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 La caserma
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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 29/03/2012 :  17:30:13  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
La caserma
Dall’età di un anno a quando ne compii nove, ho vissuto dentro una caserma. Infatti, mio padre era capitano d’artiglieria e gli avevano assegnato un’abitazione demaniale ubicata proprio all’interno della suddetta caserma. Vivevo liberamente all’aria aperta. A tre anni, fui in grado di scorazzare tra le aiuole piene di fiori e i viali alberati. I soldati mi proteggevano, stavano attenti a quel frugoletto che s’aggirava dappertutto. Imparai ad andare in bicicletta a quattro anni, grazie ad un soldato paziente mi sorreggeva sul sellino di una biciclettina a due ruote. A sei anni, un altro soldato mi insegnò a cavalcare giacché all’interno della caserma c’erano una scuderia e un campo ostacoli. Naturalmente io stavo seduta sul cavallo mentre il militare teneva le briglie e lo faceva procedere al passo. Imparai così a conoscere e a farmi conoscere da un cavallo bellissimo, tutto bianco e nero. Si chiamava Zurigo ed era uno splendido esemplare equino. Ricordo che si abbassava sulle zampe per permettermi di salirgli in groppa, e ogni volta che mi vedeva, emetteva un lungo nitrito di gioia.
Credo d’aver trascorso la più bella infanzia che una bambina possa desiderare.
Sempre a sei anni, fui mandata in prima elementare in un istituto vicino la caserma. Al mattino, m’accompagnava a scuola l’attendente di mio padre.
Avevo due fratelli più grandi. Essi giocavano a calcio nel campo di pallavolo e non volevano mai farmi partecipare perché era troppo piccola. Rimanevo sempre a guardare e li seguivo in tutto ciò che facevano, cercando d’imitarli. Quando si sedevano sui cannoni, anch’io cercavo di arrampicarmi e mi andavo a sedere su un cannone più basso. Naturalmente erano tutti vecchi pezzi d’Artiglieria ormai inutilizzati e inoffensivi.
Avevo imparato tutti i motivetti suonati dal trombettiere, che scandiva le varie attività della compagnia col suono della sua tromba. Al mattino, c’era la Sveglia con una musichetta allegra a scattante. Alle undici veniva suonato il motivo dell’Adunata, poi verso le dodici c’era la musichetta del Rancio quando tutti i soldati andavano al refettorio a mangiare. Alle cinque del pomeriggio, c’era il suono che avvisava il caporale di giornata di portare al comandante i soldati puniti, detti in gergo: “Consegnati”. Poi alle otto di sera, c’era il suono della Ritirata, cioè quando tutti i soldati dovevano tornare in caserma dalla libera uscita. Infine a sera inoltrata, il trombettiere eseguiva un motivo struggente: “ Il silenzio fuori ordinanza”, quando tutti i militari erano ormai nei loro dormitori.
Io sapevo canticchiare ad orecchio tutti quei motivetti.
Durante tutta la giornata c’era sempre un soldato di guardia davanti il portone principale. Tale militare restava immobile di fianco ad una garitta, che era una specie di piccola cabina di ferro. Anche di notte un soldatino doveva vegliare. La severa disciplina della caserma educava quei poveri ragazzi a sopportare con forza d’animo le angustie, le privazioni e i sacrifici della vita militare.
In Sicilia, le notti estive sono meravigliose ed un soldato di guardia avrebbe dovuto sentire tutta la poesia di una notte di luna, quando leggere brezze portano con sé il profumo della zagara, un uccello notturno cantava, nella fontana dei pesci rossi l’acqua zampillava, insomma lo scenario era denso di bellezza, ma quei poveri soldati di guardia non pensavano ad altro che alla mamma lontana, alla fidanzatina che aspettava e alle pietanze prelibate della nonna. A proposito di fontana dei pesci rossi, una volta ci caddi dentro per afferrare un pesciolino.
L’appartamento sopra il nostro era destinato al colonnello comandante. In nove anni che vissi in quella caserma, si succedettero varie famiglie di colonnelli, i quali, dopo un certo periodo di comando, venivano trasferiti.
Ci fu uno di questi comandanti che aveva una moglie molto allegra e disinibita. Il marito non si rendeva conto dei suoi facili costumi e viveva tutto dedito al lavoro. A quei tempi avevo otto anni e ricordo molti episodi riguardanti quella signora. Accettava e sollecitava le attenzioni dei giovani e simpatici tenenti e sottotenenti. Dunque il suo letto riceveva spesso le visite dei suddetti. Si chiamava Marianna ed era una gran bella donna.
Un giorno a casa della signora Marianna si trovavano alcuni giovani ufficiali. Si stavano mettendo d’accordo su chi dovesse restare a tenerle compagnia. C’ero pure io perché ero andata a trovare la figlioletta della signora.
Arrivò inaspettatamente il marito e quando vide quell’invasione, si rivolse alla moglie dicendo:
- Marianna!-
- Si caro?- rispose lei.
- Mi sbaglio o questa casa pare la succursale della caserma?-
- Sì caro-.
- E che ci fanno qui questi signori?-
- Stavo offrendo loro un tè, caro-.
- Un tè?-
- Si caro-.
- Al limone?-
- Sì caro-.
- Forse lo preferirebbero al latte-.
- Sì caro-.
- E non possono andare a prenderlo al bar del Circolo Ufficiali? Se proprio ci tieni, offro io per tutti. -
- Sì caro-.
- Bene, allora vadano e facciano segnare sul mio conto-.
E gli ufficiali uscirono di gran premura.
Quando avevo cinque anni, ricordo che in caserma c’era un soldato che sapeva andare sui pattini a rotelle in modo magistrale. Era campione nazionale della categoria giovanile. Però un giorno fu punito per aver cercato di mettere le mani sotto le mie mutandine. Stava facendo esercizi sui pattini e ricordo che mi aveva preso in braccio con la scusa di farmi volteggiare. Io scalciavo come una pazza perché non volevo essere toccata. Da lontano, un maresciallo s’accorse delle sue losche manovre e lo bloccò gridando che era un porco. Il soldato rimase per un mese nella cella di rigore. Da quel giorno mia madre mi fece portare sempre i pantaloncini lunghi.
Facevo amicizia con i figli e le figlie dei colonnelli comandanti e quando se ne andavano, provavo un gran dispiacere perché nel frattempo m’ero affezionata loro. Uno di questi si chiamava Carletto, aveva otto anni ed era un bambino bellissimo. Io ne avevo sette ed eravamo amici inseparabili. Mi raccontava i suoi segreti e faceva tutto quello che gli chiedevo. Una volta, per suscitare il mio apprezzamento, si depilò tutte le sopracciglia e venne a farsi vedere da me. Io restai basita poiché era davvero brutto e inguardabile, ma per non dispiacerlo dissi che era meraviglioso.
Quando mio padre comprò un appartamento in città, lasciammo la caserma e credo che essere sradicata da quei meravigliosi luoghi della mia infanzia fu il primo vero grande dolore della mia vita.

Gabriella Cuscinà

   
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