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ophelja
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Inserito - 17/04/2012 :  16:49:05  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a ophelja


Giochi pericolosi

La sabbia bagnata aveva un colore pieno e definito e contrastava piacevolmente con il cielo azzurro e le poche nuvole all’orizzonte.
Con le mani sulla ringhiera del terrazzino, Emilia pensava al tempo passato e ricordava i giorni della sua infanzia, allorquando la nonna s’identificava con le sue vacanze, o meglio, era la vacanza.
La casa al mare: un mondo di avventure e di scoperte per ogni bimbo; di più per quella bimba cittadina costretta tutto l’anno fra le pareti di casa, o della scuola, o dei vari locali in cui svolgevano le sue attività ricreative.
E poi c’era la nonna: la mitica nonna che vedeva una volta l’anno ma che le riempiva le assolate giornate estive di giochi , di racconti, di invenzioni, di vita.

Un anno , in particolare, era rimasto impresso nella memoria di Emilia.

“Emilia, sbrigati...ci siamo tutti” le avevano gridato gli amici quel pomeriggio dell'agosto del millenovecentocinquantacinque.
Qualcuno si era arrampicato sul cancello, qualcuno aveva preso ad agitare la piccola campanella di ferro nascosta dietro la colonna del recinto che delimitava con una rete metallica slembata un piccolo giardino strappato alle dune della spiaggia .

La spiaggia, con le dune che si riformavano più alte ad ogni giornata di vento, era il regno di quei cinque ragazzi, due femmine e tre maschi, che avendo le loro abitazioni vicine in quella specie di landa disabitata, erano sempre assieme ad inventare giochi ed esplorazioni.
Qualche pomeriggio era previsto “un giro” nei campi dei contadini dove crescevano rigogliosamente i cocomeri.
Che gioia poterne rubare qualcuno per il solo gusto della trasgressione!
I contadini della zona sapevano che quei cinque ragazzi – come ogni anno - avrebbero gioiosamente espropriato qualche cocomero e, pur inscenando grandi inseguimenti con il forcone di prammatica, sopportavano di buon grado quelle ingenue bravate che, fra l’altro, diventavano fonte di un discreto guadagno allorchè gli umiliati genitori dei ragazzi si recavano da loro a porgere scuse e congruo risarcimento

La guerra era finita da tempo ma si aveva ancora notizia di gravi incidenti per ritrovamenti casuali di bombe e ordigni bellici inesplosi durante quella semina di morte ch’erano stati i bombardamenti di tanti anni prima.

Quel giorno Paolo, il più grande fra i maschi, era in agitazione. “Venite, ho da mostrarvi cosa ho trovato” diceva con fare circospetto agli altri quattro che, in silenzio, presero a seguirlo verso casa sua, senza mettere minimamente in dubbio la grande sorpresa che si apprestavano a condividere.

Ed in effetti era una grande sorpresa.

Seguendo Paolo in fila indiana si introdussero nello scantinato del villino strisciando sullo sterrato da cui s'innalzavano i muri maestri della casa , e furono in un ambiente umido, senza intonaco e , soprattutto, senza nessuna uscita, se non per quell'unico pertugio da cui erano passati.
Nell'entrare, l'abbagliante chiarore della giornata d'estate li costrinse a qualche forzato momento di cecità in cui i ragazzi si cercarono con le mani, toccando con circospezione i bassi muri; poi Paolo si tolse di tasca un pezzo di candela e qualche fiammifero e fece luce, avviandosi verso l'angolo più buio dell'ambiente.

“Guardate”, disse pregustando lo stupore che avrebbe provocato nei suoi amici.
“Cos'è?” chiese Emilia.
“Ma è una b-o-m-b-a !” esclamarono all'unisono i maschi guardando con ammirazione l'amico.
Paolo gongolava. “Possiamo ricavarne tutta la polvere da sparo che vogliamo” disse spacciando competenza, “e possiamo divertirci a farla scoppiare sotto i piedi!”
“Si, si” risposero tutti, battendo le mani.
“Guardate, ho anche un martello e una lima per aiutarci a fare un buon lavoro” e rideva, guardando ora uno ora un altro dei suoi ammirati amici.

E fu così che un vecchio residuato bellico, forse una di quelle bombe che erano piovute sulla zona nell'ottobre del millenovecentoquarantatrè, venne posto al centro del locale.
I ragazzi, in cerchio, ne erano affascinati.
Lungo circa sessanta centimetri, aveva una forma allungata, di una decina di centimetri di diametro.
Su un lato c'era un foro tappato con un grosso bullone; Paolo provò a svitarlo con le mani, ma la ruggine e il tempo avevano fatto la loro parte nel rendere impossibile l'operazione.
Allora Paolo prese la lima e, usandola come punta, cominciò a batterci sopra con il martello.
Al primo colpo non successe nulla; al secondo, invece, l'ordigno cominciò improvvisamente a girare su se stesso, prima lentamente, poi emettendo un sibilo che cresceva via via.
I ragazzi istintivamente balzarono all'indietro, guardandosi senza sapere cosa fare.
Solo Emilia, visto un secchio poco lontano, ebbe l'intuito di prenderlo e versare sulla bomba il liquido che conteneva.
Che, per una fortuna inspiegabile o per un miracolo di qualche santo molto potente, era un'acqua sporca e melmosa bastante però ad interrompere il macabro mulinello dell'ordigno.
Tutto era finito.
Paolo fu il primo a riaversi; lanciò lontano da sé il martello e la lima che ancora aveva in mano e disse agli altri: “Potevamo morire...”

Emilia si riscosse dal ricordo che le era tornato in mente: no, non erano morti quel giorno di agosto e improvvisa le venne la voglia di rivedere quell'antica combriccola con cui aveva condiviso avventure e pericoli.

Qualche telefonata, una data concordata e un invito prontamente accettato da tutti gli altri quattro.
Il giorno dell'incontro ci furono baci, abbracci, aggiornamenti sul presente e ricordi dei bei tempi andati; si bevve, si cantò a squarciagola e si gustarono buonissime ...bombe alla crema.

Ophelja

   
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