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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 28/11/2012 :  12:23:05  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
Quante volte ai pregiudizi abbiamo sacrificato i nostri sentimenti più buoni e spontanei? Credo un’infinità di volte perché sin da ragazzi siamo stati infarciti di preconcetti e non abbiamo la forza e il coraggio di liberarcene. Tuttavia c’è una’altra specie di coraggio che è il meno eroico di tutti, ma anche il meno comune, ed è quello di affrontare i pregiudizi con determinazione, con serenità e con la certezza di non offendere nessuno. È un coraggio che può urtare contro la vanità altrui, la debolezza, la stupidità, ma che è sempre dettato dal buon senso e dalla rettitudine.
Se la gente cosiddetta “perbene”, ci vede frequentare un extracomunitario, uno sventurato, un miserabile, storce il naso. Fu quello che capitò a Renato. Ma andiamo per ordine.
La sua famiglia, di antica nobiltà siciliana, era ricchissima e l’ultimo discendente era proprio lui, Renato Allianti. Suo padre era figlio unico, sua madre Annamaria aveva solo una sorella maggiore che era stata diseredata perché aveva sposato un muratore.
Possedevano campagne, oliveti, vigneti, erano proprietari di palazzi in città. Vivevano in una casa antica e stupenda e si circondavano di ogni benessere e di tutti gli agi che solo un patrimonio bancario immenso può consentire.
Renato frequentava il liceo classico e ormai era all’ultimo anno. A scuola aveva conosciuto Eugenio ed erano diventati amici inseparabili. Purtroppo l’amico aveva dovuto abbandonare gli studi prima dell’esame di maturità per una grave disgrazia. Infatti, era morta la nonna con cui viveva insieme alla sorella minore. Quest’ultima si chiamava Liliana, aveva diciassette anni e frequentava un istituto professionale; anche lei aveva dovuto interrompere gli studi. I due ragazzi erano rimasti senza sostentamento e avevano lasciato anche l’appartamento dove abitavano con la nonna. Eugenio dovendo provvedere alla propria esistenza e a quella della sorella, era andato a lavorare come commesso in una rivendita di frutta e verdura. Invece Liliana aveva trovato occupazione nel pulire le scale di vari condomini. Con i loro esigui guadagni, avevano affittato un monolocale all’ultimo piano di un vecchio palazzo. Si erano allontanati dai compagni che continuavano a riunirsi davanti ai pub e in discoteca. Liliana aveva costatato che, se qualche amica la incontrava ancora, faceva finta di non vederla, girava il viso da un’altra parte e la snobbava.
Renato fu l’unico che continuò a frequentare Eugenio e lo andava a trovare quando la sera tornava dal lavoro, lo confortava, gli raccontava aneddoti scolastici. Durante queste sue visite, conobbe Liliana e provò una dolcezza infinita nel guardare i suoi grandi occhi verdi e malinconici.
Una domenica mattina, mentre Eugenio era affacciato alla finestra della sua misera stanzetta, udì un cinguettio acuto e subito vide sulla grondaia, a poca distanza da lui, un grosso gatto con un uccellino in bocca.
- Oh il mio cardellino!- gridò una voce dalla finestra vicina.
Eugenio si allungò pericolosamente sulla grondaia, strappò l’uccellino dalla bocca del gatto e rientrò con la bestiolina in mano.
- Il mio cardellino! Il mio cardellino!- gridava la voce.
- Eccolo!- fece Eugenio mostrandolo. E vide sporgere dalla finestra vicina la testa bianca di un vecchio che lo guardava con angoscia.
- È morto?- chiese con ansia.
- No, no. Ha solo una zampetta ferita.
- Vorresti portarmelo, per favore?
Eugenio andò all’uscio di fronte dove, su una targhetta, era scritto: <Professor Bernardo Rossi>. Entrò. Il vecchio professore adagiato su una poltrona vicino la finestra, allungò la mano per prendere il cardellino. Lo esaminò per vedere se fosse ferito, poi lo carezzò e lo rimise delicatamente nella sua gabbietta. Eugenio si guardò attorno e vide le pareti di quella stanza tappezzate di libri allineati su scaffali sino al soffitto, sopra una scrivania erano accatastati altri libri, altri erano poggiati per terra, insomma c’erano libri dappertutto.
- Caro ragazzo, mi hai fatto un gran favore - disse il professore - quest’uccellino è il mio unico amico e la mia unica compagnia. Se il gatto lo avesse mangiato, sarei morto di dolore. Vorrei sdebitarmi con te. Vai a scuola? Al liceo, all’università?
Eugenio provò un’istintiva simpatia per quel vecchio e gli raccontò tutte le sue disavventure. Gli disse che avrebbe voluto continuare a frequentare la scuola e che invece, lui e la sorella erano stati costretti ad andare a fare dei lavori piuttosto umili.
- Ma tuo padre e tua madre? - volle sapere il professore.
- Sono morti in un incidente quando noi due eravamo molto piccoli e siamo andati a vivere con la nonna che era già vedova e abitava in una casa d’affitto.
Però è sempre riuscita a farci vivere decorosamente. Solo che non ha avuto nulla da lasciarci in eredità.
- Ma ti piacerebbe riuscire a prendere il diploma del liceo?
- Sarebbe il mio più grande desiderio- rispose Eugenio.
- E lo vorresti fare continuando a lavorare?
- Non posso farne a meno, devo lavorare.
Il vecchio gli raccontò di essere un insegnante di liceo in pensione, era solo, viveva di memorie in mezzo ai suoi libri su cui continuava a studiare. Molti anni prima era stato conosciuto per i testi di latino e greco che aveva scritto, ora nessuno più si ricordava di lui. Se Eugenio era disposto a trascorrere le ore della sera con lui e ascoltare le sue lezioni, era certo di potergli far ottenere la licenza liceale.
Eugenio ebbe l’impressione di sognare, allungò la mano e afferrò quella del professore, poi si alzò e uscì un istante; tornò subito con Liliana cui disse: - Questo signore si offre di darmi lezioni gratuite per farmi prendere il diploma. Lei è mia sorella, professore.
Così da quella volta in poi, i due ragazzi presero l’abitudine di trascorrere le loro serate a casa del vecchio. Liliana, per ripagarlo della sua bontà, si era offerta di tenergli pulita la casa e di cucinare per lui. Eugenio e il professore cominciarono a studiare ogni sera e andavano avanti con il programma della maturità classica.
Una sera, arrivò Renato che ogni tanto aveva preso l’abitudine di andarli a trovare. Era pallido, desolato. Raccontò che negli ultimi tempi si era spesso assentato dalla scuola per andare ai videogiochi e aveva perso un mucchio di soldi. Ma il peggio era che non aveva più studiato e non si era fatto interrogare dai professori, cosicché il preside aveva mandato a chiamare suo padre. Quello non l’aveva rimproverato, ma si era molto addolorato. E quando l’avesse saputo sua madre? Renato per sottrarsi a quell’umiliazione aveva pensato di partire e di trasferirsi negli Stati Uniti.
Liliana aveva fatto un balzo e aveva esclamato: - Ma tua madre non soffrirà molto di più?
Allora il professore si offrì di dare lezioni anche a lui e promise che gli avrebbe fatto superare gli esami di maturità.
Ogni sera dunque, anche Renato si unì alla piccola comitiva e lo studio per i due ragazzi iniziò a essere sempre più pressante.
Gli amici dei signori Allianti appresa questa frequentazione e, schiavi dei loro pregiudizi, si scandalizzarono e cominciarono a criticare. Invece sua madre Annamaria dichiarò che il figlio era libero di frequentare chi volesse, a patto che fosse gente onesta.
Liliana continuava invece a pulire tante scale e a fare la governante al professore.
Una sera, raccontò a Renato di essere salita, a piedi, sino al tredicesimo piano, scopando e lavando le scale di ogni pianerottolo. Non era mai salita così in alto e aveva provato le vertigini.
Renato, affogando nei pregiudizi, giudicò plebeo quel lavoro e procurò un dispiacere ai due fratelli. Intervenne il professore dicendo che quando un lavoro è onesto, diviene sempre dignitoso e decoroso. Liliana valeva molto di più di tante ragazze che trascorrono il loro tempo a gingillarsi dinanzi agli specchi, a chiacchierare stupidamente, a scambiarsi sciocchi messaggi con i cellulari, o ancor peggio vanno a fumare spinelli nelle discoteche.
- Anche mia mamma la pensa così! - esclamò Renato.
Insieme a quei tre amici, si andava spogliando di tante piccinerie che gli avvolgevano la mente e il cuore, imparava a vedere chiaro nelle cose, a distinguere il vero dal falso.
Poi un giorno, i genitori di Renato li invitarono alla villa per conoscere il buon professore che, gratuitamente, stava preparando il loro figlio alla maturità e anche per conoscere la sorella di Eugenio di cui tanto avevano sentito parlare da Renato.
La sera dell’invito, tra tutte le signore e le signorine invitate, Liliana si distinse e fu la più ammirata, anche se indossava un semplice vestito nero. Aveva i suoi folti capelli sulle spalle e la fronte adorna di riccioli naturali. Entrò con il professore che, ben presto, riconobbero in molti e parecchi signori importanti gli andarono incontro ricordandosi di lui come suoi vecchi studenti.
Quando le amiche di Annamaria capirono chi erano i due fratelli, ebbero un atteggiamento meravigliato e quasi disgustato. Allora Renato prese sottobraccio Eugenio, e la madre si avvicinò a Liliana abbracciandola. Le disse che era lieta di conoscerla e che la trovava deliziosa.
- Sono un cretino!- confessò Renato all’amico - sono uno che si fa condizionare dai pregiudizi. Poco fa, quando ho visto lo sguardo di quelle signore, mi sono vergognato. Ma di che? Forse sono loro che si dovrebbero vergognare di tanta superbia.
- Lascia stare! – ribatté Eugenio – è inevitabile che tu ne sia influenzato. Purtroppo i pregiudizi si attaccano alla mente come le ostriche agli scogli, ci vuole uno strappo violento per staccarle.
Dopo un ricco buffet, si aprirono le danze e Liliana fece quasi tutti i balli con Renato. Tra una danza e l’altra, la signora Annamaria si avvicinò e le domandò della sua famiglia. La ragazza raccontò dei suoi poveri genitori e della nonna con cui era cresciuta.
- Come si chiamava la nonna? – s’interessò la madre di Renato.
- Si chiamava Laura Genovesi. Mio nonno Paolo Carfani, faceva il muratore.
A queste parole, Annamaria sbiancò in viso.
- Laura Genovesi! - esclamò – bella, bruna, con gli occhi verdi?
- Sì, proprio – rispose Liliana – la nonna era così, ma la conoscevate?
- Era la mia unica sorella, aveva dieci anni più di me – disse Annamaria con una voce irriconoscibile e, subito dopo, ebbe bisogno di sedersi.
Liliana la guardava inebetita e stentava a credere alle proprie orecchie.
Trascorsero i mesi e venne il tempo in cui Renato ed Eugenio affrontarono gli esami di maturità. Furono promossi entrambi con voti molto alti, anche se Eugenio si era presentato da candidato esterno.
La signora Annamaria decise che gran parte delle sue sostanze sarebbe andate ad Eugenio e Liliana come legittimi eredi di sua sorella. In quel modo, la buona signora si toglieva un grosso peso dalla coscienza.
Liliana e Renato capirono di amarsi e di voler stare per sempre insieme. Il legame di parentela era d’altronde molto lontano fra loro e un giorno avrebbero potuto sposarsi e continuare la discendenza.

Gabriella Cuscinà

   
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