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 Secondo novecento
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luisa camponesco
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Inserito - 08/05/2004 :  16:20:16  Mostra Profilo  Visita la Homepage di luisa camponesco Invia un Messaggio Privato a luisa camponesco

Secondo novecento

La storia di una città, durante il periodo della guerra, è simile alla storia di altre città, così come le vicende degli uomini che ne furono i protagonisti. Fu durissimo quell’inverno 1944/45 a Brescia sotto i bombardamenti. Nella casa di Ernesto e Maria la vita continuava, le figlie si erano quasi tutte sposate ed erano nate le prime due nipotine. Ma la città viveva ore drammatiche, in piazza della Vittoria, in stile ventennio, si trovava il Ministero di Grazia e Giustizia della Repubblica di Salò (attualmente Palazzo delle Poste) tristemente famoso perché gli oppositori al regime o ritenuti tali venivano portati nell’edificio per essere interrogati e poi scomparivano, ma l’epilogo era già cominciato. I bombardamenti sulla città furono pesantissimi, tutti dormivano ormai vestiti e con le scarpe a portata di mano, al primo segnale d’allarme, la famiglia si precipitava al rifugio nella galleria sotto il colle del Cidneo, noto come Castello, ma nonno Ernesto non voleva mai lasciare la sua casa, quindi si rifugiava in cantina o al massimo sotto il campanile della vicina chiesa di San Francesco d’Assisi.
Ogni notte, verso l’una, arrivava “Pippo”, così lo chiamavano i bresciani, l’aereo che bombardava la città illuminata a giorno dai bengala, di bombe ne caddero moltissime, a centinaia, in tutte le zone, niente fu risparmiato.
Un giorno una delle figlie, che lavorava in un bar, frequentato anche da collaborazionisti, si precipitò a casa.
- Presto chiudete tutto, gli americani sono alle porte della città. Dicono siano già a Sant Eufemia
Era l’aprile del ’45, nonno Ernesto non se lo fece ripetere due volte chiuse il portone con più mandate e radunò la famiglia nella grande cucina, nonna Maria preso in mano il rosario incominciò a pregare insieme alle figlie. All’inizio si sentirono i colpi di fucile e mitra, per coprire la fuga dei tedeschi, poi… il primo blindato entrò in Brescia. Per un po’ ci fu silenzio poi altri colpi di mitra, ma questa volta erano i partigiani che salutavano l’ingresso degli alleati.
Si ripetè la scena, come in tutte le città liberate, timidamente gli abitanti uscirono dalle loro case, ancora increduli, qualcuno s’inginocchiò sul marciapiede piangendo, altri salirono sui carri armati per stringere le mani a quegli uomini che avevano messo in gioco la propria vita, per combattere in un paese straniero, in nome di un ideale di libertà. Anche la famiglia di Ernesto scese in strada, per rendersi finalmente conto come tutto fosse finito.
- Ciao zio, ciao zia – Lucia, la nipote partigiana, scese da una camionetta ed abbracciò i parenti e le cugine. Il dopoguerra era iniziato.
La ricostruzione fu piuttosto rapida, la gente aveva voglia di dimenticare, di lasciarsi tutto alle spalle, intanto nella famiglia di Ernesto stava crescendo la seconda generazione.
Negli anni cinquanta nuovi miti si affacciarono nella vita di ogni giorno.
Nel palazzetto ottocentesco, le figlie sposate abitavano negli appartamenti del primo piano, mentre al secondo Maria ed Ernesto continavano a vivere nel vecchio appartamento, ormai con molte camere vuote. La falegnameria invece continuava ad essere attiva, l’unico figlio maschio continuava la tradizione di famiglia. I nipoti più giovani, giocavano correndo per le scale, entrando in tutti gli appartamenti, le porte erano sempre aperte, cantando a squarciagola “ Oh Daiana solo tu mi conquisti sempre più…..” Maria li guardava con benevolenza mentre Ernesto si mostrava infastidito:
- Cos’è questo baccano?
- Sono i bambini Ernesto porta pazienza
- Queste sarebbero canzoni? – scuoteva la testa e si sedeva nella sua poltrona.
I nipoti avevano soggezione del nonno, mentre con la nonna era tutta un’altra cosa. Un giorno accadde qualcosa di nuovo, lo si sentiva nell’aria, palpabile, tutti erano in fibrillazione.
- E’ arrivata?
- Non ancora, ma la stiamo aspettando – c’era aria di cospirazione.

Anche i bambini sentivano che qualcosa stava per accadere, e…. Finalmente arrivò un camioncino, due uomini portarono in un appartamento del primo piano un grosso scatolone di cartone. La bambina più grande, che sapeva leggere si avvicinò e col dito seguì le lettere.
- R A D I O M A R E L L I - sillabò
- Cos’è –chiese il cuginetto
- Non so, provo a chiederlo alla mamma – rispose la bimba.
Gli adulti, tutti indaffarati non avevano tempo di dare delle risposte, ma nonna Maria sì, nonna Maria aveva sempre tempo per i nipoti.
- Questa sera bambini ci divertiremo, vedrete che bella sorpresa ! – Inutile dire che tutti attendevano le fatidiche ore 20, infatti subito dopo cena tutti in casa della zia, la sala era piena di seggiole e poltroncine e in un angolo troneggiava un televisore, in bianco e nero naturalmente. Questo era una avvenimento, i bambini il giorno seguente si vantarono a scuola
- In casa nostra c’è la televisione – dicevano facendo un po’ i pavoni.
- Ma avete il telefono? – rispondevano gli altri
Il telefono non c’era ancora e questo era mortificante. La bambina tornando a casa insieme al cugino, mano nella mano disse:
- Lo chiedo alla mamma perché non abbiamo ancora il telefono – e così fece.
Il telefono arrivò il mese seguente, bello, appeso alla parete e rigorosamente nero. Inutile dire che i bambini stavano delle ore a fissarlo in attesa che suonasse e poi:
- Mamma, mamma, stà suonando – di corsa a prenderla e trascinarla all’apparecchio. Tutti volevano sentire la strana voce che usciva dalla cornetta.
Negli anni sessanta i bambini erano diventati dei bei ragazzi, studiavano e si erano abituati subito ai cambiamenti, anzi li ritenevano normali. Tutto si viveva in diretta, la televisione aveva portato il mondo in casa, notizie belle e brutte, dalla crisi di Cuba alla guerra fredda, il tutto condito con splendide canzoni. Da Battisti ai Camaleonti, da Celentano a Morandi, dai Giganti ai Dik Dik e tutti gli altri. Gli anni sessanta furono irripetibili non solo per le canzoni ma anche per i fermenti culturali e politici che li caratterizzarono. Nonno Ernesto se ne andò proprio in questo periodo, Maria attorniata dalle figlie e nipoti pianse molto il suo amato sposo, ma si fece forza per le figlie e i nipoti, consapevole di essere colei che teneva unita la famiglia, il punto di riferimento per tutti. In quella grande cucina ormai le seggiole vuote aumentavano, anche il figlio morì, ma la vita continuava. Nuovi inquilini arrivarono nel palazzetto ad occupare gli appartamenti lasciati liberi dalle figlie, la falegnameria fu sostituita da un grossista di fiori. Solo due figlie e una nipote continuarono ad abitare nella stessa casa... Gli anni settanta incalzavano, il mondo cambiava, i nipoti ormai adulti avevano preso ciascuno la loro strada e affrontavano il mondo del lavoro. Con i capelli candidi raccolti in crocchia, Maria guardava dalla finestra l’andare e venire di gente sconosciuta e una struggente nostalgia per ciò che era stato la prendeva.
- Ciao nonna – una nipote dal cortile alzò la mano in segno di saluto – dopo vengo su da te!
Bastava questo a cancellare ogni tristezza, “eccolo” diceva a sé stessa “il senso della mia vita” Era già nata anche la terza generazione e per quelle scale altri bambini salivano cantando. Alla fine degli anni settanta nonna Maria raggiunse Ernesto, se n’andò in sordina, senza dar fastidio a nessuno, ma davanti a quella tomba si sarebbero sempre ritrovati tutti.
Gli anni ottanta e novanta volarono, la casa fu venduta.

Molti protagonisti di questa storia non ci sono più, ma in chi è rimasto è ancora vivo il ricordo di un palazzetto dell’800 che ha attraversato un secolo di storia.


Un giorno Gaia, quarta generazione, venne a trovarmi
- Zia ho fame. Hai qualcosa da darmi da mangiare? Torta per esempio, biscotti, un gelatino? – Mentre gli preparavo un panino lei si guardò attorno e vide una fotografia appesa alla parete.
- Chi sono questi due?- domandò
- Sono nonna Maria e nonno Ernesto nel giorno del loro sessantesimo anniversario di nozze
- Sessantanni?? – Gaia era stupita
- Si Gaia, ma siediti oggi voglio raccontarti una storia nuova, una storia che riguarda anche te.
Gaia si sedette, pugnetti sotto il mento, l’espressione impertinente di chi la sa lunga ed io incominciai:

- Molto tempo fa, nella primavera del 1899 una ragazza col suo fagotto legato al braccio aveva percorso parecchi chilometri con quelle scarpe risuolate più volte…….


………con la boccuccia aperta Gaia ascoltava....e il seme della memoria trovò nuovo terreno.

   
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