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 Poldo
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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 26/08/2004 :  10:24:28  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
Poldo

La villetta di Daniele sorgeva tra tante altre tutte a schiera. Vi abitava già da svariati anni. Esattamente da quando, dopo la guerra, l’amministrazione comunale del suo paese gli aveva espropriati i terreni appartenuti al nonno e di cui era l’unico erede. Non li aveva ereditati, ma il Comune glieli aveva tolti con il pretesto di realizzare in futuro un parco urbano. Invece quelle terre erano state cedute gratuitamente a una industria per la commercializzazione del latte e dei suoi derivati. Oggi quelle stesse aziende si trovano rovinosamente in crisi e il proprietario è stato indagato. Daniele pensa allora che una giustizia divina c’è per tutti prima o poi.
Nella villa accanto alla sua abitava Leopoldo, uno scapolo attempato assai corpulento e brontolone. Lo chiamavano Poldo ed era sempre vissuto con l’anziana madre ammalata. Era rimasto scapolo per non dover lasciare sola quella donna cui era legato da un affetto morboso. Purtroppo da qualche anno era morta, ma per lui era come se ancora fosse viva e manteneva intatta la stanza, tutti gli oggetti e le consuetudini appartenuti alla vecchia signora. Venerava il suo ricordo, le parlava come se ancora vivesse in quella casa, preparava le pietanze che lei preferiva.
Per questo motivo il poverino era stato spesso vittima delle beffe di Daniele, che era divenuto suo amico. Ad esempio, una volta gli aveva fatto sparire lo scialle della madre in cui s’avvolgeva per sentire il suo odore. Un’altra volta gli aveva sottratto le medicine che ogni mattina si faceva recapitare come quando la signora era viva. E poi gli faceva sparire i giornali, la spesa. Un giorno aveva messo a soqquadro il letto della defunta, che Poldo teneva come se lei vi dormisse ancora. Anzi quel letto rappresentava una vera reliquia e quando s’accorse della violazione, cominciò a gridare e a inveire contro l’amico.
Però voleva bene alla famiglia di Daniele ed era particolarmente affezionato a suo figlio Lorenzo, un bimbo di quattro anni che si recava talora da lui a farsi dare le caramelle.
“Poldo sei grassone, sei grassone!” lo canzonava il bambino.
“E io non ti do più le caramelle,” rispondeva l’altro.
“Te le mangi tutte tu e diventi più grasso ah ah ah ah.”
Poi in una bella mattina di sole, Lorenzo era a passeggio con la mamma lungo il viale di casa. Improvvisamente era sfuggito alla mano materna ed era corso in mezza alla strada a prendere una palla. Proprio in quel momento sopraggiungeva un’auto. La scena era stata vista da Poldo che non aveva perso tempo e si era precipitato a salvare il bambino. Era riuscito a spingerlo da parte, ma era stato investito in pieno dalla vettura ed era morto sul colpo.
“Papà ti ricordi quando Poldo mi dava le caramelle?”
“Certo, lo ricordo Lorenzo.”
“Sai, una volta mi chiese se gli volevo bene.”
“E tu cosa hai risposto?”
“Che non gli volevo bene perché era troppo grasso.”
“E oggi cosa gli avresti risposto?”
“Che gli volevo tanto bene,” aveva detto Lorenzo singhiozzando.
Daniele aveva ripensato spesso alle vaste terre appartenute a suo nonno. Vi aveva trascorso le sue estati più felici, tra i filari d’uva o all’ombra dei tigli. Si era sentito defraudato, derubato di quelle magnifiche campagne dove giocava da bambino, dove si recava a raccogliere i fiori di primavera, su cui vedeva svolazzare le farfalle e dove udiva sommesso il frinire delle cicale.
L’industriale del latte, prima di essere indagato e poi arrestato, era divenuto multimiliardario, e a lui invece non era rimasto nulla.
Oggi che Poldo non c’era più, ricordava quando l’amico gli aveva raccontato di possedere, al Sud, delle terre al sole coltivate a frumento e a ulivo. Ma gli erano state rubate dall’unico fratello, che se le era accaparrate senza riconoscergli la metà dovuta.
Poldo aveva perdonato e aveva lasciato fare senza rivolgersi né ad avvocati, né a tribunali. Quindi, Daniele confrontava quella magnanimità con il proprio eterno rancore, con l’antico odio per l’ingiustizia subita.
L’amico gli aveva insegnato che si può continuare a vivere e ad amare pacificamente perché l’amore vince su tutto e l’odio invece rode e corrode l’anima lentamente come un tarlo. Chi ama perdona e trova serenità e quiete, chi continua a odiare, macera la propria mente e la propria coscienza.
Addio Poldo, amico quieto e paziente, buono e mansueto. La tua mitezza resterà per sempre impressa nei cuori di coloro che ti amarono.


Gabriella Cuscinà

   
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