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 4 Favole e Racconti / Tales - Galleria artistica
 L'esuberanza triste
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Gabriella Cuscinà
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Italy
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Inserito - 15/03/2012 :  17:00:36  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà

L’antinomia è la contraddizione reale o apparente di due concetti. Ovvero, nella linguistica corrente, rappresenta una contraddizione in termini. Per cui l’esuberanza non potrebbe essere mai triste e la tristezza non potrebbe essere mai esuberante.
Bene. Eppure conobbi anni fa un ragazzo che era la rappresentazione vivente di tale antinomia. Si chiamava Claudio ed aveva circa diciotto anni. Lo avevo conosciuto in un villaggio vacanze in cui faceva l’animatore.
Familiarizzammo com’era normale poiché il ruolo e il compito degli animatori è proprio quello di socializzare subito con gli ospiti e mettersi a loro disposizione per far trascorrere piacevolmente e in allegria il soggiorno.
Era un vulcano d’idee, sempre pronto a stare tra i piedi e scherzoso al massimo.
Un po’ basso e molto magro, aveva un viso assai bello. Riccioluto, nero di capelli, con due occhi enormi e pungenti. Un sorriso dei più simpatici e accattivanti. Non stava mai fermo e rideva sempre. Parlava di continuo e pur di chiacchierare, raccontava sciocchezze e futilità. Oppure cercava di raccontare barzellette anche accorgendosi che non faceva ridere nessuno.
Claudio era una vera persecuzione. Doveva e voleva farti divertire a tutti i costi.
Te lo trovavi vicino pure nei momenti meno adatti. Cominciava a parlare e sapevi quando iniziava, ma non avresti saputo dire quando avrebbe finito.
Se mostravo di non sollazzarmi troppo, era inquieto, avrebbe fatto le capriole e i salti mortali per vedermi ridere. Tanto che a volte lo facevo per compiacerlo.
“Signora si sta divertendo?”
“Sì sì certo, mi diverto, qui tutto è piacevole.”
“Anche suo marito si diverte?”
“Oh lui poi!”
Avrei voluto dirgli che si divertiva molto di più quando non lo assillava, ma questa verità dovevo tacergliela.
“Stasera balleremo e poi giocheremo al Musichiere. Dovete partecipare! Ci vediamo nel padiglione davanti all’anfiteatro.”
“Sì Claudio non mancheremo, balleremo e giocheremo.”
Sembravamo dei condannati al divertimento! Il nostro animatore ne faceva una questione di principio: o noi ci divertivamo o ne andava del suo onore!
La mattina, a tutti i costi, dovevamo partecipare alle gare di nuoto.
Poi anche se volentieri avrei preso il sole sdraiata, mi obbligava a partecipare alle partite di pallavolo sulla sabbia. Insomma era un vero tormento!
Talora gli sorprendevo negli occhi una tristezza infinita:
“Che c’è Claudietto? Che ti è successo?”
“Oh niente signora! Ho parlato al cellulare con mia madre.”
“E perché sei triste?”
“Perché mia madre non vale niente e mi tormenta!”
Mi aveva raccontato che i suoi genitori erano divorziati. Per non vivere più con nessuno dei due, aveva preso il diploma di perito turistico e se n’era andato a lavorare lontano dalla propria città. Negli alberghi e nei villaggi vacanze lo avevano sempre assunto.
La madre lo pregava di tornare a casa e d’iscriversi all’università, ma non voleva ascoltarla. La disprezzava, attribuendole la colpa della separazione dal marito.
“E’ una stupida, ha sempre rovinato l’esistenza di mio padre.” I suoi lineamenti si contraevano quando diceva così.
Poi tornava il buontempone di sempre, ma una eterna malinconia accompagnava quel viso da adolescente.
“Claudio, telefona alla mamma; oggi è Ferragosto,” mi azzardavo a dire.
“A quella non telefono. Ho già parlato con mio padre.”
“Ma povera mamma sarà sola!” Cercavo di fare l’avvocato del diavolo.
“No, non è sola. Sta con mia sorella che è handicappata.”
A questo punto, le lacrime gli riempivano gli occhi, ma le ricacciava iniziando a raccontare un cumulo di sciocchezze. Rideva e cercava di fare il buffone.
Una volta aveva fatto uno scherzo ad un altro ragazzo del villaggio, facendogli trovare un drappello di rane nel letto.
L’amico, anch’egli animatore, si chiamava Gigi ed era altissimo e allampanato.
Insieme, formavano un bel duetto.
Una sera, dalla stanza dove dormivano, si udirono provenire delle urla sovrumane.
A quanto pare, Claudio aveva attuato il suo diabolico piano.
Accingendosi a dormire, Gigi aveva avvertito nel letto alcunché di morbido e viscido, qualcosa che si muoveva saltellando. Aveva guardato sotto le lenzuola e s’era accorto che si trattava di piccole, ripugnanti ranocchiette.
L’urlo del malcapitato aveva squarciato la serena notte lunare del villaggio!
Poi era balzato dal letto come morsicato dalla tarantola e comprendendo chi fosse l’autore del misfatto, s’era precipitato addosso all’amico, ma quello era scappato via all’istante. S’erano inseguiti per i viali alberati e recintati da magnifiche aiuole.
Claudio fuggiva come se stesse disputando la finale olimpica dei cento metri piani.
La corsa però si concluse quando inciampò e andò a finire dentro uno splendido cespuglio di rose.
“Claudio, ma che hai combinato ieri notte?” gli avevo chiesto, avendo già appreso l’accaduto. Infatti nei villaggi vacanze, le notizie volano di bocca in bocca con la velocità della luce.
“Ah, ah, ah, ah. Mi sono tutto spinato in mezzo alle rose!” aveva risposto allegro.
“E che c’è di divertente?” avevo incalzato.
“Gigi è uno scemo, signora. Gli ho messo le rane nel letto, ma ha reagito come se gli avessi rifilato una legione di diavoli!”
A tali dichiarazioni, avevo riso anch’io.
Spesso squillava il suo cellulare e lui rispondeva dicendo: “Uff! E’ quella seccatrice di mia madre!”
Poi, dopo aver ascoltato per mezzo minuto, replicava: “No mamma, non torno, non torno! E’ inutile che chiami e mi tormenti.”
Quando riponeva il telefonino, nei suoi occhi vi era tutta l’infelicità del mondo.
Subito dopo, ricominciava a fare il buffone, a correre, a preparare giochini d’intrattenimento.
“Claudio, perché non vai per qualche giorno a casa? Fai felice la mamma e poi ritorni qui a lavorare.” Mi sforzavo di fargli intendere in qualche modo le ragioni del cuore di una madre.
“Scherza signora? Non ci vado neppure morto!” Voleva dare ad intendere di odiare quella donna.
Per altro si spacciava d’essere un gran rubacuori, di avere ogni settimana una nuova ragazzina su cui aveva messo gli occhi e che spasimava per lui. Naturalmente erano tutte fantasie e vanterie insulse.
Una mattina al villaggio, Claudio non c’era più. L’aria non risuonava delle sue risate argentine e una strana calma regnava ovunque. Non lo vedevo sfrecciare a destra e a manca e chiesi a un inserviente del bar dove fosse.
“Non lo sa? Oh! E’ accaduta una cosa gravissima!” fu la preoccupante risposta.
Il cameriere aveva gli occhi bassi e un espressione funerea.
“Ch’è successo?” incalzai.
“Gli hanno telefonato che sua madre e sua sorella sono morte in un incidente d’auto!”
Sentii il cuore fermarsi per un attimo. Credo di essere rimasta senza parole o comunque d’aver detto brevi, vane frasi di cordoglio.
Adesso Claudio era ritornato dalla sua mamma. L’aveva accontentata. L’aveva fatto quando era ormai troppo tardi.


Gabriella Cuscinà

   
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