciva più a guardare l’interlocutore. Era divenuto rosso in viso e il suo contegno denotava qualcosa di strano. La sorella lo guardò stranita ed incuriosita. Don Mario invece era ammutolito e la fissava. La trovava diversa, più bella, ma era sempre lei. Elena volse lo sguardo e restò esterrefatta! Non parlò più, un’espressione indefinibile s’era dipinta sul suo volto!
Chiamare imbarazzante quel momento, sarebbe il solito eufemismo. S’era creata un’atmosfera surreale. Il silenzio regnava profondo. Il primo a parlare fu proprio Don Mario.
-Elena! Sono io! Mi riconosci? Sono proprio io. Sono pentito, voglio chiederti perdono.-
Ci sono momenti della nostra vita che vorremmo completamente evitare, cancellare, far sì che non si presentino mai. Lei continuò a non parlare, sarebbe voluta fuggire e guardava l’uomo che le stava di fronte come se fosse uscito dall’oltretomba. Poi una profonda tristezza apparve sui suoi lineamenti e abbassò lo sguardo.
L’altro incalzo: -Lo so, lo so, non ho scusanti, è stata tutta colpa mia! Non mi pentirò mai abbastanza di ciò che feci, ma perdonami Elena, fui uno screanzato, un essere indegno e sacrilego. Non sai che momenti passai allora! Avevo perso la testa e me ne resi conto solo dopo.-
Lo guardava di nuovo, aveva rialzato la testa e pareva un cerbiatto spaventato. Spostava lo sguardo sul fratello come a cercare aiuto e conforto. Giacomo capì e intervenne: - L’avevo detto Don Mario! Lei deve andar via. Le sta facendo rievocare momenti atroci e terribili. Non è giusto! La lasci in pace!-
Ad abbassare il capo fu adesso l’ex sacerdote. Le spalle gli ricaddero pesantemente e le mani ebbero un gesto di sconforto.
-Va bene, me ne vado. Spero solo che, in cuor tuo, un giorno mi perdonerai. Vedi, non sono più neppure un prete. Mi sentivo troppo indegno e inadeguato. Addio, Elena!-
Il cuore delle persone buone non riesce mai a conservare per sempre odio e astio. Fu per questo che, in modo inatteso, quando già l’uomo si stava allontanando, lei esclamo:
-La perdono Don Mario!-
Quello ristette e si voltò, un sorriso liberatorio gli illuminò il volto. Ritornò sui suoi passi e le fu nuovamente di fronte. Era molto invecchiato. Portava sempre una leggera barba, ma questa ora era tutta brizzolata.
Anche i capelli erano quasi tutti bianchi. Il fisico sempre magro, le spalle s’erano leggermente incurvate. I lineamenti risultavano sempre piacenti e gli occhi gravi e pensosi, erano più che mai affascinanti. Don Mario! Ebbene sì, Elena sapeva perfettamente ch’era stato il primo, grande amore della sua vita!
-Perché si trova a New York? Cosa l’ha condotto qui?-
-Se è la verità che vuoi sapere, non saprei spiegartela neppure io. So solo che, avendo lasciato l’abito, non riuscivo più a vivere tranquillo in Italia. Mi sentivo ovunque fuori posto, inadeguato, osservato. E’ tremendo dover rinunciare ai propri sogni, ai propositi, dover comprendere di essere inadatto ai voti pronunciati in buona fede. Mi è accaduto! Dopo tanto tempo, ho compreso di aver sbagliato la mia strada e sono ritornato sui miei passi.-
-Ma perché è venuto proprio a New York?-
-Quando ero ancora al paese, mi capitò di leggere la tua novella. Fu come una luce improvvisa! Capii che dovevo chiederti perdono. Che New York era il posto dove potermi rifare un’esistenza. Ed eccomi qui. Per lo meno una cosa l’ho fatta. Ho ottenuto il tuo perdono!-
-Come vive, Don Mario? Dove lavora?-
Elena continuava a chiamarlo come lo aveva sempre chiamato.
-Ho trovato occupazione in un centro di assistenza per i poveri. Non hanno badato al fatto che non conoscessi la lingua. Credo che in questo paese poliglotta, nessuno vi badi veramente. A volte, ho l’impressione che la gente si capisca anche a gesti; senti parlare le lingue più sconosciute.-
Intervenne Giacomo: - Abita lontano? Come ci ha rintracciato?-
-Abito distante, presso quel centro tenuto da laici. Ho impiegato parecchio tempo a rintracciarvi, ma alla fine vi sono riuscito.-
-A quanto capisco allora fa una vita disagiata- fece lei.
-Sì ma non importa. Ho molte colpe da espiare. Vivo con poco, ma va bene così. Sono impegnato ad aiutare gli altri e questo mi rende sereno.-
Mentre si svolgeva questa conversazione, dalla porta d’ingresso del locale, era entrata Amanda. Giacomo la vide e il suo sguardo s’illuminò.
Le andò incontro: - Amanda, che c’è? Non t’aspettavo!-
La moglie lo guardava con un lieve rossore soffuso sul bel volto. Una luce particolare accompagnava il suo sguardo.
-Ho da comunicarti una cosa, Giacomo.-
-Dai, non fare la misteriosa e non tenermi in ansia. E’ una cosa bella o brutta?-
-E’ una cosa bellissima!- La sua mano tremava leggermente.
Un sospetto e una gioia strana trasformò l’espressione di lui.
-Parla, Amanda, di che si tratta?-
-Sono stata a fare le analisi. Sono incinta!-
Quando avviene un’esplosione, il boato ed il fragore si sentono ovunque. La stessa cosa avvenne per l’esplosione della gioia di Giacomo. Cominciò a gridare facendo fracasso e creando trambusto. Elena comprese qual era la notizia e s’era avvicinata.
-Come sono contenta! Oh che bellezza! Brava Amanda!-
Le due donne s’erano abbracciate. Era accorso Don Carlo, richiamato dalle grida di Giacomo.
-Cosa è successo?-
-Sarò padre! Sarò padre!-
-Smettila di fare come un imbecille! Non sei il primo uomo che diventa padre. Mi compiaccio, ma tutti gli avventori ti guardano.-
Gli altri impiegati del locale si congratularono. Elena si girò per cercare Don Mario, ma quello era scomparso.


A casa di Elena, quella sera, festeggiavano l’evento. Erano presenti, oltre alla madre e agli sposi, Mike e Don Carlo.
La cena era abbondante. Il vino italiano, i brindisi e le risate continui.
I due fratelli ancora non avevano detto nulla della recente comparizione dell’ex sacerdote. Gli ultimi eventi erano stati densi d’emozione e quindi avevano accantonato la notizia.
Adesso Giacomo, in preda ai fumi dell’alcol, tutto contento e come raccontasse una barzelletta, sbottò: -Sapete chi è venuto? Quello scemo di Don Mario! Ah, ah, ah.-
Il silenzio scese improvviso sugli astanti. Le forchette erano rimaste a mezz’aria e i bicchieri immobili nelle mani.
La madre fece: -Chi?-
Elena di rimando: -Oh sì, ma non ne parliamo adesso! Poi vi racconterò tutto.-
Mike intervenne: -Scusa, ma Don Mario non è il sacerdote italiano?-
Amanda aveva gli occhi sgranati ed il marito guardandola, comprese di avere sbagliato momento. Don Carlo si alzò e propose un brindisi.
Mike ancora: -Se è quel famoso sacerdote, che faceva qui a New York?-
Giacomo dovendo rimediare: -Non è più un prete e ora lavora qua.- Si alzò anche lui per brindare, ma gli altri restavano seduti. Da quel momento, la cena procedette senza più allegria.
Elena avvertì il bisogno di chiarire: -Vedete, ha cercato di rintracciare me e Giacomo poiché voleva chiedermi perdono. L’ha fatto e io l’ho perdonato.-
-Bel mascalzone!- fece Mike.
-Pezzo di furfante!- aggiunse la madre.
-Sì, però era sinceramente pentito e mi ha fatto compassione.-
-Perché si è spretato?- chiese ancora Mike.
-A quanto pare si sentiva indegno e ha preferito rinunciare ai voti e tornare laico.-
-Nessuno può leggere veramente nel cuore degli uomini- aggiunse Giacomo.
Don Carlo volle prendere la parola.
-Sentite, noi conosciamo Elena e sappiamo che è incapace di tenere rancore. Quell’individuo sarà pure un lestofante, ma s’è pentito e ha chiesto perdono!-
-Facile farlo così!- disse la madre.
-Mamma, proprio tu non puoi parlare!- ribatté Giacomo, ma quella sera parlava a sproposito e si accorgeva troppo tardi di averlo fatto.
La madre abbassò il capo e si portò le mani al volto.
-Scusami! Non volevo dire….non volevo intendere…mi spiace!-
La moglie lo guardava con aria di rimprovero; si avvicinò alla suocera e l’abbracciò. Anche Elena lo rimproverò.
-Talora quando parli, non sai quello che dici!-
Il colpevole era seriamente dispiaciuto.
-Senti mamma, una volta o l’altra, ti porterò alle Torri gemelle. Ti farò visitare il Word Trade Center. Sei contenta?- Cercava di farla sorridere.
-Sì, sì, figlio mio, grazie.-
La povera donna si asciugava le lacrime. Ormai ogni brio s’era spento. La cena era terminata. Si salutarono e tutti andarono via, tranne gli sposi. Amanda volle restare per aiutare la cognata a riordinare. Andarono in cucina lasciando soli madre e figlio affinché si riconciliassero definitivamente.
Elena parlò del nascituro.
-Come chiamerete mio nipote?-
-Oh! Ancora non lo sappiamo. Prima bisognerà conoscere il sesso.-
Era pensierosa. Conservava un’aria poco allegra.
-Sì, ma se sarà una bambina, la chiamerete Elena, vero?-
-Penso di sì, io ne avrei piacere. Però sono preoccupata. Sai, ho sentito raccontare tantissime storie inquietanti su neonati appena nati.-
-Cosa vai a pensare! Devi stare serena e non lasciarti influenzare da nessuno.-
-Nel mio ufficio, ad una collega, è nato un bimbo subnormale. A un’altra, il figlio di diciotto mesi non può camminare. Hanno fatto gli accertamenti e gli hanno scoperto un carcinoma alla colonna vertebrale.-
-Ma Amanda smettila! Mio nipote sarà sano come un pesce!-
-Voglia Dio che sia così! Io sono molto in ansia, forse perché sono apprensiva per carattere.-
-Allora devi imparare durante la gestazione, a essere sempre rilassata e di buon umore. Lo devi fare per il bambino.-
-Sì, cercherò, ma mi raccontano tante di quelle storie! E poi anche da grandi, i figli danno sempre preoccupazioni. Pensa che il mio capo raccontava, l’altro giorno, che suo figlio si droga.-
-Oh poveri noi! E come mai?-
-E’ stato sempre un ragazzo ribelle ed è divenuto peggiore dopo il divorzio dei genitori. Accusava la madre di essere responsabile della separazione. Era andato via da casa. Non voleva più né studiare, né fare altro. Non ascoltava la madre che lo voleva con sé. Poi, a quanto pare, la povera donna è morta e allora lui ha preso a drogarsi.-
-Amanda, ma questa è una tragedia! Ci sarebbe tutto il materiale per una mia prossima novella.-
-Già, proprio così.-
-Credo che i ragazzi vadano sempre amati e seguiti. Bisognerebbe dialogare incessantemente con loro. Te lo dice una che ha avuto una giovinezza di solitudine. Ricordo che l’unico che mi voleva bene era proprio tuo marito, ma non stava mai a casa.-
-A proposito, hai rivisto Don Mario!-
Il viso di Elena cambiò espressione. Divenne triste, con i grandi occhi pensosi, mentre un leggero rossore le imporporava le guance.
-Sì, lo rivisto.-
-E che effetto t’ha fatto?-
-Dapprima, sarei voluta scappare. Sentivo il cuore che palpitava, forse perché non mi sarei mai aspettato di vederlo comparire.-
Manifestava imbarazzo.
-Dai! Se vuoi, non ne discutiamo più.-
-No, no, parliamone. Dicono che se si parla di ciò che fa male, si sdrammatizzi.-
- Com’ è? E’ invecchiato?-
Le lunghe ciglia di Elena batterono.
-Ha i capelli quasi tutti bianchi, l’espressione sofferta. Porta sempre una corta barba e anche quella è ormai quasi del tutto bianca. E’ magrissimo e ha le spalle incurvate. Ma gli occhi sono sempre gli stessi. Occhi bellissimi, vellutati, magnetici. Anche il sorriso è sempre quello. Adesso è un mesto sorriso, ma egualmente affascinante e con una dentatura perfetta.-
-Elena! Ne parli come se ti piacesse ancora!-
Il viso di lei si alterò, arrossì, abbassò lo sguardo.
-No. O forse sì. Non lo so. So solo che mi ha destato una forte impressione e compassione.-
-Su, non ne parliamo più, preferisco conversare d’altro.-
-Amanda, devo riuscire a capire cosa ho provato. Sai, dicono che certi amori giovanili siano indimenticabili.-
-E’ vero, ma se fanno star male, credo sia meglio sforzarsi di dimenticarli.-
-Sì, però ti giuro che l’avevo rimosso completamente dalla mente. E’ stato nel rivederlo che ho provato sensazioni nuove e sconosciute.-
-Allora aveva ragione Giacomo, non avresti dovuto rivederlo!-
-E perché? Io devo riuscire a capire, a capirmi. Qual è la ragione per la quale il cuore s’è fermato? Davvero mi piace ancora tanto? Non lo so. Forse proprio questo mi fa rabbia. Non riuscire a comprendere.-
-Elena, secondo me, tutto è legato al passato. Tu credi d’aver rimosso, e invece i traumi giovanili rimangono nascosti nel nostro subconscio. Al momento opportuno, riaffiorano e noi ci sentiamo sconvolti, legati ancora al ricordo. Se Don Mario ti è piaciuto nel passato, forse ti continuerà a piacere, ma questo non vuol dire niente. Di sicuro non significa che tu lo possa amare. Se non altro, per il senso di sconforto e tradimento che ti ha fatto provare!-
-Forse hai ragione. Sei molto saggia. Perché allora, ho voluto improvvisamente perdonarlo?-
-Ma perché sei una persona troppo buona! Un’altra l’avrebbe mandato al diavolo!-
-L’ho fatto senza riflettere, come se non parlassi io. Pensa che stava già per andare via. Ho esclamato che lo perdonavo, ma non mi rendevo conto di ciò che stavo dicendo! Perché l’ho fatto?-
-Non dovresti più pensarci.-
-Poi si è volatilizzato. E’scomparso quando sei arrivata tu ad annunziare la buona notizia.-
-Bene! Ringraziami allora!-
-Io ti ringrazio per il nipotino. Però mi resterà questo interrogativo.-
-Non credo che potrai darti una risposta.-
-Forse sì. Dovrei rivederlo.-
Amanda era esterrefatta. Guardava la cognata a occhi sbarrati.
-Che dici! Elena, ti ha fatto troppo soffrire! Ha abusato di te!-
-Io fui consenziente e ora non so più cosa provo per lui.-
-Non rivederlo, Elena, prometti che non lo rivedrai.-
-Non prometto niente. Però stai tranquilla. Ormai sono divenuta adulta e so come comportarmi.-

19


Aveva trascorso altre notti insonni precedentemente. Quella si prospettava appunto tale. Elena si rigirava nel letto, pensando se avesse dovuto o meno rivedere Don Mario. Si trovava a che fare con il famoso dubbio amletico! Tutto in lei, suggeriva di parlare nuovamente con l’ex sacerdote, ma il buon senso la frenava, le consigliava di evitare. E perché? Perché avrebbe dovuto restare con questo eterno dubbio? Cosa provava ancora per quell’uomo? Qual era il motivo per il quale era rimasta sconvolta nel rivederlo? Forse, nei meandri del suo cuore, conservava ancora un po’ d’amore per lui! Ma era vero? Solo rivedendolo, avrebbe potuto darsi una risposta. Non farlo avrebbe significato rimanere eternamente con questo interrogativo irrisolto. Ma sarebbe stato più saggio. Avrebbe continuato la sua vita di sempre e conservato la sua serenità. Elena sapeva quanto fosse importante la serenità nella vita di ognuno. Eppure era coraggiosa, voleva vedere ben chiaro nel suo cuore, anche a costo di perdere tale serenità. E se avesse scoperto di essere ancora innamorata di lui, dopo tanti anni? Ma amare non significava provare spirito di abnegazione? Voler bene non equivaleva ad esser pronti a sacrificarsi per la persona amata? Era sempre stata convinta di questo. Se pensava a lui, non provava alcun affetto, forse solo ancora attrazione. Dunque, era meglio non rivederlo più. Oppure cercarlo, per convincersi, una volta per tutte, che non lo aveva mai amato, che era stata soltanto una infatuazione giovanile. Ma se lo avesse rivisto, cosa avrebbero pensato gli altri? Improvvisamente le venne in mente Mike e avvertì una strana sensazione, come un blocco del pensiero, una stasi del cuore e dell’animo.
Mike! Si era molto stupito, sentendo dire che Don Mario era ricomparso. Si era mostrato indignato. Cosa avrebbe detto e pensato, sapendo che l’aveva rivisto? Ma neppure questa eventualità riusciva a distoglierla dai suoi interrogativi.


Qualche giorno dopo, inaspettatamente, i suoi dubbi furono presto risolti. Lo rivide nel quartiere di Little Italy, vicino alla pizzeria, mentre stava guardando una vetrina. Era là, lo vedeva di spalle e lo avrebbe riconosciuto tra mille! Si voltò e la vide. Si avvicinò.
-Ciao Elena! Come va?-
Era male in arnese, con una giacca molto stretta e dei pantaloni logori. Forse anche la prima volta era vestito così, ma lei non se n’era accorta.
-Salve! Sto bene, lei come sta?-
Non le faceva più l’impressione della volta precedente. Il cuore era indifferente, come se avesse rivisto una persona qualsiasi. Le sembrava più anziano, ma sempre pronto al sorriso.
-Sono venuto da queste parti per aiutare un ammalato terminale. Avevo in mente di venire alla pizzeria per mangiare qualcosa. Da voi si mangia con poco, vero?-
-Certamente! Venga Don Mario, non avrà da lamentarsi.-
-Non sono più Don. Chiamami Mario e basta.-
-Lei potrà dirmelo dieci volte e io altrettante continuerò a chiamarla così. E’ l’abitudine, mi spiace.-
Adesso egli sorrideva alzando le spalle e facendo risplendere quella meravigliosa dentatura di cui madre natura l’aveva dotato.
Entrando nella pizzeria, non si accorsero che una automobile s’era fermata alle loro spalle. Mike li stava osservando. Non l’aveva mai visto, ma sapeva con certezza chi fosse l’uomo in compagnia di Elena. Dopo un po’, rimise in moto e andò via.
Lo fece accomodare a un tavolo e si sedettero. Era felice di rendersi conto di non provare neppure molta attrazione. Adesso era incuriosita, voleva sapere cosa gli fosse successo al paese. L’altro la guardava e sorrideva, quell’eterno sorriso serafico, appena accennato. Aveva la capacità di sorridere anche con gli occhi, di apparire solare, cordiale.
- Com’è vissuto? Cosa ha fatto in questi anni?-
-Sono vissuto per qualche anno al paese, ma sentivo che ero inadatto a fare il sacerdote. Le gioie del mondo mi attiravano troppo e non ce la facevo più a vestire l’abito. Certo rinunciarvi non fu semplice, ma lo feci poiché, a un certo punto, risolsi che fosse la cosa giusta. Non ti dico come fui guardato e giudicato! In seguito feci il muratore, ma sul lavoro, tutti si beffavano di me e mi chiamavano lo spretato. Poco prima di lasciare quel luogo, lessi la tua novella che era arrivata non so come. Fu come se quello scritto mi avesse aperto gli occhi! Lasciai il paese e cominciai a girare per varie parti d’Italia, sempre facendo i lavori più umili. Però sentivo che dedicarmi al volontariato e ad aiutare gli altri restava la mia missione nella vita. Era il solo modo per sentirmi soddisfatto e appagato. Lo facevo sempre, quando potevo e non appena mi si presentava l’occasione.-
Elena ascoltava interessata.
-Dunque è come se avesse continuato a fare il prete, però senza l’abito.-
-Sì, ma volevo pure crearmi una famiglia.-
-E perché non lo fece?-
-Ho cercato. Una volta credevo di avere trovato la persona giusta, la donna della mia vita.-
-Davvero? Perché non la sposò?-
-Era una bellissima ragazza. Uscivamo insieme e le avevo chiesto di sposarmi. Tergiversava ed accampava mille scuse per non sbilanciarsi e dirmi di sì. Poi mi accorgevo che aveva una doppia personalità. Era come se frequentassi due persone diverse. Infatti, dopo qualche tempo, mi accorsi che erano due gemelle che si stavano burlando di me perché sapevano che ero uno spretato.-
-Ma erano crudeli!-
-Elena, la vita mi ha insegnato che non c’è fine alla cattiveria umana, così come la generosità delle persone può essere immensa e sorprendente.-
-Lei non s’era mai accorto che fossero due ragazze diverse?-
-Sono sempre stato molto inesperto in fatto di donne e quindi non ci facevo caso. Ero innamorato e poi t’assicuro che erano identiche in tutto e per tutto. Credevo fosse sempre la stessa e la riempivo d’attenzioni. Però, una volta era gentile e seducente, la volta successiva era sfuggente ed impenetrabile come una sfinge. Dopo quell’esperienza, decisi di partire per New York. Mi ricordai di te e feci quello che avevi fatto tu. Emigrai anch’io.-
-C’è tutto il materiale per una mia prossima novella! Incredibile!-
-Continui a scrivere racconti? Fai bene. Ho notato che hai talento.-
-Sì ed è una cosa che mi entusiasma enormemente. Poter narrare e rielaborare i fatti della vita, mi riempie di gioia. Talora invento e altero la realtà, ma quasi sempre m’ispiro ad avvenimenti realmente accaduti.-
-Capisco, però dovresti pure dedicarti al volontariato e aiutare la povera gente. Qui a New York non mancano le occasioni. Mi sembri adatta ad una simile attività.-
-Forse mi piacerebbe, ma non ho mai molto tempo libero.-
-Il tempo si trova, quando si vuole. Vedi, Elena, non è importante quanto tempo ci sia dato di vivere, è importante la maniera in cui sappiamo impiegare quei momenti preziosi nei quali ci è concesso di stare al mondo.-
-Potrei davvero collaborare con lei e aiutare i poveri?-
-Certo! Tutte le volte che vorrai!-
-Okay, lo farò, poche volte, ma lo farò.-
-Ogni volta che ti adopererai per i poveri, ricordati che avrai occupato bene il tuo tempo e sarà motivo di gioia.-
-Cosa dovrei fare?-
-Potresti portare degli alimenti e del vestiario al centro dove io vivo. Assistiamo sempre molti barboni e invalidi che si trovano nella miseria e nell’abbandono.-
-Va bene Don Mario, mi lasci il suo indirizzo e vedrò di rendermi utile.-

20


Una frase, fra tutti i discorsi dell’ex sacerdote, le ritornava in mente:
<Non è importante quanto tempo ci sia dato di vivere, è importante la maniera in cui impieghiamo quei momenti preziosi nei quali ci è concesso di stare al mondo.>
Elena per temperamento, era assai generosa e la propensione alle opere di solidarietà era annidata nei meandri del suo animo. Quando si presentava l’occasione, questo spirito di umana carità era pronto a venire fuori e a far sentire la sua urgenza. Dunque non poteva restare insensibile alle parole di Don Mario.
Così una bella mattina dei primi di Agosto, riempì la sua auto di derrate alimentari e si accingeva a portarle al centro di assistenza di cui aveva avuto l’indirizzo. In quei giorni, non aveva parlato con Mike e lo sapeva impegnato in un importantissimo processo, dunque non lo aveva neppure informato sulle sue intenzioni umanitarie. Si mise a cercare il recapito indicatole. Vide che si trattava di una antica palazzina e fermò la propria auto. Quando scese, bussò, si presentò e spiegò il motivo della sua visita. Poco dopo, si sentì salutare allegramente da don Mario.
-Elena ciao! Vieni, vieni. Ti faccio conoscere il nostro centro.-
-Ho portato dei pacchi di viveri. Vorrei poterli scaricare.-
-Sì grazie, brava, ora ti do una mano.-
Entrambi uscirono per recarsi all’auto.
I casi della vita sono tanti e di varia natura. Ci sono i casi fortunati e quelli incresciosi. La famosa realtà romanzesca è sempre in agguato! Ora caso volle che Mike si trovasse a passare di là con la sua auto. Li vide non visto e provò una stretta al cuore. Non aveva mai pensato che il muscolo cardiaco potesse realmente dolere, ma era quello che gli stava succedendo. Siccome rischiava di andare a sbattere, dato lo stato in cui era, fermò il veicolo e appoggiò le mani e la testa sul volante. Era con lui. La sua Elena era con lui! Forse quell’uomo era sempre stato il suo unico, vero amore. L’aveva rivisto e l’antica passione era riaffiorata. Non era più un sacerdote e potevano ormai coronare il loro sogno.
Ma che sensazione! Stringeva il manubrio e avrebbe potuto spezzarlo. Si sentiva soffocare e la fronte, appoggiata sulle mani, era gelida. Non poteva d’altronde incolparla di nulla. Non era legata a lui in nessun modo. Gli aveva sempre fatto capire che lo considerava solo un amico. Non avrebbe più dovuto cercarla. Doveva rassegnarsi. Desiderava solo che lei fosse felice.
Si calmò, rimise in moto ed andò via.
Intanto Elena stava conoscendo quel luogo strano, ove la sofferenza e l’indigenza sembravano di casa. Avevano trasportato i viveri in una cucina povera e squallida, piena di pentole enormi e tinozze. L’odore era di cibo stantio. Provò una pena grandissima confrontandola, mentalmente, alla cucina della pizzeria che era sempre piena di ogni ben di Dio. Visitò tanti altri locali, tutti fatiscenti e ove il lezzo di umanità era nauseante. I dormitori poi, le parvero delle topaie. Erano gelidi e deprimenti, con dei letti malmessi e in disordine.
-Don Mario, ma non ci potrebbe essere più ordine e pulizia? Capisco la povertà, però l’acqua non dovrebbe mancare.-
Era angosciata da quello spettacolo.
-E chi mai dovrebbe pulire? I volontari fanno quello che possono, ma questa gente è abituata a vivere così e non c’è nulla da fare, nonostante i nostri sforzi.-
Una donna s’avvicinò e le sorrise: -Ciao, chi sei?- fece, guardandola con curiosità. Aveva un aspetto dimesso, ma una certa bellezza caratterizzava il suo viso.
-Sono Elena, signora, sono venuta a portare dei generi alimentari.-
Si sentiva un po’ imbarazzata dinanzi a quello sguardo.
-Ho capito, sei una nuova volontaria.-
Adesso lo sguardo era di sufficienza.
-Non proprio. Sono una vecchia amica di Don Mario eh…..di Mario voglio dire.-
Quello intervenne: -Rose, ti affido Elena, mi stanno chiamando urgentemente.-
Si allontanò, lasciando le due donne a guardarsi senza parlare, proprio come chi non sa che dire e che fare. La nuova arrivata ruppe il silenzio: -Da quanto tempo lo conosci? Mi è parso sempre un tipo misterioso. Io sono Rose e vivo qui.-
-Lo conosco da sempre. E’ italiano come me, del mio stesso paese. Io lavoro in una pizzeria che si trova a Little Italy. Ma lei sta bene in salute, mi pare, come mai non lavora?-
La donna appariva in piene forze nonostante l’indigenza. I capelli erano nerissimi e raccolti strettamente sulla nuca. Gli occhi, di un verde brillante, erano frangiati da ciglia folte e lunghe. Era alta quanto Elena, ma più magra e con le spalle leggermente incurvate.
-La mia storia è molto lunga e triste, non voglio affliggerti.-
-Sarà interessante ascoltarla, Rose. Come è finita a vivere qua?-
-Ero sposata con un uomo che adoravo. Era ricco e mi faceva vivere nel lusso. I primi anni di matrimonio li vissi come in una favola. Lui era innamorato e mi circondava di ogni attenzione.-
-E’ morto? Se le fa male ricordarlo, lasci perdere, Rose.-
-Magari fosse morto! No mia cara, è vivo, però è in carcere per omicidio.-
Elena aveva drizzato le orecchie. Lo spirito della narratrice s’era ridestato. Si sentiva improvvisamente coinvolta.
-Per omicidio? Mi spiace. E chi ha ucciso? Se posso saperlo.-
- Te l’ho detto che è una storia lunga. Ha ammazzato colui che credeva fosse il mio amante.-
-Mi scusi, Rose, ma come mai lei non usufruisce delle ricchezze di suo marito?-
-Tutto cominciò quando lui prese a trascurarmi. Stava sempre fuori casa e m’accorgevo che impiegava stranamente i suoi capitali. Seppi che frequentava altre donne e, in particolare, aveva perso la testa per una signora dell’alta società. Cercavo di farlo ragionare e distoglierlo da lei, ma inutilmente.-
Mentre narrava, la sua espressione ere divenuta dura e gli occhi guardavano lontano, verso luoghi e immagini noti solo a lei.
-Non ricordi più, lasci stare Rose, parliamo d’altro.-
La generosità di Elena aveva preso il sopravvento.
-No, ormai ho stappato la botte. Sta venendo fuori tutto. Mi è successo rarissime volte. Lascia che vuoti l’anima. Non so perché, ma mi va di farlo con te. Mi sentirò meglio.-
Era determinata e serrava le mandibole con rabbia.
-Va bene, come vuole.-
-Mi sentivo disperata. Tutte le mie illusioni erano state infrante. Il mio amore calpestato.
Cominciai a frequentare le organizzazioni di volontariato e beneficenza. Cercavo di affogare il mio dolore in mezzo al dolore degli altri. Venivo spesso qui per aiutare la povera gente. Durante una di queste visite, conobbi un signore molto distinto. Era scapolo e molto abbiente. A quanto mi disse, viveva di rendita. Ben presto s’innamorò di me.-
-Bene, Rose, ripagò suo marito della stessa moneta.-
-Non gli feci mai alcun torto. So che può sembrare un racconto d’altri tempi, una storia ambientata nella New York di due secoli fa, ma fu proprio quel che avvenne. Il mio amico mi seguiva ovunque. Ci vedevamo qua per le solite opere di carità, ma io non lo incoraggiai mai minimamente.-
-Ma le piaceva almeno?-
-Trovavo in lui tutta la comprensione che mio marito mi negava, mi sentivo desiderata, amata, ma non lo contraccambiavo.-
Si erano sedute su due seggiole logore e si guardavano negli occhi. Elena pendeva dalle labbra dell’altra.
-La signora dell’alta società prese a frequentare questo centro e io la conobbi. Era bellissima. Poteva fare invaghire di sé qualunque uomo. Seduceva al primo sguardo. Era una di quelle donne che fanno credere agli uomini di essere disponibili e poi si negano. Dicono di sì con ogni atteggiamento e poi sono pronte a dire no al momento giusto. Di quelle che sanno far perdere la testa ai poveri malcapitati. Ci tentò anche con il mio amico, ma fece fiasco. Lui era diverso. E poi era troppo preso di me.-
-Non capì di chi lei fosse moglie?-
-No, credo che non avesse fatto caso al mio cognome. Il bello fu quando un giorno mio marito venne a cercarla! Mi vide e rimase allibito. Sapeva che mi occupavo di volontariato, ma non s’aspettava di trovarmi in compagnia dell’altra. Capì che avevo uno spasimante e fu colto dalla più folle gelosia. Penso si trattasse piuttosto di orgoglio ferito, di sospetti insensati.-
Elena si sentiva trasportata in una specie di romanzo d’altri tempi. Ma la intricava. Era un genere che l’appassionava.
-Rose, sarebbe stata l’occasione propizia per ricondurlo all’ovile.-
-Non so perché, ma non volevo più. Infatti non feci nulla e continuai la mia vita e la mia attività. Lui divenne assiduo, però veniva per me, non per lei. Mi controllava, la sua gelosia cresceva ogni giorno sino a divenire ossessiva. Sino a divenire mania omicida!-
-Non mi dica! Uccise quell’uomo?-
-Sì, un giorno lo trovarono con l’arma del reato in mano, accanto al cadavere di quel poveretto. Fu arrestato e condannato. Si scoprì che prestava denaro a usura e quindi sequestrarono il suo patrimonio. Ecco perché mi sono ridotta in miseria. Qui ero di casa e vi sono rimasta in vesti differenti. Da benefattrice divenni un’assistita.-
-Rose, ma è terribile! E’ una storia sconvolgente!-
-Ho voluta narrartela. Mi hai fatto simpatia. Sei sposata?-
-No. Io ogni tanto scrivo racconti per un giornale. Potrei rielaborare l’intera vicenda e ricavarne una novella. Lei sarebbe d’accordo?-
-Anni fa, quando avvenne l’omicidio, sui giornali furono scritti fiumi di parole su questo caso. Dunque è una vicenda nota. Comunque tu puoi fare come vuoi. Puoi scrivere ciò che meglio credi.
Dopo aver salutato Don Mario e la nuova conoscente, andò via.
Davvero quello era un luogo di tremenda sofferenza! In una megalopoli opulenta come New York, esistevano posti come quelli, dove la povertà e l’indigenza si toccavano con mano!
Arrivò alla pizzeria e il suo abituale posto di lavoro le sembrò improvvisamente un luogo di delizie. Vi era uno strano vociare e gioiose urla infantili.
Vide il piccolo George schizzarle davanti inseguito da Giacomo che portava sul capo una testa fittizia di orso.
Provò una sensazione di serenità e benessere.
-Ehi voi! Oh chi si vede! Ciao George!-
Il bambino, ancora ridendo, le andò incontro.
-Elena! Finalmente sei arrivata!- Le si aggrappò al collo baciandola e lei lo prese in braccio.
-Ma guarda chi c’è! Il più bel bambino del mondo! Che gioia rivederti!-
Giacomo s’era avvicinato e aveva tolto la sua enorme maschera.
Era appunto una grossa testa d’orso, rigida e pelosa. Gli occhi vitrei e la bocca spalancata.
-E’ venuta a trovarci Sara. E’ di là e sta conversando con Don Carlo. Io stavo giocando con George e gli mostravo cosa ho comprato per mio figlio.-
Nel dire così, aveva posato il suo strano acquisto e si ravviava i capelli.
Il piccolo aveva ripreso a correre per il locale.
-Giacomo, non credi che farai spaventare un neonato con quella maschera?-
-No, mio figlio non avrà paura di nulla.-
-Senti, riportala al negozio e fatti dare qualcosa di più utile per un bimbo appena nato.-
-Tu esageri sempre. Piacerà al piccolo. Non vedo perché la dovrei riportare.-
-Ma scusa, farà paura anche ad Amanda!-
-Ma smettila Elena!-
Mentre si svolgeva questa conversazione, George, alla chetichella, aveva versato un po’ d’acqua nella testa d’orso.
-Giacomo! Giacomo! Fai l’orso! Fai l’orso!- gridò saltellando.
-Va bene, ora giochiamo.-
Indossò la fatidica maschera e si bagnò. Le risa del bambino furono irrefrenabili. Anche la sorella rideva allegramente. Lui, sorpreso e inzuppato, si fingeva su tutte le furie. Sgocciolando, riprese a inseguire il bambino:
-Se ti acchiappo, ti mangio!- urlava spalancando le braccia.
-Aaaaaaaaaaa. Aiuto!-
Dopo un po’, Sara venne incontro a Elena e il suo aspetto era cambiato. L’espressione era felice e più dolce.
-Quei due fanno sempre confusione e baccano. George! Smettila di gridare!-
-Sara! Come va? Ti trovo bene!-
-Oh, benissimo grazie! Sai la novità? La nostra famiglia aumenta.-
-Bene! Complimenti! Questa è una bella notizia. Ecco perché mi sembravi diversa. George sarà contento!-
-Sì. Quando glielo abbiamo comunicato, non stava nella pelle.-
Madre e figlio andarono via ed Elena pensò opportuno andare a disbrigare la contabilità.


Verso sera tornò a casa e la sua mente era concentrata sulla storia di Rose. Doveva scrivere. Doveva rielaborare al computer la storia che aveva ascoltato e che tanto l’aveva interessata. La ricordò, la scrisse variando molti accadimenti e personaggi, ma ciò che produsse alla fine rappresentava l’esatta ricostruzione di ciò che la povera donna le aveva raccontato.
L’indomani mattina, di buon ora, era pronta per recarsi da Mr. Garyson con la novella stampata sotto il braccio.
Le venne in mente Mike. Non lo aveva più sentito da alcuni giorni. Provò a chiamarlo, ma non riuscì a rintracciarlo. Poi mentre stava arrivando alla casa editrice, lo richiamò in ufficio e le rispose Tim.
-Ah! Eh no. Non c’è. Non so dove sia. Mi spiace. Sì Elena glielo dirò.-
Il tono di quella voce era stranissimo. Lasciava perplessi. Come se il giovane fosse reticente e volesse nasconderle qualcosa. Ma cosa? Adesso però doveva pensare alla novella e a Mr. Garyson. Questi l’accolse con la solita cordialità.
-Eleanor! Che piacere! E’ da un po’ che non ti facevi viva! Vieni, vieni, accomodati.-
Caro il suo presidente! Pareva più corpulento. Come se si fosse fatto crescere due menti dove in origine, ce ne doveva essere uno solo. La sua giacca era gonfia e prominente come la vela di uno yacht.
-Mr. Garyson, come sta? Anche a me fa piacere rivederla. Ho scritto un nuovo racconto e l’ho portato.-
-Oh, bene! Di che si tratta? Dai fammi vedere.-
L’anziano signore era però meno allegro del solito. Elena lo osservò attentamente. Si accorse che una vena gli pulsava sulla fronte, le labbra erano vagamente imbronciate e l’espressione degli occhi non aveva la consueta serenità.
-Che c’è presidente? Qualcosa non va?-
Sollevando la testa e gli occhi forniti dei soliti occhiali, sembrò meravigliato.
-Lo spirito di osservazione è una tua peculiarità, Eleanor. E’ vero, stamani sono leggermente di cattivo umore.-
-Mi chiamo Elena, signore. Ma cosa è successo?-
Non volle nasconderle le sue malinconie.
-Mi hanno insultato. Sono stato volgarmente preso in giro.-
-Lei insultato! E chi si è permesso?-
Avrebbe creduto più verosimile che gli asini volassero! Aveva un’alta considerazione del suo capo.
-E’ venuto qui un aspirante scrittore. Quando gli ho fatto capire che ciò che ha scritto pare vergato da un bimbo di otto anni, mi ha detto che sono un idiota e che somiglio a un grasso maiale.-
Un convulso di risa proruppe dalla gola di Elena. Cercò di trattenersi, ma la situazione le sembrava propria buffa e continuava a ridere.
-Mi perdoni presidente, però non può negare la comicità della cosa.-
Un lieve sorriso apparve negli occhi dell’altro. Ben presto si tramutò in una allegra risata.
-Mia cara, sai mettere di buon animo chiunque.-
-Non deve tenere conto delle parole che escono dalla bocca di un vermiciattolo. Non può permettere che un siffatto individuo le rovini la giornata. Taluni lo fanno solo per indisporre il prossimo. Per il gusto di ferire i propri interlocutori. Spero che lo abbia trattato con il disprezzo che si meritava.-
Si mostrava amabile e rassicurante.
-Credo, Eleanor, di essere stato sul punto di fracassargli il posacenere sulla testa.-
-Sono contenta che non l’abbia fatto. Non sarebbe stato da lei.-
-Giacché siamo in vena di confidenze, lo sai il vero motivo per il quale sono indotto a chiamarti a quel modo? A parte che storpio i nomi di tutti?-
- Mi dica, non so.-
-La moglie di mio figlio si chiama Eleanor. Ti somiglia abbastanza. Hanno un bambino di cinque anni che si chiama Gregory, come me. E’ il mio unico nipote, ma non lo vedo mai poiché abitano in Guatemala.-
-Ho capito, presidente, ma non ricominciamo con le malinconie. Senta, ora le racconto una storiella divertente a proposito di persone robuste.
Nell’isolato dietro la pizzeria, abita una vecchia signora. Si chiama Hilary ed è una persona dalle dimensioni veramente enormi. La gente la prende in giro. Il cortile della sua casa è prospiciente la cucina del nostro locale. Decine di gatti vi proliferano incessantemente e sono accuditi da lei. Ha una passione maniacale per quegli animali. Si fa sempre dare i rifiuti del ristorante per darli ai suoi amati gattini.-
Quando Elena si lanciava nelle sue narrazioni, il presidente la stava ad ascoltare con interesse e bonomia. Si era sdraiato sulla sua poltrona, fumava il sigaro e la guardava da sopra gli occhiali.
-Un giorno Hilary decise di comprarsi una panciera dimagrante, una di quelle che spesso vengono pubblicizzate. Serviva per far sciogliere il grasso e naturalmente la stringeva fino allo spasimo. La poverina quasi non riusciva a respirare, ma resisteva e non la toglieva mai.-
Mr. Garyson disapprovò.
-Una cosa del genere non la farei mai! Piuttosto preferirei arrivare a trecento chili!-
-Lei si era illusa che la facesse sembrare più magra e che l’aiutasse a mandare via i chili. Soffriva in silenzio e sopportava. Sennonché una mattina incontrò una sua amica che le disse di trovarla più grassa del consueto e le consigliò di provare a comprarsi una panciera dimagrante. Le indicò l’esatta marca di quella che indossava.-
Il presidente esplose in una risata apocalittica! Il suo ventre sobbalzava, la bocca era spalancata e il sigaro era caduto a terra.
Anche Elena rideva e aggiunse:
-Dopo questo, Hilary ha rinunziato alla panciera. Ah ah ah. Si è scoraggiata. Continua solo a pensare ai suoi gatti e non vuole più dimagrire.-


Gabriella Cuscinà
Senatore


Italy
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Inserito - 15/03/2007 :  20:41:53  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
21

Era venuto il momento di porre attenzione al suo nuovo racconto. Il presidente scorse i fogli velocemente, con la capacità di concentrazione acquisita dopo tanti anni.
Giunto alla fine: -Dunque ti sei imbattuta in Rose O’Brien! Conosco già da tempo tutta la storia. Tu però la narri bene. Secondo il tuo stile, la trasformi e ne fai una novella da intrattenimento. Bene! La pubblicheremo.-
-Sì, lei stessa mi ha detto che anni fa, la notizia del delitto fu pubblicata.-
-Quello che però non ti ha detto è un’altra cosa edificante e che in pochi venimmo a sapere.-
-Davvero? C’è dell’altro presidente?-
-Mia cara, dopo tanto tempo il patrimonio di suo marito venne dissequestrato e Rose ne tornò in possesso. Ne fece totale beneficenza a quel centro di assistenza dove ancora vive. Poteva essere molto ricca e invece preferì regalare tutto a quella povera gente.-
Elena era esterrefatta.
-Il cuore umano è un enorme mistero e talora si trasforma in un abisso di generosità! Io credo che non sapremo mai quanto la gente possa essere buona.-
-E quanto possa essere modesta! Considera che ti ha raccontato tutto e non ti ha detto la cosa più importante, che ne fa una donna speciale, degna di ogni considerazione. Però adesso fila via signorina! Quando sono con te, dimentico tutti i miei impegni!-
Non se lo fece ripetere due volte e in men che non si dica, andò via.
Si mise al volante, pensando a Mike e al fatto che non si era più fatto vivo. La cosa era insolita, ma l’attribuiva a degli impegni pressanti.
Quando fu nelle immediate vicinanze della pizzeria, uno strano spettacolo si presentò ai suoi occhi. Vi era un funerale. Scese dall’auto e s’informò su chi fosse morto. Le risposero che si trattava della povera signora Hilary. Provò molta amarezza. Pochissime persone seguivano il feretro, ma tutti gli inservienti guardavano la scena con espressione triste. La cosa più sbalorditiva era rappresentata da un corteo fuori dal comune e che difficilmente occhio umano avrebbe potuto vedere. Infatti tutti i gatti del cortile si erano posti in fila dietro l’auto che trasportava il feretro e seguivano a distanza ravvicinata. Erano i gatti di Hilary! Quelle stesse bestiole a cui la brava donna portava da mangiare ogni giorno. Adesso erano là, composti, in fila, mogi e silenziosi, seguivano la loro amica e benefattrice per darle l’estremo saluto.
Elena non credeva ai suoi occhi! Se le avessero raccontato la scena non ci avrebbe mai creduto. Quegli animali mansueti e sensibili avevano compreso cosa fosse successo. Incredibile! Erano tutti là, non ne mancava nessuno; formavano un corteo ordinato, lugubre, il più straziante che si possa immaginare. Difatti i passanti si fermavano e guardavano increduli. Poi erano indotti a seguire, sicché si andava formando un composto assembramento ed un insolito funerale.
Anche Giacomo era venuto a guardare e s’era avvicinato alla sorella.
-Pare impossibile! Sono i suoi gatti.-
-Sì, ancora una volta gli animali si mostrano migliori degli uomini.-
Quando il corteo fu ormai lontano, entrambi rientrarono nella pizzeria.
-Elena, ricordi quel pastore che c’era al nostro paese? Si chiamava Nunzio, lo rammenti?-
-Molto vagamente, ma lo ricordo.-
-Morì qualche anno dopo che andasti via. Aveva un cane che lo seguiva sempre.-
-Ah sì, ricordo il cane.-
-Bene, quando il padrone fu deposto nel cimitero del paese, quella bestia non si mosse più dalla sua tomba. Non mangiò più e si lasciò morire. Qualcuno cercò di allontanarlo, ma tutto fu inutile. Restò lì e un giorno lo trovarono morto.-
Giacomo guardava lontano. La sua mente riandava ai luoghi della giovinezza.
-Tutti dovremmo apprendere la fedeltà dai cani. Ma non ti lasciare sopraffare dalla malinconia; il rimpianto è un male sottile che s’insinua in ogni emigrante. Bisogna reagire!-


Più tardi, mentre era immersa in alcuni conteggi amministrativi, riandò con la mente a Mike. Cosa era successo? Perché non si era più fatto vivo? Ormai era quasi fine agosto e non lo aveva più sentito dai primi del mese. Non era da lui. Di solito non faceva trascorrere più di tre, quattro giorni, e la chiamava. Oppure andava a trovarla. Invece niente! Improvvisamente era come scomparso. Non era mai capitato. Avvertì la sua mancanza. Mike era una presenza costante, una persona sicura su cui fare affidamento. Provò a chiamarlo a casa e rispose la segreteria telefonica. Lo chiamò al telefonino e risultò irraggiungibile. A questo punto chiamò in ufficio e, come la volta precedente, rispose Tim reticente e titubante.
-No, non c’è, non so. Sì forse, non so.-
Non era mai stato così enigmatico! Ma perché? E dire che era il fratello di Amanda!
-Tim, scusa, ma è accaduto qualcosa? Sta bene Mike?-
-Oh! Sì, sì, Elena, sta bene, ma non so dove sia. Mi spiace. Sai, io faccio solo il mio lavoro.-
-Certo. Ciao, Tim.-
Il tono di voce però non era sincero. Infatti il giovane aveva soggiunto che stava facendo il suo lavoro. Come se avesse voluto far capire che era costretto a dire in quel modo. Ma perché? L’unica spiegazione plausibile era solo che lo stesso Mike avesse dato istruzioni di non voler parlare con lei. Il cuore si strinse. Non era possibile! L’avrebbe cercato ancora. Non voleva darsi per vinta. L’indomani si sarebbe recata al suo posto di lavoro. Avrebbe chiesto una spiegazione.
Lavorò sino a tardi e mise in ordine tutti i conti e tutta l’amministrazione del locale. Quella notte dormì male e le sembrò di udire sempre la voce imbarazzata di Tim. Si svegliò parecchie volte e quando poi si alzò, si accorse che era già tardi. Si preparò in fretta e uscita da casa, avviò l’auto verso il palazzo di giustizia. Ma una visione non lieta l’attendeva. Mike stava scendendo dalla sua automobile in compagnia di una bellissima donna. Era alta, bionda, ben fatta, elegante e dai modi sicuri e sofisticati. Sino a quel momento, Elena non aveva mai provato cosa fosse la gelosia. Ciò che sentiva era assolutamente nuovo, insolito. Era come se le portassero via una parte di sé. Capì finalmente di amare Mike. Adesso che lo vedeva insieme ad un'altra, si rendeva conto di quanto fosse importante. Ma era troppo tardi. Mike era perduto per sempre. Ecco perché si era fatto negare. Aveva conosciuto un’altra donna e se n’era invaghito. D’altra parte non era mai stato impegnato con lei seriamente.
Le lacrime cominciarono a rigarle le guance. Un dolore cocente l’attanagliava! Non poteva andare a lavorare, non voleva farsi vedere così.
Tornò a casa, ma anche lì avrebbe dovuto nascondere alla madre ciò che provava. Ci tentò.
La signora Pina chiese: - Elena non sei andata al lavoro?-
Cercò d’essere naturale: -No, ieri ho terminato tutta la contabilità e ora ho pensato di mettermi a scrivere.-
-E perché sei uscita allora?- La madre la scrutava attentamente. -Cosa c’è? Cosa è successo?-
-Niente, mamma, non è successo niente.-
-Non è vero, ti è successo qualcosa.-
-No. Dai, facciamo colazione insieme. Prepara del caffè ti prego.-
-Sì, ma non dirmi che non è successo niente. Vedi, io e te siamo state sempre lontane. Per colpa mia non ti ho vista crescere, ma ora ti ho conosciuta e il cuore di una madre non sbaglia. Tu hai qualcosa di molto grave che ti fa soffrire.-
La guardava con amore, un amore che Elena solo ora assaporava. Era vissuta sempre senza madre; adesso l’aveva accanto e le faceva sentire tutta la sua solidarietà. Avrebbe voluto continuare a negare, ma non ne fu più capace e scoppiò a piangere. Un pianto liberatorio. Lacrime di dolore per qualcuno perso per sempre.
La signora Pina cominciava ad agitarsi. Continuava a guardarla con apprensione.
-Soffri e non parli. Vuoi farmi preoccupare.-
Capì che sarebbe stato meglio non tenerla in ambasce. Cercò di calmarsi e tirò un sospiro.
-Oggi ho rivisto Mike. Era in compagnia di una bellissima donna.-
-E allora?- La madre era ancora in attesa.
-Allora vuol dire che ha conosciuto un’altra e non vuol più saperne di me. D’altro canto non c’era alcun impegno.-
-Solo perché l’hai visto in compagnia di un’altra, dici che non vuol più saperne di te?-
-Non ha più voluto parlarmi e non s’è più fatto sentire. E’ chiaro che vuole tagliare i ponti.-
-Ma chi te lo dice, scusa?-
-Mamma, se l’avessi vista, capiresti. E’ una donna particolare, importante, sofisticata.-
-Allora non fa per Mike. Lui è pazzo di te! Non può essersi improvvisamente invaghito di un’altra.-
La povera donna non poteva convincersi di un cambiamento così repentino.
-Gli uomini invece spesso lo fanno.-
Elena era afflitta e colma d’amarezza.
-Senti figlia mia, chi ti assicura che abbia una nuova fiamma? E poi anche così, perché vuoi darti per vinta? Bisogna sempre combattere. Tu cercalo, fatti dire da lui che non vuole più vederti. Non gli hai fatto niente di male e siete sempre stati amici. Prima di continuare a piangere, accertati di come stiano le cose.-
Il ragionamento era sensato. Anche se avesse avuto un nuovo amore, Mike sarebbe potuto restare suo amico. Guardò la madre. Adesso si sentiva più tranquilla. Essersi confidata le aveva fatto bene. Quelle parole l’avevano incoraggiata, anche perché non era da lei arrendersi, senza prima aver tentato di capire, di sapere. Restò zitta per qualche istante, poi s’agitò.
-Credo che seguirò i tuoi consigli, gli parlerò, cercherò di avvicinarlo.-
-Oh bene! Adesso riconosco la mia Elena! Cerca di parlargli. Anche se ti respinge, fatti dire perché. Quando t’avrà detto in faccia che non vuol più vederti, allora ti arrenderai.-
-Sì, farò così.-
Difatti poco dopo prese il telefono decisa a non posarlo prima di aver parlato con Mike. Lo chiamò in ufficio e al solito, rispose Tim.
-Senti, lo so che hai avuto precise istruzioni di non passarmelo, ma ascolta, mettimi in comunicazione con lui. Ti prego Tim.-
-Elena ti ripeto che non posso. Oh al diavolo! Va bene. Te lo passo.-
Quando udì la voce di Mike, la sua freddezza le gelò il cuore. Si sforzò di non lasciarsi sopraffare dall’orgoglio.
-Ciao Mike! E’ da tantissimi giorni che non ci sentiamo, ti è successo qualcosa?-
-No ciao, buon giorno. Tutto a posto, ho avuto da lavorare moltissimo.-
Pareva inverosimile che fosse la stessa voce che l’aveva sempre chiamata dolcezza!
-Mike, ti ho fatto qualcosa? Senza volerlo ti ho offeso?-
-Nessuna offesa, ho solo voluto mettermi da parte, visto che hai ritrovato il tuo ex sacerdote. Sarai contenta-
La voce denotava dolore e nella mente di lei, si accese una luce!
-Mi hai vista insieme a Don Mario? Ahhh! Ho voluto rivederlo apposta per provare a me stessa che non significa più niente per me.-
-E invece ti sarai dovuta ricredere. Vi ho visto insieme più di una volta.-
Cominciava a capire tutto! L’aveva creduta sempre innamorata dell’ex prete e per questo non aveva più voluta vederla.
-Lavora in un centro di assistenza e sono andata a trovarlo per portare del cibo ai suoi poveri. Per me è solo un vecchio conoscente, un compaesano.-
-Stai attenta Elena, certi amori e certe passioni sono duri a morire.-
-Ma che amori e passioni! Mike, lui è molto più grande di me. Ormai è anziano e sarebbe da scemi volere avere una relazione con uno come lui!-
La voce del magistrato cambiò improvvisamente registro. Tornò ad avere il tono familiare e affettuoso di sempre.
-Davvero dolcezza? E’ anziano? E ti è indifferente?-
-Certo! Proprio rivedendolo, mi sono convinta che non mi piace affatto! Esiste invece un mio amico magistrato che non mi è per niente indifferente!-
Per un lungo momento dall’altro capo del telefono non si udì più nulla. Si sarebbe detto che quelle ultime parole avessero carpito a Mike il dono della favella.
-Mike? Ci sei? Mi ascolti?-
-Sì dolcezza, ti ascolto e mi sembra bellissimo ciò che hai detto.-
-Piuttosto mi dovresti spiegare chi era quella donna con cui t’ho visto al palazzo di giustizia.-
-Eh? Ah! E’ quella saccentona della nuova procuratrice. Si dà molte arie. Sì, ricordo di averle dato un passaggio.-
Il cuore di Elena cominciò a fare le capriole.
-Sai Mike, certe esperienze servono per farci capire tante cose. A me, per esempio, averti visto con un’altra donna è servito a capire che ti voglio bene e che non posso fare a meno di te.-
Altra lunga pausa. Sarebbe stato interessante vederlo in viso quando restava così muto. Infatti non poteva vederlo, ma se lo avesse visto sarebbe rimasta sconvolta, poiché gli occhi del magistrato erano lucidi.
-Mike? Ma che fai? Non parli? Ho capito: dobbiamo vederci subito altrimenti temo che continuerò a fare un soliloquio.-
-Va bene dolcezza, passo a prenderti.-
Quando chiuse la comunicazione, Elena avrebbe voluto mettersi a saltare. Nell’altra stanza la madre la vide arrivare radiante e leggera come una libellula. La guardò sorridendo.
-A quel che vedo tutto è andato bene. Dunque avevo ragione!-
-Pensa che mi ha visto con Don Mario e credeva che avessi riallacciato con lui.-
-Mike è di nobili sentimenti. Pur di saperti felice, era disposto a mettersi da parte.-
-Sta venendo, a momenti sarà qua.-
-Auguri. Ti meriti tutta la felicità del mondo.-
Il giudice guidando, si sentiva euforico e ottimista. La conversazione gli aveva ridato la carica. L’aveva convinto che gli sarebbe bastato rivedere Elena e parlarle in tutta sincerità per cancellare ogni malinteso.
Lei stava vivendo quei momenti come una scolaretta trepidante al primo appuntamento. Quando fu con lui, lo guardò e non seppe che dire. Abbassò lo sguardo. Mike la fissava trasognato e anche lui non parlava. Poi si fissarono negli occhi e scoppiarono a ridere fragorosamente.
S’abbracciarono continuando a ridere. Era bello stare tra le sue braccia, ridere felice e sentirsi arrivata nel suo porto di quiete.
-Elena quanto ho sofferto! Quando ti ho vista con lui, mi è caduto il mondo addosso. Ora mi sento l’uomo più felice del mondo.-
-Signor giudice mi perdoni e non mi condanni. Avrei dovuta avvisarla che l’avevo rivisto. Non ci ho pensato e me ne pento. Però è servito a farmi capire che per me c’è un solo uomo.-
Lo guardava con tutto l’affetto di cui era capace. Mike era come inebetito. Si perdeva dentro a quegli occhi bellissimi. Poi lei sollevò il viso e la baciò perdutamente.
-Lo sai, la prima volta che Olga mi parlò di te, m’innamorai del magistrato dal triste passato. Me ne parlò come dell’uomo più affascinante della terra ed io cominciai a sognarlo.-
-Ah, ah, ah, a me invece disse che voleva farmi conoscere una povera ragazzetta del suo paese.-
-Cosa? Davvero? Cara la nostra Olga! Fu il suo espediente per indurti a conoscermi. Le dobbiamo la nostra felicità.-
-Bene! Quando mi sposerai allora?-
-Al più presto Mike, ora che so di amarti, potremo sposarci quando vorrai.-
Si sentì amico del mondo intero. Divenne solare. Vedeva risplendere il suo futuro accanto a lei. Avrebbe potuto infilarsi dentro la trama di un romanzo rosa e sognare i finali più incandescenti.
-Quando lo diremo a tua madre e a Giacomo, saranno felici. Senti, ormai siamo a fine agosto. Cosa ne pensi di preparare il matrimonio per ottobre?-
-Va bene Mike. Ma dove andremo ad abitare? A casa tua?-
-La mia casa è molto grande; sarei entusiasta se volessi trasformarla. Avrai da lavorare, ma farai come ti piace. Domani ti condurrò a vederla.-

22


Vollero comunicare a Giacomo il lieto evento. Arrivarono alla pizzeria e lo trovarono indaffaratissimo poiché stava preparando le pietanze per un banchetto. Era agghindato da perfetto chef, con cappello sul capo e grembiule bianco imbrattato. Quando li vide, salutò Mike.
-Signor giudice! Ciao, come va?-
L’altro aveva un’espressione serafica.
-Ciao. Ora tra noi ci sarà più familiarità.-
Li guardò perplesso. La sorella spiegò sorridendo:
-Mike vuol dire che diventerete parenti poiché abbiamo deciso di sposarci.-
Quando Giacomo arrossiva di piacere, sotto il suo incarnato scuro, si ravvisava l’alterazione dello stato d’animo.
-Alla buon ora! Accipicchia! Questa sì che è una bella notizia! Vi siete decisi finalmente!-
-Sì. Abbiamo pensato di celebrare il matrimonio per i primi di ottobre.-
-Bisogna dirlo a tutti. Elena si sposa! Chiamate Don Carlo!-
A questo punto diede una manata affettuosa sulla schiena del magistrato. L’abbracciò e lo sporcò di farina.
Don Carlo li trovò allegri e ridenti.
-Signor giudice, ha deciso di lavorare anche lei in cucina?-
-E’ stato Giacomo a sporcarmi, per congratularsi; io e sua sorella ci sposiamo.-
-Oh finalmente! Bravi ragazzi! Elena, per te organizzerò il ricevimento del secolo!-
Il brav’uomo si mostrava proprio contento e aggiunse:
-Dovrete comunicarlo a Theodor Hunter; è il padre dello sposo.-
-Sì certo, andremo da lui per invitarlo. Anzi sarà meglio che ci andiamo subito. Giacomo, telefona alla mamma e comunica la notizia.-
-Va bene. Chissà come sarà contenta! A proposito, ho preso accordi per portarla a visitare le Torri. Le dirò esattamente il giorno e l’ora in cui andrò a prenderla.-

I due futuri sposi poco dopo, arrivarono a casa di Theodor e lo trovarono in compagnia di un’attempata signora. Era andato ad aprire e li accolse con piacere; poi aveva bisbigliato:
-C’è di là una mia vecchia conoscente. Ha sempre messo gli occhi sul mio patrimonio e vorrebbe indurmi a sposarla. E’ una vera seccatrice e non posso sopportarla.-
Elena, fatte le dovute presentazioni, prese a scrutare la signora con occhio critico. Le riuscì difficile individuare in lei un qualsiasi particolare gradevole. Infatti era molto grassa e massiccia e aveva dei porri sul viso e sul collo. Quando poco dopo andò via, Hunter tirò un sospiro di sollievo:
-Credo che se dovessi scegliere tra legare il resto della mia vita ad una donna simile o precipitare dentro le cascate del Niagara, opterei per la seconda soluzione. Non ho mai capito perché le donne vogliano adescarti a tutti i costi e non desistano neppure se fai loro capire che le consideri meno di un escremento animale.-
Mike scoppiò in un’allegra risata; cominciava a guardare suo padre con simpatia e gli scopriva un umorismo sottile e una mente che doveva essere stata sagace.
-Siamo venuti per invitarti al nostro matrimonio. Sarà celebrato per i primi di ottobre.-
Hunter ebbe un’espressione un po’ confusa.
-Ma voi due non eravate già sposati? Vi ho sempre visti appiccicati e tu Mike, si capisce lontano un miglio che stravedi per questa ragazza. Ma! Forse vi eravate divorziati e ora vi risposate?-
Adesso fu Elena a ridere. Quello strano signore riusciva sempre a suscitarle una tenerezza incredibile!
-No, non ci siamo mai sposati, però abbiamo pensato che sia venuto il momento di fare il grande passo! Si dice così no? Ma piuttosto, quella donna che abita qui vicino, l’ha più rivista?-
Gli occhi di Theodor divennero tristi e melanconici. Egli abbassò il capo.
-Fa una vita molto ritirata e la vedo assai poco. Credo che sappia che l’ho sempre amata, ma proprio per questo mi sfugge e non mi sopporta come io non sopporto la donna che avete vista poc’anzi. E’ come una rivalsa del destino. Pazienza! Sono abituato alla mia solitudine.-
Il giudice volle incoraggiarlo.
-Perché non provi ad affrontare la donna che ami? Fatti dire in faccia che non ti vuole. Hai da offrirle un grosso patrimonio e questo non è un aspetto secondario della questione. Forse è molto più giovane di te, ma i quattrini fanno superare tante fisime. Prospettale la cosa, cerca di convincerla. In fondo, fare il tentativo non ti costa nulla.-
Il padre lo ascoltava con espressione sognante e con il capo lievemente rialzato.
Intervenne Elena: -Mike, credo che non dovresti illudere Mr. Hunter e non dovresti indurlo a fare un passo del genere. Vedete, ciò che sto per dire è spiacevole ma fa parte della prosaicità della vita. Tuo padre purtroppo non sta più bene con la testa. Questo capita talora agli anziani ed è un malanno serio. Sono pochissime le persone disposte a condividere la propria esistenza con questo tipo d’ammalati.-
-La tua Elena è saggia; già, ora che ci penso è proprio così. Hai ragione signorina! Nessuno vorrebbe avere a che fare con un demente come me.-
Quanta tenerezza in quelle parole! Quale compassione destavano quegli occhi afflitti e rassegnati!
-E’ vero- aggiunse Mike -tante volte anche i soldi non riescono ad acquistarci la felicità.-
Cercarono di metterlo di buon umore raccontando facezie e storielle divertenti. Dopo salutarono e se ne andarono.
Lui pensò bene di condurla a vedere la sua casa.
L’abitazione si trovava in una zona poco lontana dal palazzo di giustizia ed era abbastanza antica. Il palazzo era austero e risaliva alla New York di fine Ottocento. L’ingresso della casa ricordava un museo.
-Ma hai sempre abitato qua?-
-Sì, è la casa dei miei genitori adottivi. Purtroppo sono morti e mi hanno lasciato ogni loro avere. Anche mio padre era magistrato.-
-Davvero? Anche lui? Lo devi avere amato molto.-
-Era il mio idolo. Una persona fantastica. Ricordo che quando morì, mi sembrò d’impazzire dal dolore. Presto lo seguì anche mia madre. Mi hanno insegnato che il bene più grande è il dono della vita. In questa casa tutto parla di loro. Ci sono pure gli antichi ritratti dei loro antenati.-
Infatti vi erano ovunque fotografie e quadri dei due signori, insieme a ritratti di altri tempi. Stanze si succedevano a stanze e le porte erano guarnite da tendaggi di velluto. In un salone, Mike la fece accomodare e disse di andare a preparare del caffè. Rimasta sola, cominciò a guardarsi attorno e si sentiva fissata da tutti quei volti. Vi era un camino antico con sopra i quadri dei genitori adottivi. L’atmosfera non era delle più allegre. Le finestre erano enormi, anch’esse riparate da tendaggi. Il locale attiguo fungeva da biblioteca attrezzata con una scala. Andando oltre, vi era uno studio grandissimo con carte, carpette e cartelle sparse ovunque.
-Vedo che già ti sei messa in perlustrazione.- Mike era alle sue spalle con il caffè in mano.
-Questa casa pare un museo! Cioè voglio dire che è bellissima, ma mi mette un po’ soggezione.-
-Lo capisco, io ci sono abituato, ma mi rendo conto che debba sembrarti un po’ troppo austera. Se vuoi, ne compreremo un’altra e vi traslocherò solo le cose necessarie.-
-No, qui hai i ricordi più cari. Non mi sembrerebbe giusto privartene. E poi mi piace nell’insieme.
Mentre diceva così, un leggero alito di vento la sfiorò. Si girò, ma si accorse che ogni vetrata era chiusa. Mike stava sorridendo per l’allusione ai suoi ricordi.
-E’ vero, anzi posso anche farti vedere un album pieno delle mie foto d’infanzia.-
Si allontanò per andarlo a prendere. Un leggero rumore la fece sobbalzare. Poi di nuovo silenzio. Dopo un po’, il rumore si ripeté, improvviso e intermittente. Non vedeva nulla e una specie di brivido la percorse. Doveva essere la suggestione di quella casa dai soffitti alti e pieni di quadri!
Mike ritornò ed Elena volle darsi un contegno.
-Si avverte uno strano rumore e soffia del vento, cos’è scusa?-
-Rumore, vento? Ah! Deve essere l’impianto di refrigerazione che ho acceso. E’ molto vecchio e produce questi inconvenienti. Te l’ho detto, dolcezza, dovrai lavorare molto per rinnovare e cambiare questa casa.-
Iniziarono a sfogliare il vecchio album e lei poté osservare le foto di Mike bambino. Sembrava spaurito e macilento. Poi altre immagini lo raffiguravano più grande e già più bello. Spesso appariva insieme ai suoi genitori. Lo ammirò in tenuta da neolaureato. Poi da magistrato. Vide tantissime fotografie e, a un tratto, sobbalzò nel guardare la fotografia di una bellissima signora. Aveva riconosciuto la stessa immagine della donna riprodotta nel quadro che Mr. Garyson teneva appeso nel suo ufficio.
-Chi è Mike? Io ho già visto un quadro che raffigura questa signora.-
-Davvero? E dove? Questa è Costance, una cugina di mio padre.-
-Era la moglie di Mr. Garyson, lui tiene il ritratto a bella vista nella sua stanza presidenziale.-
-Garyson? Ah già! Io non l’ho mai conosciuta, ma credo fosse il suo cognome da sposata.-
Elena era sbalordita, sorrideva e i suoi occhi luccicavano sotto le luci degli enormi lampadari.
-Ma guarda com’è piccolo il mondo! E’ una frase fatta, però risulta l’esatta verità.-
Anche Mike sorrideva e s’era avvicinato a sfiorarle con dolcezza una guancia.
-Vieni, in un altro salone vi è un quadro di Costance.-
Passarono in un ambiente grandissimo, tutto pieno di cristallerie ed argenti. Alle pareti, vi erano pure quadri e ritratti antichi.
-Eccolo qua- fece, indicando un ritratto.
-E’ quello! E’ lo stesso quadro che possiede Mr. Garyson. Pare impossibile!-
-Tutto è possibile, Elena. Mio padre adottivo mi ha insegnato che non dobbiamo mai stupirci di nulla. Quando lo racconterai al presidente, sarà contento.-
-E’ vero Mike, non bisogna meravigliarsi troppo di niente e di nessuno. Piuttosto dovremmo sapere godere della felicità che il tempo ci riserva.-
Nel dire così, gli s’era avvicinata e i due corpi si sfioravano. Lui l’abbracciò e prese a baciarla. Si guardavano felici e continuavano a baciarsi sorridendo e carezzandosi. Con estrema delicatezza la toccava e la contemplava in modo intenso e dolcissimo. La passione li sopraffece ed Elena dimenticò tutte le sue ritrosie. L’amore ebbe la meglio. Il suo blocco psicologico scomparve. Il giudice seppe destarle sensazioni sconosciute. Si mostrò l’amante più appassionato e gentile che avesse potuto desiderare.
La gioia di donarsi fu enorme.
Le immagini delle esperienze passate svanirono come per incanto, come se non fossero mai esistite. Essere sua la fece sentire felice, estatica.
Quella casa divenne testimone della loro prima volta.

Verso sera , la riaccompagnò alla pizzeria.
-Queste sono le chiavi di casa mia. Ti prego, domani ritornaci. Io contatterò degli operai che possano provvedere a tutto quanto sia necessario. Fai come più ti piace, non badare a spese.-
Nei giorni successivi, fu impegnatissima ad apportare i dovuti cambiamenti alla casa, per renderla più comoda e vivibile.
Un pomeriggio, il magistrato andò a prenderla e aveva in mano un oggetto di forma allungata. Era un astuccio in cui i gioiellieri ripongono gli oggetti del loro commercio.
-Questo è il mio regalo di nozze; spero che ti piaccia.-
Aprendolo, restò a fissare il bracciale di brillanti con le labbra dischiuse. Aveva la schiena rigida e non riusciva a proferire verbo. Gli occhi erano spalancati e con un dito sfiorava le gemme preziose.
-E’ troppo Mike, è troppo importante. Non dovevi spendere tanti soldi.-
-Tu sei importante per me. Perché non dovrei regalarti un oggetto di valore?-
Ancora una volta fu tra le sue braccia e si sentì nel suo porto di quiete.
Alla fine della prima settimana di settembre, il futuro nido nuziale era a buon punto. Avevano fatto togliere tutti i tendaggi e rinnovare gli impianti di riscaldamento e refrigerazione. La camera da letto degli sposi era molto allegra e comoda. I vari bagni erano stati rinnovati con docce nuove e funzionali. La cucina era stata totalmente sostituita e adesso era moderna e funzionale. Elena si era recata giornalmente sul posto per seguire i lavori e ormai conosceva tutti i vari meandri di quell’appartamento. Solo una camera, in fondo al lungo corridoio, non aveva mai vista. Una mattina decise di aprirla e vi trovò un antico salotto e un grande pianoforte. Le pareti erano tappezzate di stoffa, delle tende di merletto ricadevano ai lati delle finestre chiuse, ninnoli e soprammobili preziosi erano sparsi ovunque. Il tutto era ricoperto da strati di polvere come se nessuno vi fosse mai più entrato. Successivamente ne chiese delucidazioni a Mike.
-Era la stanza prediletta di mia madre, vi trascorreva molte ore suonando il piano. Da quando non c’è più, l’ho quasi sempre lasciata chiusa. Ricordo che da piccolo, amavo stare là dentro ad ascoltarla suonare.-
-Allora la lasceremo così. Chissà, forse uno dei nostri figli vorrà studiare il piano.-
Una volta, Giacomo si recò a visitare la casa. Rimase incantato a guardare tutte quelle antichità e magnificenze. Poi pensò bene di perpetrare uno dei suoi soliti scherzetti alle spalle del cognato. Aveva adocchiato un grosso coltello da cucina e s’era ricordato di quello che faceva al paese. Difatti bastò che passasse la lama affilata sul palmo della mano, per procurarsi un leggerissimo taglietto che sporcò il coltello di sangue. Approfittò di un momento di distrazione dei due futuri sposi e lo posò su un tavolo, dopo essersi ripulito in fretta la mano. Dunque si finse allarmato.
-Signor giudice! Ma qui c’è un coltello insanguinato!-
Mike da magistrato integerrimo, non poté fare a meno di sobbalzare. Restò, muto ed esterrefatto ad osservare l’oggetto incriminato. Poi, sempre con gli occhi sgranati, farfugliò:
-Che che co….s’è? Chiiii ce l’ha messo?-
Non poteva immaginare quanto inesauribili fossero le risorse di Giacomo nel beffarsi della gente.
-Non lo vedi? E’ un coltello insanguinato! In casa di un magistrato!-
Si fingeva sempre più scandalizzato.
Elena che lo conosceva bene, s’insospettì.
-Smettila Giacomo! Cos’hai combinato? Com’hai fatto a sporcare quel coltello?-
-Iooo? Non ne so niente io!-
Ma i suoi occhi erano beffardi e dunque anche Mike fu perplesso.
-Dai Giacomo, non scherzare più! Cosa hai combinato?-
-Io non ho combinato nulla! Tu piuttosto, signor giudice, perché hai un coltello insanguinato in casa?-
Continuava però ad avere un’aria divertita.
La sorella gli prese le mani:
-Ho capito! Fammi vedere!-
Mostrò ridendo il palmo che si era leggermente inciso.
-Ah ah ah, Mike ti sei terrorizzato! Non credevi ai tuoi occhi, ah ah ah ah.-
-Sei la persona più imprevedibile che abbia mai conosciuto in vita mia!- Scuoteva la testa mentre Elena guardava il fratello sorridendo con espressione amorevole.
-Sapete che una volta, al paese, ho adottato la stessa tecnica per far scappare un padrone di casa troppo assillante?-
-Davvero?- Mike gli aveva messo una mano sulla spalla.
-Sì. A quei tempi, tu Elena eri piccola e non puoi ricordare. Eravamo molto poveri e il padrone di casa veniva sempre a chiedere il pagamento dell’affitto. Noi non potevamo pagarlo. Un giorno ebbi una delle mie ispirazioni. Appena bussò, aprii la porta brandendo un coltello insanguinato e gridando come un ossesso. In un attimo, il poverino era fuggito a gambe levate.-
Risero tutti e tre allegramente.
-Vedete, chi ha le mani coriacee come le mie, non prova assolutamente nulla a farsi un taglietto. Svolgo un lavoro manuale e sono continuamente a contatto con questi utensili.-
Mike obiettò: - Però, secondo me, con il sangue non si scherza.-
-Sono un donatore volontario. Le mie analisi risultano sempre perfette. Credo quindi di potermi permettere di scherzare bonariamente.-
Andando via, ricordò alla sorella che l’indomani sarebbe andato a prendere la madre per condurla a visitare le Torri Gemelle.
-Domattina, conto di arrivare molto presto. Avvisa la mamma di farsi trovare pronta.-
-D’accordo, lei è impaziente di visitare il World Trade Center.-


23


La signora Pina era già pronta quando il figlio andò a prenderla.
Era abbastanza presto, circa le otto antimeridiane. Giacomo aveva pensato di arrivare alle Torri di buon ora, per avere tutta la mattinata a disposizione. Anche Elena era uscita con loro e si era avviata verso gli uffici di Mr. Garyson.
Era una bella giornata e il cielo di New York era terso e sereno.
Il palazzo della casa editrice era abbastanza lontano e quando vi arrivò, sentì un rumore strano, come di un aereo che volasse a bassa quota.
Alzando gli occhi infatti, scorse un Boeing che sorvolava la città, ma non vi fece caso.
Il presidente fu sorpreso del fatto che il padre adottivo di Mike fosse cugino della moglie.
-Ma va! E possiede lo stesso quadro? Il quadro della mia povera Costance?-
-Signore, i casi della vita sono assai strani! Quando ho visto il ritratto, sono rimasta di stucco.-
Proprio in quel momento, entrò a catapulta un dipendente gridando:
-Un aereo! Presidente un aereo! E’ caduto sulla Torre Nord!-
Dapprima non capirono, giacché urlava come un ossesso.
-Cosa dici? Cosa è successo?-
-E’ piombato un aereo su una delle Torri Gemelle!-
Il poveretto pareva invasato. Elena balzò in aria.
-Le Torri! Giacomo! Mia madre!-
Scappò via senza salutare e lasciando il presidente frastornato. Salita in macchina, partì a gran velocità e intanto ricordava che l’impiegato aveva parlato di Torre Nord. Sicuramente il fratello avrebbe portato la madre sulla Torre Sud, quella turistica.
La città era percorsa come da una ondata di panico e tensione. Per le strade il traffico era divenuto improvvisamente caotico.
Squillò il suo telefonino.
-Elena dove ti trovi?- Era Mike.
-Sono in macchina. Giacomo si trova alle Torri! Ci vado anch’io!-
-Non te lo sognare minimamente! Vai alla pizzeria. Ho telefonato là nella speranza che vi fosse andato, ma non si è visto. Don Carlo ha detto che anche Sara stava portando George al Trade Center.-
-Oh no! Anche loro!-
In quel momento, un secondo Boeing volava a quota bassissima. Dalla strada ove si trovava, poteva vederlo chiaramente. Si dirigeva imperterrito e veloce contro la Torre Sud. Le pareva di sognare, era come se quell’immagine non fosse vera. Come se stesse guardando un film di fantascienza. Aveva fermato l’auto ed era ammutolita, in preda allo strazio e all’orrore. Vedeva una delle Torri già tutta in fumo. L’altro aereo avanzava come un missile, come in una scena di guerra.
Mike invece non vedeva. Da dove si trovava, non poteva vedere.
-Elena ci sei? Elena! Elena!-
Non rispondeva. Non poteva rispondere.
In maniera catastrofica e ineluttabile, l’aereo si andò a schiantare sulla Torre Sud, più in basso rispetto al fumo che c’era dall’altra parte.
L’urlo che le uscì di gola ebbe qualcosa di disumano e fece gelare il sangue di Mike.
-Un altro! Un altro! Giacomo! Mamma! Mamma!-
Da piccola, le avevano detto che la madre era andata via, ma non aveva provato quella sensazione di panico, di dolore lacerante. Aveva subito enormi dispiaceri, ma il terrore di quel momento, il senso d’impotenza, di sbigottimento, superavano ogni precedente esperienza.
-Cosa stai dicendo? Un altro cosa? Cooosa Elena?!-
-Sulla Torre Sud! Un altro aereo! Un aaaltro!-
Gridava e piangeva. Urlava e pareva isterica. Rimise in moto e partì a razzo. Anche Mike era corso alla propria auto, ma continuava a parlare al telefonino.
-Elena mi senti? Dove stai andando?-
Lo sentiva. Con l’apparecchio caduto sulle ginocchia, poteva udirlo.
-Sto andando là!- urlò e continuò a guidare con la testa in fiamme.
In quel momento si trovava dalle parti di Soho, ma il traffico si faceva sempre più convulso. L’espressione della gente appariva costernata. Gli occhi si volgevano in alto. I grattacieli normalmente attraggono solo l’attenzione dei turisti. Adesso tutta la popolazione aveva lo sguardo rivolto in su.
Procedere con l’autovettura diveniva problematico. Era giunta all’altezza di Canal Street. Le strade erano trafficate ed era costretta a guidare a rilento. Elena pensava a Giacomo e alla madre. Cosa stavano facendo in quel momento? Dove si trovavano? Erano ancora nella piazza del Trade Center o erano già saliti sulla Torre turistica? Di certo non avevano trovato molta gente in coda, giacché s’erano avviati di buon ora. Allora erano quasi certamente dentro. Ma dove? A che altezza? In quale piano? Le mani strinsero convulsamente il volante. Un tremito interno la pervase come una lampadina che s’accende e si spegne. Sentiva il petto e lo stomaco chiudersi. Non riusciva più a guidare. Era giunta alla City Hall. Pensò di lasciare la macchina e proseguire a piedi. Mentre scendeva dalla vettura, udì un fragore pauroso, un’esplosione agghiacciante, e alzando gli occhi vide crollare la Torre Sud. La parte superiore s’era staccata, il resto si sfaldava tipo castello di sabbia, in una nuvola che ricordava un fungo atomico. Si accartocciava su se stessa e piombava lentamente, alzando fumo e polvere in una scena apocalittica.
Come quando i sogni svaniscono e la persona più cara emette l’ultimo respiro, così il palazzo più alto, la finestra sul mondo, il simbolo dell’America, emetteva il suo ultimo spirito vitale.
Elena restò a guardare muta, inebetita. Poi si afflosciò sulle ginocchia. Rimase seduta per terra col volto nascosto tra le gambe; uno spasimo mortale la faceva gemere.
- Mamma mamma, Giacomo Giacomo, mamma!-
Era una follia! C’erano detriti e polvere ovunque. Come se ci fosse stata l’eruzione di un vulcano. Davvero pareva di essere stati catapultati dentro un film di fantascienza!
Erano là, sentiva che erano là; doveva correre, correre, correre, andare da loro. Difatti schizzò nella direzione del grattacielo crollato.
Più avanzava, più ondate di polvere bianchissima e densa l’avvolgevano. Non si fermava. Continuava ad andare avanti mentre il fumo l’investiva e vedeva a stento. A un certo punto, le vennero incontro dei poliziotti e la bloccarono.
-Non può andare oltre! Stop. Non si passa.-
-Devo andare! C’è mia madre! Lasciatemi passare!-
Cercava di farsi largo, ma l’afferravano per le spalle e la sospingevano indietro. La stessa cosa avveniva per le centinaia di persone che s’erano ammassate e che cercavano di infrangere lo sbarramento creato dalle forze dell’ordine.
Un fumo nero si alzava come un gigante minaccioso. Intanto molti venivano verso di loro scappando e ricoperti da uno strato fitto di polvere, tale da farli apparire uomini di cemento!
In questo trambusto, improvvisamente si sentì stringere da due forti braccia. Mike l’aveva raggiunta. Nascose il volto sulla sua spalla e fu scossa da violenti singhiozzi.
-Devo andare! Sono là! Devo andare!-
-Elena, non è possibile. Non fanno passare.-
La stringeva e cercava di calmarla, ma sentiva che era estremamente sconvolta. La gente attorno pareva impazzita. Poi un secondo boato! I vigili del fuoco gridarono: -Via! Via tutti! Allontanatevi presto!-
La Torre Nord prese a crollare anch’essa, ripetendo lo stesso identico, catastrofico spettacolo. Scapparono tutti. Scene di panico a mai finire. D’un tratto era come se una nebbia di cemento li avesse avvolti. Ne avevano gli occhi ricoperti e la respiravano. Mike mise il suo fazzoletto sulla bocca di Elena. Una neve di cemento cominciò a cadere. Volgendo lo sguardo, videro una donna immobile e china, interamente ricoperta di polvere bianca. Pareva una statua di gesso, un’immagine surreale. Un pompiere intervenne a scuoterla. Poi ancora pompieri. Correvano a frotte in ogni direzione. Portavano la mascherina sul volto e solo gli occhi manifestavano tutto il loro sconcerto. Urla agghiaccianti, gente coperta di sangue. Tanti fuggivano con dei bambini in braccio.
Una signora, sorreggendo il suo neonato, s’era nascosta dietro un’auto. Dei poliziotti l’aiutarono a rialzarsi e a scappare.
Elena correva via insieme a Mike e si teneva il fazzoletto sulla bocca, mentre singhiozzava e lacrime cocenti le scendevano sul viso a mischiarsi con la polvere.
La sua New York! Come poteva essere successa una cosa del genere nella sua New York!
Giacomo! Mamma!
Correva, e piangendo continuava a ripetere mentalmente quei nomi.
Il dolore che provava era inesprimibile. Sentiva tutta l’anima distrutta e soffocata dallo strazio. Ogni tanto si fermava esausta e cercava di riprendere fiato. Mike la sollecitava:
-Forza Elena! Andiamo! Corri!-
Riprendeva a correre. Bisognava andare! Andare a vivere, pensava, e voi a morire! Mamma Giacomo! Chi di noi va verso un destino migliore?
Credette d’avere urlato. Forse era stato solo il suo cervello a gridare. Ma avrebbe voluto urlare tutto l’orrore, la pena e l’agonia del suo cuore. Si afflosciò sulle gambe e il pianto non la faceva più respirare. Mike dovette sollevarla di peso e l’aiutò a proseguire, sorreggendola come se fosse un peso morto. Anche loro sembravano due corpi di cemento. Erano ricoperti completamente di polvere bianca. Gli occhi si aprivano, scuri, sotto una fitta coltre che nascondeva tutto il sembiante e gli abiti. Vedevano le automobili e ogni altra cosa sommerse dal cemento, dal terriccio e da detriti di vario genere. I pompieri continuavano a trasportare feriti e gente sanguinante. Molti di loro indossavano le tute ignifughe, portavano gli elmi, le funi, gli occhiali, la maschera antigas, la bombola d’ossigeno.
Ogni tanto si alzava un alto nebbione e non si vedeva più nulla, ma si continuava a sentire la gente strillare, piangere e chiedere aiuto.
A un certo punto, una donna venne colpita da una palla di fuoco sopraggiunta da non si sa dove. Stramazzò a terra, morta all’istante.
In mezzo al fumo e alle schegge, un uomo era immobile con l’espressione inebetita, un altro piangeva come un bambino. Quanto orrore e terrore nel volto di tutti! A gruppi o isolatamente s’allontanavano, spinti dall’istinto di sopravvivenza. I poliziotti correvano senza sosta. Trasportavano la gente in salvo e poi tornavano indietro. Qualche persona ferita cadeva a terra. Ma c’era subito qualcuno pronto a soccorrere.
Mike doveva badare a sorreggere Elena che procedeva a stento, sconvolta, delirante. Quando furono abbastanza lontani, si fermarono e s’abbracciarono. Poi si avviarono istintivamente verso Little Italy, verso la pizzeria, come fosse la loro isola di salvezza.
Strada facendo, mentre camminavano sfiniti e frastornati, incontrarono Nina, una cuoca italiana che Elena conosceva e che lavorava in un ristorante delle Torri.
-Mi ha salvato il padrone!- gridò -Mi ha salvata!-
Continuarono a procedere insieme, mentre quella raccontava.
-Il ristorante è a piano terra, ma attorno piovevano detriti. Le luci in cucina s’accendevano e si spegnevano. A un certo punto il padrone mi ha chiamato al telefonino dicendo di scappare subito. Non mi decidevo. Avevo paura perché vedevo che fuori c’era l’inferno. Il padrone ha richiamato e ha urlato d’uscire. Gli altri erano già fuori. Sono corsa all’aperto. Ho visto un pezzo d’aereo sull’asfalto. Ho alzato gli occhi e ho visto corpi che volavano giù dai piani alti, uno dopo l’atro.-
La poveretta aveva portato le mani al viso e aveva un’espressione inorridita! Aveva visto scene inverosimili. Immagini che mai avrebbe dimenticato: gente che si gettava nel vuoto per sottrarsi alle fiamme!
I posti di blocco erano ovunque. Continuavano ad affluire i camion dei vigili del fuoco e le auto della polizia. Molti visi erano affacciati alle finestre dei palazzi vicini. Ma già le forze dell’ordine stavano facendo evacuare i grattacieli confinanti.
La sua New York! Quella città che aveva imparato ad amare in modo viscerale, assoluto. Una metropoli stupenda che le aveva offerto tutto: il riscatto, la fortuna, l’amore. Come poteva succedere tutto ciò a New York?!
Riprendeva a piangere e sentiva l’anima straziata e un gelo mortale, mentre sempre gli stessi nomi le tornavano in mente: Mamma, Giacomo, Giacomo, mamma.
Quando arrivarono alla pizzeria, videro tutti fuori a guardare increduli. Tony, il lavapiatti, corse incontro ad Elena.
-Giacomo! Dov’è Giacomo?- Si guardarono disperati.
Don Carlo vedendola in quello stato, parve fuori di senno.
-Non può essere! Non può essere! Oh Giacomo!-
Si picchiava la fronte e si metteva le mani tra i capelli. Poi l’abbracciò e singhiozzarono insieme, accomunati da un dolore cocente.
-La città è impazzita,- diceva qualcuno degli inservienti.
-I notiziari televisivi parlano di un attentato terroristico,- replicava un altro.
Mike stava scrollandosi la polvere e il terriccio dagli abiti e dai capelli: -Avete notizie di Sara e George?- chiese.
-Quando è stata colpita la prima Torre,- rispose Tony - il marito era qua per un caffè. Ha parlato al cellulare con Sara; era sconvolta perché dove si trovava c’era il finimondo. Erano tutti bloccati e diceva che sarebbero morti perché non potevano più respirare per il fumo. Poi la comunicazione s’è interrotta e quel pover uomo ha cominciato a gridare ed è corso fuori.-
Un tremendo silenzio accompagnò queste ultime parole. Con il capo chino rientrarono dentro il locale. Qualcuno volle confortare Elena. Era troppo addolorata e tormentata. Continuava a scuotere il capo e a piangere in silenzio. Le cameriere si sforzavano di calmarla e consolarla. La fecero sedere. Qualcuna l’accarezzava e cercava di scuoterla.
-Coraggio Elena! Può darsi che siano riusciti a scappare! Da un momento all’altro potremmo vederli arrivare.-
-Ma non li avete chiamati al telefonino?- chiese un’altra.
-Ho provato tantissime volte,- ribatté Mike - ma quello di Giacomo risultava sempre irraggiungibile.-
Improvvisamente videro entrare Gim. Anche lui tutto sporco di polvere e terriccio. Era inebetito. Aveva l’espressione di chi è stato ad un passo dalla morte.
-Mi stavo recando a un ufficio delle Torri per un colloquio di lavoro. Henry m’ha salvato la vita. Mi ha telefonato dicendo che suo padre mi voleva assumere nella sua ditta. Non sono più salito. Se mi avesse chiamato dieci minuti dopo, mi sarei trovato là.-
-Deve essere stato terribile!- esclamò Don Carlo.
-Orribile! Sono uscito, ma mi sono trovato in mezzo al caos. Non capivo più niente. Non mi facevano andare da nessuna parte. C’era una baraonda assoluta e tutti erano in preda al panico. Dopo un po’, ho visto arrivare corpi dall’alto che si sfracellavano sull’asfalto, mentre la gente urlava. Ho alzato gli occhi e ho visto persone che si lanciavano dalle finestre. Fatemi sedere, per favore.- Pareva sull’orlo di un collasso. Tremava in tutto il corpo. Gli diedero un caffè e lo fecero calmare. Squillò il suo cellulare.
- Henry! Sì, sto bene, sto bene, tutto a posto. Mi trovo alla pizzeria a Little Italy. Se non mi avessi telefonato……… Sì, sì, ti aspetto.-
Poi osservò Elena e capì che era accaduto qualcosa di grave. Guardò meglio in giro e non vide Giacomo.
- Dov’è tuo fratello?-
Lo sguardo disperato dell’amica fu la risposta più eloquente.
-No! Giacomo! E perché è andato? Perché era là?-
-Ha accompagnato la madre in visita turistica- fece Don Carlo addolorato.
Videro entrare un uomo trafelato e sporco di terra.
-Per favore datemi un bicchiere d’acqua,- disse.
Qualcuno dei camerieri fu sollecito a dargli un’intera bottiglia.
-E’ successo l’impensabile,- cominciò passandosi l’acqua sul viso, - ero con il mio capo al 103° piano; ci siamo girati e abbiamo visto arrivare l’aereo. Sono fuggito in tempo. Ho sceso cento piani di scale. Credo che sia stata una delle più grandi evacuazioni della storia, ma molti non ce l’hanno fatta. C’era gente bloccata negli ascensori.-
Ogni tanto, continuava ad entrare gente scampata, che cercava acqua da bere per rinfrancarsi. Una donna era esausta e con il fiatone.
-Sembrava una zona di guerra,- stava dicendo - c’erano esplosioni ovunque. Ho saputo che sono morti dei vigili del fuoco mentre prestavano soccorso.-
-Il capo della polizia,- raccontava un altro -era là e ha riferito che i servizi di emergenza sono inondati di chiamate effettuate con i cellulari da persone intrappolate tra i detriti.-
Elena aveva ripreso a piangere. L’assurdità di quella situazione, il senso d’impotenza la sconvolgevano e avrebbe voluto urlare. Non sapere nulla di Giacomo e di sua madre le toglieva il respiro.
Entrò una signora italiana. Cercava una sedia.
-E’ la seconda volta!- gridava -Sono scampata per la seconda volta!-
-Coraggio signora, si calmi,- Don Carlo la fece sedere.
-Ero al 62° piano della Torre Nord; ho visto un aereo che mi stava arrivando addosso. Ho capito subito che si trattava di un attentato. Non poteva essere un incidente. Non stava cercando di evitare la Torre. L’ha colpita intenzionalmente.-
-Come è riuscita a scappare?- Il brav’uomo le aveva offerto un caffè.
La poveretta era stravolta.
-Sapevo che dovevo assolutamente mantenere la calma, che scappare era difficile, ma era l’unica via di salvezza. E’ incredibile! Dentro c’erano persone che pensavano fosse meglio restare ai propri posti e aspettare ordini dai servizi d’emergenza. Mi sono diretta verso le scale. Vi erano centinaia di persone, acqua da tutte le parti, fumo, non si vedeva niente. La gente procedeva molto lentamente. Quando sono arrivata al 44° piano, c’è stato un secondo scossone. La Torre s’è mossa. Siamo stati sbattuti in avanti. E’ scoppiato il panico. Non ricordo come sono arrivata fuori. Sono stata sopraffatta da una massa di detriti, polvere e fumo.-
Mike nel frattempo s’era messo in contatto con i servizi d’emergenza per sapere se fra gli scampati, figurassero i nomi di Giacomo e della madre. Non potevano fornirgli indicazioni. Guardava Elena affranto. La vedeva disperata e incapace di connettere. Le si avvicinò e la strinse. Il senso di sconforto e impotenza era generale. L’acqua e i caffè venivano serviti a profusione.
Entrò Henry sulla sedia a rotelle. Vide Gim e gli andò incontro. Si abbracciarono e si guardarono negli occhi. In quell’enorme tragedia, avevano il conforto di essere ancora insieme, di aver scampato il pericolo di perdersi per sempre.

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Gabriella Cuscinà
Senatore


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24


Nel trambusto generale, nessuno aveva pensato ad Amanda. Lei e Giacomo abitavano in una zona lontana dalle Torri. Era a casa, quando aveva appreso del disastro. Non andava più a lavorare per via della gravidanza. Aveva acceso la televisione nella tarda mattinata e la notizia dell’attentato l’aveva estremamente sconvolta. Aveva cominciato a tremare ed aveva vomitato più volte. Poi senza riflettere, era uscita e si era diretta con l’auto verso il Trade Word Center. Naturalmente non aveva potuto raggiungerlo. Si era sentita di nuovo male, ma facendosi forza per non svenire, era arrivata alla pizzeria. L'avevano vista entrare come un automa. Aveva lo sguardo vitreo ed era bianca come un panno lavato. Manifestava sgomento, disperazione. Il dolore è come una vernice che riesce a trasformare ogni cosa. Aveva trasformato anche i suoi lineamenti.
Tutti, prima o poi, ne facciamo esperienza, ma talune tragedie superano ogni immaginazione! Quei lineamenti assai belli erano adesso contratti e deturpati da una smorfia.
Elena le andò incontro: -Amanda!- Si strinsero le mani e i loro occhi esprimevano un tormento profondo. Il dolore, sul viso di Elena, aveva un effetto diverso. Lo aveva reso più bello. Lo sguardo appariva intenso e contornato dalle lunghe ciglia bagnate dalle lacrime. Le labbra erano umide e arrossate. Si abbracciarono ed Amanda stava svenendo. La fece sdraiare su un divano. Chi le portò dell’acqua, chi del caffè. La poveretta rimase rigida, gli occhi fissi nel vuoto.
-Amanda non sappiamo nulla,- cominciò Don Carlo - potrebbero essersi salvati.-
A queste parole, cominciò a piangere con una disperazione che coinvolse tutti. Molti avevano gli occhi lucidi e si soffiavano il naso. Dopo un po’ gli animi si calmarono. Era già pomeriggio inoltrato e si erano messi in contatto con gli uffici del pronto intervento e con altri uffici per avere notizie dei superstiti. Nessuno purtroppo sapeva niente di Giacomo e della madre. La speranza però è sempre l’ultima a morire ed Elena voleva sperare ancora.
-Potrebbero trovarli vivi sotto le macerie,- diceva.
Amanda invece taceva. Mike consigliò di riaccompagnarla a casa e di farla visitare da un medico. La portarono via e la fecero vedere da un ginecologo. Questi dichiarò che era tutto a posto, ma che avrebbe dovuto mettersi a letto e non agitarsi, per non correre pericoli.
-Come faccio dottore!- esclamò.
-Capisco, signora, ma deve pensare al nascituro.-


Nei giorni successivi, continuarono senza sosta a fare ricerche per sapere qualcosa di concreto, ma i loro cari risultavano tra i dispersi.
Più passavano i giorni, più diminuivano le speranze di trovarli vivi. Anzi, temendo che soffrissero i tormenti dell’asfissia, Elena desiderò, in cuor suo, che fossero già morti, deceduti sul colpo.
Il marito di Sara pareva aver perso il senno. Tra le macerie, un pompiere aveva ritrovato i resti di George, stretto tra le braccia di una donna dal corpo dilaniato. Quella donna aveva la faccia di Sara.
Ai vari distretti di polizia, avevano portato le foto di Giacomo e della signora Pina e le avevano appese insieme ad altre. Tutte quelle foto di dispersi campeggiavano come fossero foto ricordo e destavano una tremenda impressione. Vi erano anche fiori, oggetti, disegni con frasi patriottiche. Avevano saputo, in seguito, che erano molte le persone con cognome italiano date per disperse.
Il Sindaco aveva detto che avrebbero fatto tutto il possibile per ritrovare qualcuno ancora in vita, ma aveva anche aggiunto che un essere umano, dopo un certo periodo di tempo, non può sopravvivere e dunque si facevano sempre più esigue le speranze.
Sì, Elena cominciava a non sperare più. Aveva fatto esperienza di cosa fosse veramente la speranza. Era come un sogno fatto da svegli. Quando dormiva, aveva incubi tremendi e rivedeva i cari volti. Si destava sudata e cominciava a piangere. Le lacrime, in quei giorni, erano la sua continua compagnia. Perdere la speranza era orribile, ma era pur sempre ritrovare la pace. Però sperare era bello, poiché non sperare più era come dire addio per sempre al suo Giacomo, alla sua mamma. Mamma! Quanto poco tempo l’aveva avuta! Quando l’aveva ritrovata, il destino aveva voluto sottrargliela per sempre.
Purtroppo i giorni trascorrevano e risultavano sempre dispersi.
Dunque ormai, non potevano più essere vivi. Erano scomparsi nel vero senso della parola. Come disintegrati. Se ci rifletteva, Elena si rendeva conto che i loro corpi erano stati maciullati dalle macerie, dalle tonnellate di detriti. Questo pensiero la faceva inorridire. Allora alla speranza subentrò un dolore acuto, inconsolabile, un senso di vuoto incolmabile.
Mike cercava in tutti i modi di consolarla, di farla riprendere dalla prostrazione in cui era caduta. Non ci riusciva. Le parlava, le diceva di tutto, che doveva farsi forza, che doveva reagire, ma sortiva scarsi risultati. La vedeva sempre triste e sentiva che qualcosa s’era rotto dentro di lei. Era scomparsa la gioia di vivere, la sua forza, la sua determinazione.
-Elena, la vita continua. Tu devi continuare a vivere. Lo devi fare per te stessa, per me.-
-Io continuerò a vivere, ma niente sarà più come prima.-
-Non è vero, perché loro avrebbero voluto che tu fossi sempre la stessa. Non avrebbero voluto vederti piangere in continuazione.-
Si offendeva. Si sentiva incompresa e si arrabbiava con lui.
-Se non vuoi vedermi triste, puoi anche fare a meno di stare con me.-
-Ma cosa dici, Elena! Noi dobbiamo sposarci. Rimanderemo il matrimonio, ma presto o tardi lo celebreremo.-
Le prendeva le mani e la carezzava. Con quello sguardo che solo Mike sapeva avere e che solo a lei rivolgeva.
-Che te ne fai di una moglie che piange sempre? Che pensa sempre ai suoi morti?-
-Vuol dire che trascorrerò la mia vita ad asciugare quelle lacrime. Io so che hai tutte le ragioni. Qui a New York, non sei la sola ad essere inconsolabile. C’è gente che ha perso figli, moglie, genitori. La nostra città è stata piegata in ginocchio. Ma bisogna ricominciare. Questo paese saprà riprendersi e rinascere dalle polveri delle Torri.-
Tali parole non avevano alcun effetto. Elena restava sempre triste e non aveva più voglia di niente. Era come se fosse caduta in una specie di torpore. Quella stessa ragazza che, tanti anni prima, aveva saputo reagire alle disgrazie emigrando in America, adesso non lottava più, non reagiva più. Si lasciava vivere e aveva perso interesse per qualsiasi cosa.
Don Carlo se ne accorgeva: -Non ti riconosco più Elena! Finiscila! La vita continua, figlia mia!-
-Dite tutti la stessa cosa,- rispondeva - ma non posso farci niente. Per me la vita continua male.-
Qualcuno la guardava con commiserazione e sospirava: -Povera Elena!- Il che la faceva imbestialire. Non voleva essere commiserata. Voleva solo essere lasciata in pace. Continuava il suo lavoro alla pizzeria e ascoltava sempre tutti i notiziari televisivi sull’evolversi della situazione in Afganistan. Si teneva in contatto con Amanda e le volte in cui la vedeva erano le uniche in cui si metteva una maschera e cercava d’infonderle quel coraggio che lei stessa non trovava.

Così trascorsero i giorni. Arrivò Natale. L’idea delle prossime festività la fece sentire peggio. Il pensiero di trascorrerle senza la madre e senza Giacomo la faceva angosciare maggiormente. In quei giorni, nonostante tutto, la città riprese il suo consueto aspetto festivo. I Newyorchesi volevano egualmente celebrare quella ricorrenza e i negozi tornarono a essere pieni di addobbi e di articoli da regalo.
Il giocattolo più esposto nelle vetrine fu un pupazzo di colore rosso e di nome ‘Bill Blazes’. Era un pompiere snodabile, capace di evoluzioni incredibili e di far ricordare ai bambini l’eroismo degli uomini che avevano sacrificato la propria vita in cambio di quella di tanti altri.
Elena aveva conosciuto un pompiere che le aveva raccontato:
-Abbiamo fatto solo il nostro lavoro. Certo non è stato piacevole trovare i resti fracassati e decomposti delle persone, oppure scoprire la faccia di un collega tra le macerie. Ma questo è il nostro mestiere.-
Poi verso la fine di gennaio, le telefonò Mr. Garyson.
-Come va Eleanor! E’ da tanto che non ci vediamo! Da quel giorno fatidico. Perché non vieni a trovarmi?-
-Presidente! Come sta? Io…. io signore. Sapesse!-
-Cosa c’è figliola? Cosa è successo?-
-Nelle Torri c’erano mio fratello Giacomo e mia madre.-
Aveva pronunziato queste parole con voce strozzata.
Dopo un breve silenzio.
-Ecco perché sei scappata! Sapevi che erano là!-
-Sì….. sì, sì, signore.-
Stava piangendo. Non riusciva a trattenersi e stava piangendo al telefono.
-Oh! Sono profondamente addolorato. Ho partecipato al matrimonio di Giacomo!- La voce roca testimoniava una sincera partecipazione. Poi, quale persona abituata a prevalere sugli eventi e su stesso, il presidente sbottò: -Accidenti! Eleanor non ti devi abbattere! Ti voglio qui subito!-
-Come? Cosa dice? Ora?-
-Ora! Devi venire subito! Ti devo parlare.-

25


La stava aspettando. Quando Elena entrò, il presidente si alzò dalla sua poltrona e le andò incontro. Un padre non avrebbe potuto essere più sollecito. L’abbracciò con affetto e l’invitò a sedersi. Ricordò che l’ultima volta che s’erano visti, gli stava parlando della comune parentela fra il padre adottivo di Mike e la propria moglie.
-Non compresi perché fossi schizzata via come un fulmine. Poi, con tutto quello che è successo, capirai che ho avuto ben altro cui pensare.-
-Ha perso qualcuno anche lei?-
-No, no, per fortuna nessun consanguineo. E’ stata l’unica volta in cui mi sono compiaciuto che i miei figlioli lavorassero all’estero. Però, sai, in quegli uffici avevo molti amici. Tutti morti. Uno in particolare era un mio amico d’infanzia. L’hanno rinvenuto maciullato.-
Guardava fuori dalle vetrate con malinconia.
-Per me, era come un fratello. Non lo rivedrò mai più.-
-Mi spiace tanto presidente. Non sapevo, ma la posso capire benissimo.-
-Sì, però bisogna reagire signorina! Ti vedo troppo affranta e non riconosco più la mia scrittrice!-
-Facile a dirsi. Tutti mi suggeriscono di reagire, ma non ce la faccio.-
-L’apatia è un male dell’anima e tu, per ora, ne sei affetta. Devi guarire. Vedi mia cara, niente nella nostra vita è perduto per sempre. Coloro che amiamo non li perdiamo mai. Continuano a vivere in noi. Finché tu sarai in vita, i tuoi cari vivranno perché li ricorderai. Tutto può essere recuperato. Non li hanno trovati tra le macerie, ma li ritroverai sempre dentro di te.-
Elena lo ascoltava incantata. Guardava quegli occhi buoni e ne era come ipnotizzata. Per la prima volta, qualcuno riusciva davvero a consolarla, a lenire tutto il male che sentiva.
-Sai, la mia Costance non mi ha mai lasciato. E’ con me sempre, in ogni istante. So che può sembrare retorico, ma se imparerai ad ascoltarti dentro, li ritroverai.-
-Non è retorico ciò che dice. Finalmente qualcuno mi dice cose sensate.-
- E sarà ancor più sensato che tu riprenda a scrivere! L’azione ci vuole, il darsi da fare!-
Scrivere! Anche questa parola ebbe il potere di scuoterla. Sentiva che era una passione malsana di cui non sarebbe più riuscita a fare a meno. L’insanabile mania di scrivere che mai sarebbe morta nel suo cuore.
-Pensa davvero che dovrei riprendere, signore?-
-Se lo penso! Te l’impongo! Eleanor, secondo me, tutti i dilettanti scrivono volentieri. Perciò alcuni di essi scrivono così bene. Ma forse questo te l’ho già detto, non so. Oppure l’ho letto da qualche parte ed è esattamente ciò che credo. All’opera signorina! Bisogna che tu esca dall’apatia.-
-Sì è vero, noi dilettanti scriviamo volentieri.-
-Non solo, siete modesti, umili. Ormai avrò pubblicato centinaia di opere d’autori importanti. Ma, vedi, diventa impossibile far tacere i vecchi autori. Loro sono convinti di scrivere sempre cose eccezionali. Gli esordienti no. Sono come l’erba che cresce e che bisognerebbe fertilizzare di continuo.-
-E’ bello scrivere, presidente, è come avere una capacità diversa dagli altri. La capacità di far credere a chiunque qualunque cosa. E poi s’avverte il vero senso della libertà. Scrivendo si può far correre la mente dove si vuole. Si può inventare, costruire, raccontare cose vere come se fossero false e cose false come se fossero vere.-
Mr. Garyson avvertiva che stava riprendendo la consueta carica. Ritornava ad essere la Elena di sempre.
-Già. Dunque dovrai metterti al lavoro. Cosa ne pensi di scrivere tutta la storia di tua madre e di tuo fratello?-
Lo guardò attonita con la solita espressione delle labbra semichiuse, che tanto ricordava quella di Giacomo.
-La loro storia? Un romanzo! Presidente, potrei scrivere il romanzo della nostra vita. Da quando arrivai qui a New York fino al disastro delle Torri. Ne avrei cose da raccontare! Naturalmente vere e false. Quanto materiale! E poi lo pubblicherebbe?-
-Perché no? Se saprai scriverlo, credo proprio che lo pubblicherò. Lo potremmo intitolare: Elena a New York. O come tu vorrai.-
Quel titolo cominciò a risuonarle nella mente. Fu come una musica udita da sempre.
-Che bel titolo! Certo! S’intitolerà proprio così!-
Sentiva ritornare la smania di porsi dinanzi alla tastiera e scrivere, raccontare, ricordare, rielaborare, inventare e immaginare. Scrivere! Sì, li avrebbe fatti rivivere. Non sarebbero mai morti. Attraverso le sue parole e le sue narrazioni sarebbero vissuti per sempre! Che bello! Ecco che li avrebbe avuti sempre con sé, nel suo romanzo, in tutto ciò che avrebbe scritto. Avrebbe raccontato l’infelice storia di una donna che, da madre sciagurata, si era poi riscattata e aveva trovato la morte, l’11 settembre, in quella città. Avrebbe narrato del suo Giacomo, dei suoi scherzi memorabili e del suo amore per la vita.
-Allora, Eleanor, quando inizierai a scriverlo?-
-Subito presidente. Credo che comincerò subito.-
-Oh bene! Sono contento. E un’altra cosa. Mi avevi detto che ti saresti sposata. Quando verrò al matrimonio?-
L’aveva presa in contropiede. Nonostante le sollecitazioni di Mike, s’era sentita troppo triste per pensare a una festa e al matrimonio.
-Per ora non mi pare il caso, non credo che avrei lo spirito adatto.-
-Cooosa! Se fossi al posto del giudice, ti manderei a quel paese! Qui negli Stati Uniti, niente può fermarci se abbiamo una cosa importante da fare. Ripeto la domanda: quando verrò al matrimonio?-
Elena, a questo punto, sapeva di dover stabilire una data non troppo lontana.
-Ad aprile signore?-
-Quando?- Non era soddisfatto.
-A marzo! Tra un mese. Sì, credo che mi sposerò tra un mese.-
-Bene, sarò io ad accompagnarti all’altare.-
Questo non se l’aspettava. Però si sentiva lieta come non le succedeva da tempo. Caro il suo presidente! Aveva il carisma di sdrammatizzare tutto, anche le tragedie più enormi, di ridarle la carica, la fiducia. Lo guardava e sapeva che nel suo affetto avrebbe potuto sempre contare.
-Davvero mi accompagnerà all’altare?-
-Certo! Avrebbe dovuto farlo Giacomo? Lo farò io, stai tranquilla!-
Si alzò e l’abbracciò.
-Vado a dirlo subito a Mike.-
Finalmente era di nuovo vitale.
-Sarà contento di potersi sposare presto, non che io ti scorterò dinanzi al prete. Ah ah ah. E non sa il poveretto che, da fidanzato, è un uomo felice che si prepara a smettere di esserlo. Ah ah ah ah. -
Adesso anche Elena rideva. Mr. Garyson era riuscito a metterla in allegria. Non ricordava più da quanto non le succedeva.
Guidò verso il palazzo di giustizia ancora in fermento. Quando arrivò, Tim la vide euforica e si meravigliò.
-Ciao Elena! Ti vedo bene, sembri diversa. Cosa c’è?-
-Ho deciso che ci sposeremo a marzo. Basta aspettare! Bisogna reagire. Vero Tim?-
-E’ quello che dicevo io! Oh! Sono contento.-
Mike uscì dalla sua stanza e non le era mai parso così bello. Ma sì, ora ricordava. Era l’uomo dei suoi sogni! L’uomo di cui s’era innamorata quando Olga l’aveva descritto. Allora non lo conosceva e già l’amava. Il giudice notò subito che aveva un’aria differente. Non era afflitta e aveva riacquistato il suo sguardo splendente, senza il velo della malinconia.
-Cosa c’è Elena? Cosa è successo di bello?-
-Mike, vuoi sposarmi a marzo?-
Ci sono notizie improvvise che ci lasciano senza fiato. Lui era rimasto senza parole. Le s’avvicinò e Tim andò via.
-Se ci sposiamo fra un mese, sei contento?-
Non rispose, l’avvinghiò tenendola stretta e nascondendo il viso tra i suoi capelli.
-Sono felicissimo,- disse poi - ma come mai questa decisione improvvisa?
-Mr. Garyson ha voluto vedermi. Ha detto che potrei scrivere un romanzo per far rivivere i miei cari. Mi ha promesso che m’accompagnerà all’altare.-
-Ecco! Ho capito. La mania di scrivere ti ha destata dal torpore e t’ha scossa dal lutto. Meglio così! Nella nostra casa potrai sbizzarrirti alla tastiera come più ti piacerà. Prepareremo dunque la cerimonia.-


26


Un mese era un tempo breve per organizzare un matrimonio, ma Elena si mise d’impegno e comunicò subito la cosa a Don Carlo.
- Bene! Ti sei decisa! Non preoccuparti, assumerò un cuoco molto bravo e cucineremo le migliori pietanze.-
Queste parole la fecero tornare triste. Un altro cuoco! Sentì una stretta al cuore e pensò che Giacomo avrebbe sfoggiato tutta la sua abilità in quella occasione. Ma il suo amato fratello non c’era più. Com’era possibile! Chissà come sarebbe stato contento! Ebbe di nuovo le lacrime agli occhi.
-Elena, figlia mia, smettila. Non potrai farli tornare in vita. Sarebbero stati contenti per te. Dunque continua per la tua strada.-
Tony s’era avvicinato e si era accorto della sua tristezza.
-Lo sai che c’è stata una ragazza italiana che ha perso i genitori e il fratello gemello nelle Torri?-
-Oh poveretta! E come?-
-Erano turisti e lei è un’appassionata di storia dell’arte. Il giorno della tragedia aveva preferito recarsi al Metropolitan Museum. I suoi parenti sono andati al Trade Center e non sono più tornati.-
Invece Don Carlo riprese a parlare dei preparativi.
-Faremo diventare il locale un posto da fiaba.-
-No grazie, ma sa, Mike mi diceva che il ricevimento vorrebbe organizzarlo nella nostra casa. E’ grande e potrà contenere molti ospiti. Naturalmente sono invitati tutti i miei amici della pizzeria e le vivande proverranno da qua.-
-E saranno il mio dono di nozze. Te l’avevo promesso, ricordi?-
In quei giorni, dovette occuparsi anche dell’abito da sposa. Scelse un completo bianco molto semplice. Consisteva in una gonna lunga attillata, accompagnata da una giacca che la segnava in vita. Il tutto era di un tessuto morbido, pregiato e di linea impeccabile. Infatti risultava un abito elegante e lineare che la rendeva una sposa insolita. Non avrebbe avuto né velo, né copricapo, ma solo i suoi folti capelli acconciati in maniera classica e raccolti sulla nuca.
Gli invitati sarebbero stati innumerevoli. Non vollero escludere nessuno. Tra questi fu invitato naturalmente Theodor Hunter, il quale un giorno si presentò al locale da Elena.
-Signorina! Che piacere rivederla! Lo sa che ho ricevuto un invito di matrimonio? La cosa strana è che si sposa il mio figliolo. Ora mi chiedo:
-Ma non era già sposato con lei?-
Fu colta da un accesso di risa, ma si trattenne. Poi fu tentata di baciarlo. Quel signore così svanito e originale destava tanta tenerezza!
-Mr. Hunter, noi non siamo sposati. Adesso finalmente celebreremo il matrimonio e lei sarà ospite graditissimo.-
-Ah! Ho capito, convolate a nozze, come si suol dire. Avrei giurato che eravate già posati. Mah! Sarò presente, certo. Per quando sarà? Ad aprile?-
-No signore, a marzo. Dirò a Mike che le telefoni per ricordarle la data.-
-E’ proprio un bravo figliolo, vero? Mi ha perdonato. Io invece non riesco a perdonarmi. Quando penso a lui, rimpiango di non averlo tenuto con me e me ne pento. Diedi ascolto a quella bisbetica di mia sorella Eva e feci una cosa orribile.-
-Non ci pensi. La vita ci riserva le più amare esperienze. Adesso l’ha ritrovato e può sentirsi in pace con se stesso.-
-Anche lei è una bella persona. Sono contento. Oh sì, sono proprio contento che Mike non se la sia lasciata scappare.-
Così, tra preparativi, acquisti dell’ultimo momento e organizzazioni varie, arrivò il giorno fatidico del matrimonio. Elena svegliandosi al mattino, si sentì stranamente tranquilla. Era una riprova della fiducia e dell’affetto che riponeva nel suo uomo. Sapeva di andare incontro a un futuro sereno, fatto di stima reciprocava, comprensione, amore sincero.
Mike l’avrebbe sempre capita e assecondata. Doveva ripromettersi di fare altrettanto e di renderlo felice. Sarebbe stato semplice. Quello che provava per lui era un sentimento speciale, pieno d’abnegazione. Mike! Ricordò quando l’aveva visto entrare per la prima volta nella pizzeria. Quando l’aveva guardata con i suoi occhi magnetici, in cui l’ammirazione era tangibile. E il sorriso! Quel sorriso che gl’illuminava il volto da arabo.
Mike che aveva saputo aspettare e s’era dimostrato un amante appassionato, gentile e seducente. Ma doveva prepararsi in fretta. Alle dieci, Mr. Garyson sarebbe passato a prenderla con la limousine.
La felicità purtroppo, era offuscata dal velo consueto. Niente avrebbe potuto dissiparlo e colmare il vuoto che avvertiva. Però quel giorno, Giacomo e sua madre sarebbero stati idealmente presenti, accanto a lei.
Si fermò e per un attimo rivide il fratello che le insegnava a leggere. Lei allora era una bimba piccola e spaventata. Ripensò alla madre. Alla donna che aveva donato un rene a una ragazza, solo perché era della stessa età di sua figlia. Non doveva piangere! Doveva andarsi a sposare!
Fece toletta con molta cura. Il risultato finale fu eccellente. Tutto l’insieme dell’abito e dell’acconciatura metteva in luce la sua figura longilinea, il suo incarnato splendente. Gli occhi apparivano enormi sotto le ciglia marcate dal trucco.
Mr. Garyson in auto, la guardò sorridendo.
-Questa volta ti chiamerò Elena, e ti dirò che sei proprio una bella figliola!-
-Sì, sono Elena. Elena a New York. Ricorda?-
-Ah ah ah, certamente. Come potrei scordarlo. Sarà la mia prossima pubblicazione.-
Quando giunsero nella cappella cattolica, videro Mike insieme al sacerdote. Era impeccabile con il suo abito scuro che lo faceva sembrare più alto e austero. Contrariamente alle usanze statunitensi, a quel matrimonio non erano state previste damigelle. La chiesa era stracolma d’invitati e il brusio faceva pensare più ad una convention politica che ad una celebrazione religiosa. Gli sposi furono dinanzi all’altare e le voci tacquero. Si promisero d’amarsi sempre, nella buona e nell’avversa fortuna, nella buona e nella cattiva salute.
-Siete marito e moglie, miei cari,- esordì il celebrante -e nuovi doveri vi chiamano. Sappiate affrontarli con dedizione e sappiate crescere i vostri figli con spirito cristiano.-
Figli! Elena non ci aveva pensato. Ebbe un sobbalzo. E se già fosse stata incinta? Certo parecchie volte ormai lei e Mike avevano fatto l’amore. Già! Con tutta l’ansia dei preparativi non ci aveva badato, ma quel mese non aveva avuto il suo ciclo. Accidenti! La mattina precedente s’era svegliata con un forte senso di nausea! La gioia l’inebriò. Le sembrò di vedere Giacomo e la madre che le offrivano il loro regalo. Il più bel regalo del mondo: un bambino! Guardò lo sposo e gli s’accostò.
-Sai Mike, credo di essere incinta.-
Il giudice spalancò gli occhi inebetito. Non disse nulla e sbiancò.
Perché quel pallore? Non era contento? La paternità lo spaventava? Eppure una volta le aveva detto che un figlio suo l’avrebbe voluto anche subito.
Il sacerdote stava dicendo: -Se qualcuno è a conoscenza di un impedimento a queste nozze, parli ora, o taccia per sempre.-
Tra i convitanti in prima fila, qualcuno alzò un braccio. Era Theo Hunter. Il suo gesto fu accompagnato da varie esclamazioni.
Lo stesso celebrante ne fu sorpreso, ma lo invitò a parlare.
-Io volevo solo dire che sono contento che mio figlio sposi la nostra Elena. Lo dico ora e poi non lo dirò più.-
Un sospiro di sollievo si levò da più parti. Mr. Garyson applaudì e tutti seguirono il suo esempio. Uno scroscio di applausi rimbombò nella chiesa.
Elena osservava Mike ancora dubbiosa. Ma nello sguardo di lui s’erano accese mille luci, mentre le sussurrava:
-Un figlio! Mi pare di sognare! Lo chiameremo Giacomo.-

FINE

Gabriella Cuscinà

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