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 East uncle's story
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Roberto Mahlab
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Inserito - 07/07/2012 :  22:51:53  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Lo sentivo e quando squillò il telefono a tarda sera, sollevai la cornetta come fosse una condanna attesa, "Ciao, ho una buona notizia, il tuo omonimo mi ha offerto l'anello ufficiale di fidanzamento e io gli ho detto sì". "E la buona notizia quale sarebbe?", mi rimase sulla punta della lingua e non pronunciai quelle parole, mia nipotina mi avrebbe fulminato dall'altro capo del telefono, da Londra. Rimasi qualche secondo in silenzio e avvertii la sua perplessità e poi mi rifugiai in un :"complimenti!".

"Ma scusa, perché sei triste?", mi rincuorava il giorno dopo la mia segretaria e braccio destro e sinistro e mente pensante, "è giusto che sia accaduto, è normale, è la vita".

"Ma dai, non fare quella faccia, non sei un papà geloso, sei lo zio!", mi aveva rimproverato, ridendo, anche la mia psicologa preferita.

Ah, davvero?

E chi le passava la mano a due millimetri dalla bocca mentre dormiva per sentirne il rassicurante respiro quando me la affidavano nata da poco? E con chi andava in giro per mezzo mondo, appena più cresciuta, a visitare musei? E chi l'ha mandata in America? E con chi seguiva l'avventura, come quella volta che ci gettammo in slittino giù sul sentiero innevato del bosco da millecinquecento metri di altitudine fino a valle? (... questo però non lo dite a sua madre). E ai concerti rock con chi ci andava? E per i compiti a chi chiedeva? E i testi universitari, con chi li discuteva? E non mi ha mai chiamato "zio", naturalmente, ma con il mio nome, siamo sempre stati compagni di tutto. Ed è con me che si sfogava per le pene d'amore, ero io che le riportavo il sorriso conducendola nelle foreste a vedere gli scoiattoli e i cerbiatti e a salire a tremila metri e a scendere a piedi, a scoprire le delizie di tutti i possibili ristoranti e non c'era cosa che uno o l'altro non rilanciasse per scoprire sempre di più.

E me lo aspettavo un paio di settimane fa che, visitandola a Londra, mi presentasse il mio omonimo. "Sai, a lui non piacciono proprio moltissimo i concerti che di solito andiamo a vedere tu e io, ma ci viene lo stesso". "Ah ah", ribattei severo e esageratamente e artatamente preoccupato, "guarda che ti deve essere al fianco, non deve mai mancare di rispettare la tua incredibile intelligenza e la tua libertà", le raccomandai. "Ma no, è bravo!", mi rassicurava. E lui si era accodato a noi per un paio di pomeriggi a spasso per Londra, si parlava facilmente insieme, dovevo ammettere che era gentile e affettuoso verso di lei e verso di me, come se chiedesse il mio permesso.

"Forse dovevo spingerlo sotto la metropolitana?", valutai ad alta voce la settimana successiva con la mia segretaria in ufficio.
"Ma smettila", mi rimproverò lei.
E mi rimproverò anche mia nipotina con una mail poco dopo :"ma insomma, ho telefonato a tutta la famiglia per raccontare della novità e nessuno mi ha filato!, mia mamma dormiva, mio papà guardava la tv, mio fratello era alla partita e tu... non è che tu mi abbia fatto dei particolari auguri!".
"Come no!" risposi preso in castagna, "ma se ti ho porto i miei complimenti", cercai di giustificarmi.

Però era venuta con me alla Royal Albert Hall l'ultima sera del mio soggiorno a Londra a vedere e ascoltare lo straordinario West Side Story, non era andata con il mio omonimo, aveva voluto me, ero io lì seduto vicino a lei quando Maria faceva scorrere le parole di Tonight nell'oscurità della notte e quanto Tony rispondeva con la medesima aria, seppur lontano da lei. E prima del teatro la passeggiata per Hyde Park e i pasticcini di Harrod's seduti di fronte al laghetto che tra poco avrebbe ospitato i giochi olimpici.

"Sei stanco?", mi diceva mentre arrancavo dietro di lei nella via verso la casa di Londra, schiacciato dai cinque sacchetti e la confezione di pesantissime bottiglie d'acqua. Ero sempre stato fiero di fare la spesa con lei e per lei, ogni prelibatezza era il minimo che dovesse secondo me avere, mentre sceglievamo conserve e confezioni, ci scambiavamo fantasiose e deliziose ricette. "Ma come fai quando non ci sono io a portare questi pesi?", le chiedevo. "Ah, ma mi aiuta il tuo omonimo". Eh già e pensare che credevo che al mondo ci fossi solo io come mio omonimo, almeno mi pareva di avere ottenuto il copyright, anche il mio nome aveva.

"I complimenti?, ma si fanno i complimenti quando tua nipote ti dice che si fidanza?", insisteva sentendoci con skype. "E cosa si dovrebbe dire?", le chiedevo con quella che speravo non fossa una troppa evidenza di apparire burbero. "Be', magari gli auguri, tipo mazal tov!", mi suggeriva. "Gli auguri?", ribattevo, "ma non credo che si facciano gli auguri per una scelta responsabile!", non male come salvataggio in corner, ero soddisfatto di me. "E allora che cosa si dice?", mi sfidava esasperata. "Be'... per esempio... titkadshì!", ottimo colpo gongolavo. "Che cosa?", rispondeva incredula. "Ma sì, mazal tov è askenazita, noi siamo sefarditi, titkadesh o, al femminile, titkadshì è la formula che si pronuncia quando si scende dall'altare della lettura della Torah al tempio, significa 'sii benedetta'". "Ah", ce l'avevo fatta, era convinta e non avevo ceduto, "va bene, vada per la tua benedizione", rise perdonandomi.

"Chissà se sa almeno sciare", borbottavo con la mia segretaria, "glielo hai chiesto?", mi domandava lei. "No, ma non credo che sappia farlo, del resto è inglese, non credo ci siano impianti da sci da loro, vedi, ma allora a che serve se non sa neppure sciare?", esplosi. "Magari un altro sport, il tennis?", mi suggeriva lei accettando pazientemente come normale il mio comportamento surreale.
"Ecco, magari sa giocare a tennis, glielo devo chiedere la prossima volta", concessi.

Insomma, visto che non è stato possibile gettarlo sotto la metropolitana, tanto vale trovare qualcosa che ci unisca, no? "Se non puoi batterli, unisciti a loro", era la classica ricetta per la ricercata resa.

"D'accordo, sono sicuro che giocheremo a tennis o magari gli piace camminare per sentieri di montagna", aggiungevo speranzoso, "certo non sarà come quando siamo soli solamente lei e io a correre giù dalle cime", pensavo senza dirlo, era dura staccarsi dalla propria ragnatela mentale.

"Va bene allora", sospirai, "me lo farò amico, supereremo così il problema, non finirà in tragedia come in West Side Story, la nostra storia di una famiglia sefardita orientale è diversa, si intitolerà :'East uncle's story'".

Tonight,
tonight,
be blessed and be all right
be happy and mazal tov...

Che tanto poi lo batto a tennis.

Roberto Mahlab

   
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