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 Lancillotto 2008
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Roberto Mahlab
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Inserito - 22/06/2008 :  21:33:52  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Nessuno sa esattamente quanti fossero i cavalieri della Tavola Rotonda, certo uno dei loro compiti era quello di salvare le fanciulle in pericolo, di liberarle dai draghi che le tenevano prigioniere negli antri oscuri e di battersi per esse in duello e nei tornei contro i pretendenti sgraditi che le volevano rapire. Uno dei cavalieri però, Lancillotto era il suo nome, esagerò nelle sue funzioni e, anzichè limitarsi a salvare le donzelle solo per la gloria, fece loro la corte, causando, tra l'altro, la fine del regno di Camelot, quando fuggì insieme a Ginevra, la sposa di re Artù, che non la prese molto bene e sparecchiò la Tavola Rotonda. E da allora gli altri cavalieri vagano attraverso i secoli, con il compito di riscattarne il buon nome e di mettersi a disposizione di tutte le donne che essi ritengono essere in difficoltà. Il mito narra di diverse disavventure, come quel cavaliere che, presa sotto braccio una fanciulla, fermava con gesto imperioso i dragoni dalle quattro ruote che sbuffavano vapore sulla via centrale della metropoli e la accompagnava all'altro lato della carreggiata e, anzichè essere ringraziato, si prendeva sulla testa delle ombrellate dato che la donzella, evidentemente timorosa della reazione dei draghi, pretendeva di non avere avuto alcuna intenzione di attraversare quella strada perchè era diretta alla panetteria sullo stesso lato del marciapiede.

Ma nessuno dei cavalieri, sparsi per il pianeta, si lasciò mai abbattere dalle incomprensioni del trascorrere delle epoche e, giorno dopo giorno, le loro galanti gesta rimasero scolpite nei versi e nella musica, nelle poesie e nelle leggende metropolitane che i menestrelli si sono sempre incaricati di tramandare.

Ed ecco la vicenda di uno dei presunti discendenti dei cavalieri della Tavola Rotonda, emulo di Lancillotto, nell'anno di grazia 2008.

La giornata di lavoro era terminata ed era giunta l'ora in cui la mia segretaria e braccio destro e sinistro e mente pensante doveva tornare a casa per allattare la sua neonata bellissima bambina, raccolse la borsa, una cartella colma di documenti, una confezione di sei bottiglie d'acqua da un litro ciascuna e un sacchetto contenente sei scatoloni di toner per fotocopiatrice che doveva trasportare all'altro ufficio. Tutto con una mano sola, nell'altra aveva il cellulare e le chiavi della macchina eppure era riuscita senza sforzo a togliere la catenella e ad aprire la porta e a premere il pulsante di chiamata dell'ascensore. Non potei fare a meno di chiederle se desiderava che le tenessi aperta l'anta, non riuscivo mai ad esimermi dall'essere utile in qualche cosa. Lei mi rispose sorridendo che non era necessario e appoggiò al pavimento il sacchetto dei toner per liberare un dito di modo da poterla aprire.

"Ti porto io il sacchetto dei toner", e non attesi risposta, non era una domanda, era una decisione. "Ma no, ce la faccio da sola", mi rispose lei, "e poi mi hai detto di avere un poco di mal di stomaco a causa delle sei barrette di Mars che ti sei mangiato, non vorrei che lo sforzo di alzare il sacchetto peggiori le tue condizioni”. Non pensate che fosse ironica, no, era sinceramente preoccupata per me, sul serio, almeno credo.

Non volli sentire ragioni e tirai su il sacchetto. Che non si staccò da terra. "Ma come facevi a tenerlo su, pesa un quintale!", osservai.
"Non è il sacchetto che pesa, sono gli uomini ad essere delle pappemolli al giorno d'oggi", ribattè lei, ma non credo che volesse ferirmi moralmente, era solo una constatazione di un momento storico in cui le donne si prendevano carico di alcune delle responsabilità, c'è chi afferma di tutte le responsabilità, che nel passato toccavano agli uomini, forti della loro prestanza e intelligenza e carattere. Almeno credo che non fosse ironica.
Finì che lei mi tenne aperta l'anta dell'ascensore, mentre io, sbuffando e sudando, riuscivo a trascinarvi dentro il sacchetto con i toner.

Probabilmente non è un caso che i fabbricanti appoggino le cartucce dei toner su fasce di resina espansa per assorbire i colpi, avranno certo previsto che quel giorno i loro prodotti scendessero gli scalini dell'ingresso uno ad uno, infatti tiravo il sacchetto, visto che non riuscivo a tenerlo su con le due mani.

"La macchina è un poco lontana, nell'altra via, nel parcheggio sotto gli alberi", mi disse allegramente la mia segretaria. "Se Cristoforo Colombo è riuscito ad attraversare l'oceano, anche io riuscirò ad attraversare la strada", ribattei in tono risoluto. Arrivai alla sua macchina diversi minuti dopo che lei aveva già aperto le portiere e messo nel bagagliaio la borsa, la cartella dei documenti e la confezione delle sei bottiglie d'acqua. "Guarda che la mia bambina deve prendere il latte a merenda e non a cena", mi disse con serietà picchiettando con un dito sul quadrante del suo orologio da polso. Sono convinto che non fosse ironica, davvero.

"Bene", proseguì, "adesso posa pure il sacchetto vicino alle altre cose, io intanto metto in moto". Ce la misi tutta, fino a che lei scese dall'auto, mi prese dalle mani il sacchetto e lo alzò senza sforzo apparente e lo sistemò nel bagagliaio. Non posso negare che dovetti riprendere fiato per alcuni lunghi secondi, appoggiandomi ansimante con la schiena ad uno dei grossi tronchi d'albero che ingentilivano il parcheggio e tenendomi le ginocchia tremolanti con le due mani. Ma ci ero riuscito, le ero stato utile, senza farlo pesare, così come si comporta un vero cavaliere della Tavola Rotonda.

Sollevai a fatica un braccio per salutarla mentre lei ingranva la marcia e l'auto si muoveva verso la carreggiata, mi sporsi per osservare se passavano altre auto e le feci segno che la via era libera. Non proprio, una utilitaria si fermò proprio davanti al muso dell'auto della mia segretaria impedendole l'uscita. Alla guida c'era una donna, aveva abbassato il finestrino, uno sguardo disperato :"questo posto si libera? E' mezz'ora che giro, sono esausta, non si trova un buco per parcheggiare in questa zona", aveva una voce dolcissima ed era la sosia di Scarlett Johanssonn, stessi capelli, stessi occhi, stesso volto. E si rivolgeva a me, come se fossi la sua ancora di salvezza, il suo salvatore, lo stesso sguardo che la mia segretaria mi aveva rivolto poco prima, quando mi ero offerto di aiutarla a portare il sacchetto dei toner.

Due donne erano una di fronte all'altra, una voleva uscire dal parcheggio, l'altra voleva entrare nel parcheggio. Ci riflettei. Mi concentrai. Ricorsi allo spirito degli antenati cavalieri della Tavola Rotonda che però dovevano salvare una fanciulla alla volta, io me ne trovavo due alla volta.

"Idea!", esclamai, "tu esci dal parcheggio, lei si sposta di qualche metro più indietro e quando tu sei uscita, lei entra". Da solo, ci ero arrivato da solo. Mi guardarono tutte e due con adorazione, non con ironia, veramente. E ascoltarono i miei saggi suggerimenti. Scarlett arretrò, la mia segretaria partì e il parcheggio si liberò per Scarlett.

Era solo l'inizio.

"E come faccio ad entrare adesso?", in effetti l'auto di Scarlett era apppoggiata in direzione parallela al marciapiede e, a meno che le ruote della sua auto potessero piegarsi di novanta gradi, non poteva salirci. "Ci penso io, non si preoccupi", le dissi, con il tono più incoraggiante che potevo trovare. Mi credette. Si fidò di me. "Mago Merlino", mormorai intanto, "non abbandonarmi, non adesso, dammi i superpoteri, come desti a Re Artù, il giorno in cui estrasse Excalibur, la spada dalla roccia". E una forza misteriosa mi entrò nell'animo.

Levai il braccio, la strada si liberò. Certo qualcuno potrebbe osservare che avvenne perchè il semaforo all'incrocio era diventato rosso e aveva bloccato il traffico nella via, ma questo non modifica il risultato. "Vada qualche metro indietro, poi giri il volante e metta l'auto a testa in avanti ed entri nel parcheggio, non si preoccupi per il traffico", penso che ormai mi adorasse, altrimenti non si comprende perchè mi diede retta, anzichè sospirare esasperata e rinunciare al parcheggio.

Ma quando arriva Mago Merlino, arriva anche il Cavaliere Nero. Il cielo si oscurò, poi si disse che la causa fosse stata una nuova pertubazione, ma la verità era che contemporaneamente un'automobile di grossa cilindrata si stava inserendo all'altro capo del parcheggio, gli occhi dell'uomo al volante avevano scorto il posto libero e il rombo del motore del bolide si mescolava al tuono del temporale incombente.

"La prego, entri nel parcheggio, adesso!", la mia voce era accorata. "Ma perchè, che succede?", si allarmò Scarlett. E come facevo a spiegarle che il cavaliere nero era in agguato e stava per premere l'acceleratore del suo mostruoso mezzo di locomozione e in men che non si dica si sarebbe lanciato dentro il parcheggio vuoto?

Sono i momenti in cui si abbassa la testa e si scopre che non ci sono alternative e lo si accetta, mi sarei volto verso il cavaliere nero e lo avrei sfidato, forse sarei stato sconfitto, infilzato dalla sua lancia, in effetti era una Lancia quell'auto, e l'agghiacciante risata del cavaliere nero avrebbe risuonato intimidendo il buon cuore dell'umanità nei secoli a venire.

"Non ci entro!", la voce di Scarlett mi fece ritornare in me, "è troppo stretto!", aveva concluso desolata, non lo dava a vedere, ma era delusa, da me.

Avrei potuto risponderle che ci stava comodamente un Suv, altro che la sua utilitaria, ma quale uomo potrebbe mettere in discussione in tal modo la parola della sosia di Scarlett Johansson?
“Va bene”, chiusi gli occhi, mi misi una mano al petto, inspirai lungamente, per far defluire in me il raggio fatato di Mago Merlino e poi, lentamente, levai le braccia verticalmente, come a spostare le auto allineate a destra e a sinistra del posto libero, poi le feci segno di avanzare, Scarlett premette sull’acceleratore e i pneumatici si bloccarono sul gradino, girando a vuoto, l’auto rimase in bilico. “E adesso? Se continuo striscerò il fondo dell’auto sul marciapiede!”, mi accorsi dal tono della voce che era allo stremo, dovevo prendere in mano la situazione che rischiava di precipitare nella tragedia. “Prema poco il pedale, venga avanti a un chilometro all’ora”, obbedì senza fiatare, riconosceva il mio ruolo, sperai che non riconoscesse i miei superpoteri, avrei dovuto fuggire e nascondermi per non diventare oggetto di esperimenti da parte degli scienziati. Come un elefante sollevato da un argano possente, le ruote aderirono sul gradino, una per volta, mi pareva che ci volesse un’eternità, ma infine tutte e quattro si ritrovarono sul selciato e la macchina si ritrovò percheggiata alla perfezione. Non mi voltai al soffio di vento che mi sfiorò le spalle, era il possente mezzo del cavaliere nero che come cavallo infuriato al galoppo si arrestò solo alla fine del lato opposto dello spiazzo.

Scarlett scese dall’auto, una curiosità infinita disegnata nei tratti del suo viso, “grazie”, bisbigliò e poi deglutì, come se cercasse di comprendere l’incomprensibile.

“Non è nulla”, abbassai gli occhi e mi diressi verso la carreggiata, deciso. Giunto dal lato opposto, mi voltai a guardarla, era sempre lì, ferma, con una mano sulla fronte, perplessa. Non sapeva, non poteva sapere di essere stata la pedina inconsapevole di una delle tante battaglie dell’infinita lotta tra il bene e il male. Per lei era finita, ma dalla nube nera che si avvicinava all’orizzonte, proprio dalla direzione verso la quale si era allontanato il cavaliere nero, sapevo che per me era appena incominciata.

Avevo deciso di andare al cinema verso sera, davano “E venne il giorno”, un film di fantascienza, mi fermai alla panetteria a comprare un sacchetto di squisite pizzette che avrebbero dovuto farmi compagnia durante la proiezione e poi mi misi in attesa dell’autobus all’angolo. Il profumo delle pizzette era invincibile e non resistetti e ne mangiai una, una sola, mi dicevo, rimangono le altre, poi ne mangiai un’altra fino a che nel sacchetto ne rimasero solo le briciole e nella mia bocca rimase un gusto delizioso. “E’ da molto che aspetta?”, una voce dolce e roca mi risvegliò dalla trance, la donna vestiva pantaloni e una maglietta tipo canotta, i tratti del corpo e del viso magri, i lunghi capelli biondi raccolti a coda di cavallo, i grossi occhiali da sole scuri non potevano nascondere che fosse la sosia perfetta di Paris Hilton.

“No, sono arrivato pochi secondi fa”, riuscii a rispondere con difficoltà, stavo masticando l’ultima pizzetta, mi accorsi che la donna mi guardava perplessa e inghiottii in fretta e mi scusai :”Mi dispiace, avevo la bocca piena”, “Oh no, mi scusi lei”, ribattè e poi estrasse un grande cellulare dalla borsetta e iniziò a pigiare nervosamente sui tasti. Trascorsero altri cinque minuti e mi accorsi che Paris controllava l’orologio e non nascondeva l’esasperazione, la rassicurai :”hanno cambiato il percorso qualche giorno fa, per questo è in ritardo”. Parve essermi grata, forse aveva solo bisogno di una voce amica che la rincuorasse. Ma dietro quegli spessi occhiali da sole neri, avvertii la disperazione. La lunga fila delle auto non si muoveva, il traffico era paralizzato, chissà dove era bloccato il mezzo pubblico, mi concentrai :”coraggio”, dissi tra me e un improbabile interlocutore, “ecco il semaforo a tre chilometri, diventa verde, forza, quell’auto in mezzo all’incrocio, spostati, avanti autista, premi l’acceleratore dell’autobus”, sapevo di non dover pretendere troppo dai poteri di Mago Merlino, la vista cominciò ad annebbiarsi, entrai in iperventilazione, ma non potevo cedere, Paris ormai camminava in cerchio e indirizzava occhiate furibonde al cielo. Soffocai un grido di dolore quando finalmente feci compiere all’autobus l’ultimo tratto e mi rilassai, il respiro ansante. “Le vorrei dare una buona notizia”, mi avvicinai alla donna, “sta arrivando l’autobus”. Si portò la mano alla fronte, spinse in avanti il volto, i suoi lineamenti passarono dalla sofferenza alla gratitudine e infine alla commozione. E io mi ero riscattato dalla brutta figura di aver parlato con la bocca piena. Lei salì dalla porta anteriore del mezzo, quella riservata alla discesa, io salii correttamente dalla porta posteriore, lei si lasciò cadere, esausta, sul sedile riservato ai disabili, io rimasi in piedi aggrappato ad una maniglia.

“Questo autobus arriva nella piazza prima del centro?”, scossi il capo a cercare da dove provenisse quella dolcissima voce, era di una donna, seduta proprio a pochi centimetri da dove ero in piedi io, volsi lo sguardo e rimasi senza fiato, era la sosia di Kate Winslet, lo stesso sorriso, gli occhi che mi trafiggevano, come vedessero in profondità. “Dovrebbe...”, cominciai a rispondere imbarazzato, “hanno cambiato il percorso la scorsa settimana e non so…”, ma che stavo facendo? “Sì”, mi riscossi all’improvviso, “certo che ci arriva”. “Grazie”, mi disse e poi il suo sguardo si fissò su un punto fuori dal finestrino laterale, si era tranquillizzata, sentiva di poter contare su qualcuno che l’avrebbe condotta a destinazione. Già, e adesso che cosa avrei fatto? Che certezza avevo che l’autobus si fermasse anche in quella piazza che, guarda caso, avrebbe fatto comodo anche a me, il cinema era a due passi. Eppure se ero capitato su quel mezzo, doveva esserci una ragione e la ragione, mi convinsi, era proprio per permettere a Kate Winslet di arrivare dove voleva. E l’autobus iniziò una gimcana, a sinistra, poi a destra sul vialone, certo qualcuno potrebbe affermare che quello fosse proprio il percorso originario, certo si trova sempre qualcuno che minimizza gli sforzi dei cavalieri della Tavola Rotonda e che pretende che le cento lance appuntite tirate a tradimento durante il torneo di Cadbury sbagliassero la mira per la fortunata circostanza di un colpo di vento inatteso. Figurarsi, il cavaliere nero semmai lo cavalca il vento, non ne viene certamente condizionato. Durante il tragitto badai a non far cadere il mio sguardo sia su Paris Hilton che su Kate Winslet, non sarebbe stato carino se si fossero accorte che le osservavo, per fortuna l’inventore degli autobus aveva previsto che il mezzo avesse quattro lati e così me ne rimanevano due liberi da sfruttare. Quando imboccammo l’ultimo vialone che portava alla piazza, non potei trattenere un sorriso di trionfo, ce l’avevo fatta, ancora trecento metri e avremmo raggiunto la fermata agognata da Kate. I freni stridettero e il mezzo pubblico si bloccò, dalla postazione dell’autista fece capolino un volto di uomo :”l’autobus si ferma qui, ho avuto istruzioni dalla centrale, dovete scendere per favore e aspettare il prossimo". Il coro di proteste dei passeggeri ebbe vita breve, l’autista aveva uno sguardo deciso e spietato. Era lui, il cavaliere nero, dietro quella divisa coglievo il suo ghigno crudele, ma perché? Perché lì e ora, per quale motivo voleva colpire e chi voleva colpire? Kate intanto mi aveva lanciato un’occhiata gelida ed era scesa, oh no, ecco l’obiettivo del cavaliere nero, la seguii giù dal mezzo pubblico, “mi dispiace”, farfugliai, ma lei evitava il mio sguardo, l’autobus con uno sbuffo dello scappamento si era allontanato. “Non serve che lei rimanga ad aspettare il successivo”, decisi di insistere con pazienza, “la piazza dove voleva arrivare è a solo trecento metri da qui, diritto”, il mio tono di voce era vicino all’implorazione. “Grazie”, rispose, ma era un tono secco, grato certo, ma non voleva darmi la soddisfazione. E si incamminò nella direzione che le avevo indicato. Che era anche la mia. E lei avrebbe senz’altro ritenuto che la volessi seguire per fini misteriosi. Una di quelle situazioni che non hanno vie di uscita. Con il rombo del tuono e il cielo che si stava rannuvolando. Il cavaliere nero aveva evidentemente già abbandonato l’autobus e si era messo a cavalcioni del temporale in avvicinamento. Un lampo, ma non era ancora il segnale della pioggia, era la lampadina che mi si era accesa nella mente, trovai la soluzione, avrei attraversato e seguito la stessa direzione di Kate, ma sul marciapiede opposto. Furono trecento metri lunghissimi, Kate e io avanzavamo paralleli, lei non vedeva me, speravo, ma io vedevo lei. E quando arrivò all’incrocio, tirai un sospiro di sollievo, non era stato facile, ma infine ero riuscito a condurla dove mi aveva chiesto.

Il vento scuoteva le fronde degli alberi quando entrai al cinema, il tabellone elettronico mostrava che tutte le sale erano quasi piene, meno una, ero l’unico a richiedere il biglietto per il film di fantascienza ed ero anche senza pizzette. Anche i cavalieri della Tavola Rotonda hanno i loro vizi.

E non fui per nulla sorpreso quando uscii dal cinema a prendere un po’ d’aria perché mancava ancora mezz’ora all’inizio della proiezione e scorsi Kate Winslet fuori, in attesa. Non potè evitare di sorridermi con gentilezza e io osservai :”meno male che non ha aspettato l’autobus successivo, chissà quando sarebbe passato e intanto avrebbe preso la pioggia, il temporale si sta per scatenare” e indicai il cielo. “E’ vero”, mormorò lei dopo una breve pausa di riflessione, consapevole che il mio suggerimento di proseguire a piedi le aveva risparmiato una gelida doccia. Ed era proprio per quel motivo che le avevo dato quel suggerimento, appena mi ero reso conto che l’autista del mezzo non era altro che il perfido cavaliere nero. Alzai gli occhi al cielo gonfio di pioggia, dando modo a Kate di pensare che avessi voluto sfidarlo per lei, ma speravo in cuor mio che il cavaliere nero non se accorgesse, non è che cerco proprio guai.
Non volevo imbarazzare oltre Kate e rientrai nel cinema, presto sarebbero arrivati i suoi amici e il dubbio che certo si era intrufolato nel suo animo sarebbe stato accantonato. Dovevo stare attento, farmi scoprire avrebbe potuto riportare l’attenzione degli abitanti del pianeta verso gli avvenimenti del passato, avrei messo in pericolo tutti gli altri cavalieri della Tavola Rotonda che agivano in incognito, noi non desideriamo che avvenga, Mago Merlino ci fulminerebbe.

Mi volsi un’ultima volta verso la vetrata di ingresso, Kate non c’era più, evidentemente i suoi amici erano arrivati ed erano tutti insieme entrati nella sala del film che avevano prenotato. Il portone del cinema cigolava sotto la pressione del vento e della pioggia. Cigolava perché il cavaliere nero cercava di entrare, ma non ci riusciva, nessuno può superare una piccola porta di un cinema portandosi dietro milioni di metri cubi di nubi cariche di acqua. E’ la sorte dei malvagi, a volte le fanno così grosse che si fanno male da soli, per fortuna di noi cavalieri della Tavola Rotonda.

“Aiutami, salvami”, le angosciose parole di Zooey Deschanel, la protagonista femminile del film di fantascienza, parevano rivolte proprio a me, del resto ero l’unico spettatore. “No Zooey, mi dispiace, è solo un film, io salvo le fanciulle in pericolo nella vita reale, fatti salvare da Mark Wahlberg, lo scienziato che ha compreso la sorgente del virus”. E le ciglia degli occhioni blu della bellissima attrice hanno tremolato per qualche istante e poi, tristemente, si sono rivolti verso il protagonista maschile della pellicola. Ci manca che debba salvare anche le ragazze sullo schermo adesso, so distinguere la fantasia dalla realtà.

Pioveva a dirotto quando uscii dal cinema, fiumi avevano invaso le strade, le auto rallentavano respinte dalle profonde pozze d'acqua, i marciapiedi erano quasi deserti, solo pochissimi passanti, sorpresi dal temporale e inzuppati, correvano a casa, io avevo l'ombrello pieghevole nella tasca della giacca, era una precauzione che mi accompagnava dall'inizio di questa primavera strana, una delle più fredde e piovose da decine di anni a questa parte, i meteorologi davano la colpa alle correnti oceaniche, come se volessero trascurare apposta le gesta del cavaliere nero. In effetti, riflettei, come possono sapere che il vendicativo cavaliere nero è ricomparso, alla caccia dei discendenti dei cavalieri della Tavola Rotonda. Rabbrividii e mi dispiacque che l'umanità soffrisse a causa di vicende delle quali non aveva neppure notizia.

Una figura esile alla fermata dell'autobus, era una donna, riparata da un piccolo ombrello, il mezzo pubblico sopraggiunse e si arrestò di fronte a lei. Un raggio di luce dei fari le illuminò il viso e riconobbi la sosia di Halle Berry, proprio fatta e finita. Per salire sul primo gradino dell'autobus dovette chiudere l'ombrello, il cielo plumbeo non aspettava altro che quel momento per scaricarle addosso secchiate d'acqua, fui velocissimo, rimanendo alle sue spalle le avvicinai al capo il mio parapioggia, non se ne accorse neppure, fino a che fu del tutto salita sul mezzo.

L'autobus non ripartì subito, l'autista, la cui figura potevo appena intravedere dietro i vetri appannati e il tergicristallo in funzione, mi fece segno con la mano, se volevo salire. Una risata amara nel mio animo, era una storia vecchia, se fossi salito, il cavaliere nero avrebbe fermato il mezzo prima di giungere a destinazione, facendo scendere i passeggeri e anche la povera Halle Berry. No, scossi il capo e mi volsi, incamminandomi sotto la pioggia, nel buio della notte, verso casa, era stata una giornata colma di eventi, di battaglie, era giunta l'ora di una tregua e Halle Berry non sarebbe stata una nuova vittima dell'eterna lotta tra il bene e il male.

Il mattino dopo, in ufficio, tralasciando le informazioni sui cavalieri della Tavola Rotonda e sul cavaliere nero, raccontai alla mia segretaria e braccio destro e sinistro e mente pensante tutte le avventure della sera prima, lei ascoltò con attenzione mentre rispondeva a due telefoni contemporaneamente, digitava dati sul computer, inseriva documenti nella fotocopiatrice e inviava un fax.

"E...?", disse solo, dopo che ebbi terminato di parlare.
"Come sarebbe... e...?", ribattei senza comprendere.
"Quattro donne sosia di bellissime attrici, tu le hai tratte d'impaccio, e almeno hai chiesto loro il numero di telefono?", aggiunse esasperata.

Abbassai il capo, senza parole, che potevo replicare, che da quando Lancillotto disonorò il buon nome dei cavalieri della Tavola Rotonda, i suoi discendenti non devono approfittare dei loro poteri e limitarsi solamente a salvare le fanciulle in pericolo? Le dovevo raccontare le raccomandazioni del Mago Merlino e che se non le avessimo seguite ci avrebbe polverizzato con una saetta?

Batman, Hulk, i Fantastici Quattro, l'Uomo Ragno, Ironman e io, i discendenti dei cavalieri della Tavola Rotonda, dispersi da secoli e secoli sul pianeta, le nostre gesta disperate per proteggere la gente dalle odiose azioni del cavaliere nero che perseguità l'umanità.

"Ho lasciato in macchina un cartone con cinque risme di carta per la fotocopiatrice", disse la mia segretaria alla fine della giornata lavorativa, scendo a prenderle e le porto su, prima di tornare a casa.
"Ma figurati, scendo io con te e le prendo io, così puoi tornare a casa a sfamare la tua bimba".
"Sicuro?", mi chiese dubbiosa, "è pesante".
Sorrisi, come a dire che non c'era davvero problema.
Scendemmo insieme, aprì la sua auto, tirò su il cartone e me lo posò vicino ai piedi, dentro il portone. "Allora io vado, lo porti su tu", "Certo, non preoccuparti", la rassicurai ancora. Partì. Non ci provai neppure, era pesante solo a guardarla quella scatola.

Mi sedetti sulle scale, era venerdì, avevo tempo fino al lunedì successivo per risolvere il problema. All'improvviso mi venne l'idea più ovvia. Scostai il coperchio del cartone, scartai una risma, raccolsi uno dei fogli, mi diressi all'ascensore, salii fino all'ufficio, depositai il foglio sulla scrivania. E così feci per tutti e duemilacinquecento fogli, cinquecento per ognuna delle cinque risme e poi portai su il cartone stesso. In ufficio rimisi i fogli, uno per volta, nelle confezioni originali e riposi il coperchio sul cartone. E avevo ancora sette ore di tempo per riposarmi fino al mattino del lunedì.

Ieri sera sono stato di nuovo al cinema, a vedere il film tratto dalle nuove avventure del mio collega, Hulk. Gli spettatori ridevano, applaudivano, si commuovevano. L'attore che interpetava il ruolo del supereroe era bravo. Mi tornò in mente quella volta a Nottingham, appena prima del disastro provocato da Lancillotto, quando Hulk, quello vero, e io... ma è inutile abbandonarsi alla nostalgia, quello che è accaduto, è accaduto. Quello che conta è che noi ci siamo ancora, sempre.

Roberto Mahlab

   
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