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 Indiana Rob e il treno per Omegna
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Roberto Mahlab
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Inserito - 26/05/2008 :  21:17:08  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Ieri pomeriggio mia nipotina mi ha precettato per l'onore e il piacere di accompagnarla al cinema a vedere "Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo", aveva due biglietti di invito gratuiti di cui usufruire, mi sono sdebitato ovviamente con patatine e coca cola. Per due ore siamo stati avvinti dalle avventure di Harrison Ford tra extraterrestri e guerrieri maya, tra formiche rosse giganti e sabbie mobili, tra traditori avidi di ricchezze e spietati agenti sovietici. Un film primo negli incassi in tutto il mondo e di divertimento assicurato.
Siamo usciti sospirando dal desiderio di essere protagonisti di tante avventure e concludendo che in effetti forse c'era qualche scena inverosimile.

Eppure il giorno seguente fui smentito, la realtà supera sempre la fantasia.

La mia segretaria, mio braccio destro e sinistro e mente pensante, mi aveva fissato un appuntamento con un cliente della cittadina di Omegna, non lontana da Domodossola, l'estremo nord del nostro paese, ai piedi delle Alpi. Sveglia alle cinque, la metropolitana non funziona prima delle sei, dunque un taxi per la stazione. Il cielo è carico di nere nubi e minaccia tempesta.
A quell'ora la biglietteria ferroviaria è ancora chiusa e ci si deve arrangiare con le macchinette elettroniche, la rapida trafila sullo schermo per scegliere la destinazione, dieci euro nell'apposita fessura, il biglietto costa sei euro e quaranta, il solito rassicurante tintinnio delle monete di resto che scendono insieme al biglietto. Il mio orecchio allenato, abituato a riconoscere il taglio di una banconota che cade su un letto di piume durante l'esibizione di un complesso rock a tremila decibel, calcola in fretta che ne sono cadute solo due di monete e anche di peso ridotto. Sospetto confermato dal senso della vista, ci sono solo due monetine da cinque centesimi, mancano tre euro e cinquanta centesimi. Ho due possibilità a questo punto : o crollare per terra urlando di disperazione per una perdita finanziaria che potrebbe farmi finire sotto un ponte in un rigido inverno a rosolare una suola di scarpa come unico cibo, oppure mettermi nei panni di un cittadino indignato contro le macchine che prendono possesso della nostra vita.

Mi rendo contro che sono atteggiamenti inutili, seppur comprensibili, non c'è un pubblico, non è un film, è la vita reale, sono solo in una stazione vuota all'alba. Attendo così il risveglio dell'umanità, dato che tanto il mio treno parte solo alle sei e trenta, fino a che compaiono i primi funzionari delle ferrovie ai quali sottopongo il problema e che rispondono chi indicandomi l'ufficio assistenza clienti, chi la cassa. Osservo che sono tutte e due chiusi e mi suggeriscono di partire tranquillo e di richiedere il mancato resto al ritorno.
Si avvicina anche un poliziotto che gentilmente mi informa che quella particolare macchinetta, quella che proprio ho scelto tra le decine presenti nella stazione, viene sovente saltata dagli addetti al riempimento delle monete che servono per dare il resto ai clienti. Sono riuscito a scegliere proprio quella.

Mi metto l'anima in pace e salgo sul treno, un viaggio idilliaco che mi riappacifica con il mondo, il lago Maggiore e le Alpi fanno capolino dalla grande vetrata della carrozza, un cielo scuro e una pioggia battente all'esterno. In perfetto orario il treno arriva alla stazione di Cuzzago, dove è previsto il cambio sul regionale per Omegna, solo tre fermate e un quarto d'ora di tempo.
Scende dal treno anche un signore elegantemente vestito con un abito chiaro e sportivo, il volto allegro e il sorriso aperto e una donna di cui riesco a sbirciare solo l'impermeabile chiaro perchè si mette a correre e sparisce rapidamente gettandosi apparentemente tra gli alberi attorno, probabilmente Cuzzago era la sua destinazione finale. Siamo sul binario due, ci sono solo due binari, non c'è un sottopassaggio, li attraversiamo con cautela per portarci verso l'ingresso della stazione, con la ovvia supposizione che il secondo treno si fermerà sul binario uno. Si tratta di attendere per poco più di un quarto d'ora la coincidenza. La stazione di Cuzzago risiede su una collinetta, attorno c'è un fitto bosco, la strada statale è lontana cinquecento metri, la sala del capostazione è illuminata da una lampadina senza lampadario, deserta, chiusa a chiave, dai vetri si intravede su un lungo tavolo una fila di cappelli di diversi colori e con diverse mostrine, una specie di storico museo di copricapi dei capostazione che si sono succeduti. Di cui non c'è traccia. Dalla finestra di una saletta a fianco, pure con la porta chiusa a chiave, si vedono un quadro posato sul pavimento e una serie di cavi che vagano liberi tra alcune macerie di mattoni. La pioggia è sempre più fitta. C'è una specie di piccola sala di attesa per proteggersi dalla furia degli elementi, su un muro della stanza un cartellone con la lista delle partenze, il corrispondente cartello con la lista degli arrivi non c'è. Binario uno, arriverà lì il nostro treno per Omegna, così è scritto, alle otto e trenta.

Siamo sul binario uno. Sentiamo in lontananza il risucchio d'aria di un treno in avvicinamento ad alta velocità, ci passa di fronte sfrecciando a cento all'ora e rimaniamo così, fissi e immobili, colpiti dall'onda d'aria di ritorno, incapaci di comprendere perchè non si sia fermato. Il signore in abiti sportivi riesce a riaversi per primo, suggerisce che si sia trattato di un direttissimo che ha superato il nostro treno che certamente era in ritardo dalla stazione di partenza che si trova a pochi chilometri dalla stazione nella quale ci troviamo. Passa un quarto d'ora e ci rendiamo conto che non è possibile che un treno abbia più ritardo di quanto impiegherebbe un pedone dalla stazione di partenza a quella di Cuzzago. Piove sempre più forte. Il signore vestito sportivo si mette a inveire contro le ferrovie, dice di essere un giornalista e che l'indomani scriverà un pezzo furente sui ritardi dei treni.

Passa un altro quarto d'ora e si rende conto anche lui che, se rimaniamo isolati dalla civiltà, non esisterà un domani in cui scrivere. Adocchio un foglio appiccicato sull'interno del vetro della finestra della stanza chiusa del capostazione mancante, sono indicati una serie di numeri di telefono di emergenza. Il giornalista estrae il suo cellulare di ultima generazione e inizia a comporre un numero dopo l'altro, fino a che, dopo aver scoperto che buona parte di essi sono intestati a cittadini che non hanno nulla a che fare con le ferrovie, riesce a collegarsi con un centro di servizi che smista la chiamata ad un centro operativo. Osservo lo sguardo del giornalista farsi terreo mentre ascolta la risposta del funzionario a cui ha fatto presente la situazione di due passeggeri isolati in una stazione lontana dalla civiltà dove non c'è nè anima viva nè un treno all'orizzonte. Chiude di scatto il cellulare quasi gridando :"dicono che non è vero, che non siamo qui, che non diciamo la verità, che il treno è arrivato e si è fermato!".

Torno al foglietto e gli detto altre sequenze di emergenza, dal sindaco al prefetto, dalla polizia ferroviaria ai vigili urbani, i nostri due cellulari diventano un centro di ricevimento di chiamate da parte di un numero impressionante di servizi statali, dalla sede operativa nazionale delle ferrovie ci informano che anche le registrazioni computerizzate garantiscono che il treno è passato e si è regolarmente fermato alla stazione di Cuzzago. Rispondiamo accusando i nostri interlocutori di essere dei marziani che hanno invaso la terra, perchè le loro asserzioni sono pura fantasia e facciamo presente che comunque abbiamo bisogno che ci tirino fuori da lì. Chiedere alla burocrazia di salvare un cittadino è come chiedere a me di rinunciare a divorare le squisite pizzette di cui faccio incetta ogni giorno presso il mio panettiere preferito. Fino a che un funzionario prende il telefono dall'altra parte e mi dice :"siete sul binario sbagliato".

"Come sarebbe che siamo sul binario sbagliato? Qui ci sono due binari, il cartello delle partenze dice che il nostro treno si sarebbe dovuto fermare al binario uno, davanti a noi c'è il segnale che riporta che siamo sul binario uno e non si è fermato alcun treno", rispondo con tono sorpreso.

"Nella stazione di Cuzzago c'è solo un binario, non ce ne sono due", ribatte la voce all'altro capo del cellulare.

Il giornalista pregusta l'articolo di fondo che avrebbe fatto comparire sul suo quotidiano l'indomani, due cittadini sperduti in una stazione isolata con due binari e il funzionario delle ferrovie che tenta di convincerli che il binario è solo uno, ci viene il dubbio che pensi che siamo ubriachi e che vediamo doppio.

"Appena usciamo di qui, vi denunciamo", possiamo solo affermare all'unisono.

"Fate quello che ritenete giusto, arrivederci", rispondono.

"Siamo finiti in un mondo parallelo", spiego con convinzione al giornalista, "e dobbiamo esplorarlo", proseguo. Vedo nel suo sguardo il desiderio di incenerirmi, ma io non posso essere il capro espiatorio di una realtà che la sua mente razionale non riesce a concepire.

Sotto la pioggia sempre più fitta, mi allontano verso la fine della banchina, devo scostare parecchi rami carichi di foglie, mi guardo attorno ma c'è solo un fitto bosco, rilascio uno dei rami e sento un suono come se avesse sbattuto contro una superficie rigida.
Mi volto.
Un cartello. Una indicazione di scalinata, un cerchio con al centro l'indicazione di "binario uno", verso il basso.

"Ci sono due binari uno", torno indietro a riferire al giornalista, intento a telefonare a tutti coloro che conosce per diffondere quanto sta accadendo. Due profughi sperduti e abbandonati dall'umanità dopo aver preso un treno per il nulla, quella luce sinistra della lampadina appesa al soffitto della sala deserta del capostazione, la fila di cappelli che ci osservano beffardi.

Comincio a tremare dal freddo, ho fame. Quanto potremo resistere ancora? E' passata solo mezz'ora dalla discesa in quella stazione, ancora dodici ore e verrà buio, gli extraterrestri che hanno conquistato la Terra non manderanno mai i soccorsi. Il giornalista e io siamo gli unici ad aver compreso quanto sta accadendo al pianeta, non vorranno certo lasciare testimoni.

"Meglio rischiare il tutto per tutto", insisto con il compagno di sventura, "andiamo a vedere che cosa c'è al di là degli alberi, scendiamo quella scalinata". Mi osserva con orrore, il suo abito di tweed da mille euro mostra giù i primi segni dell'umidità, infine comprende che non ha altra scelta che seguirmi. Scostiamo i rami, affrontiamo con prudenza gli scalini resi viscidi dalla pioggia sempre più battente, ci ritroviamo in un largo canalone, le nostre scarpe affondano nella fanghiglia, il giornalista mi supera, la sua curiosità professionale prende il sopravvento, avanziamo faticosamente per cento metri, ormai fradici, scorgiamo una stradina buia, la seguiamo per altri cento metri e ci ritroviamo all'improvviso di fronte ad una visione inattesa e sconvolgente.

Una seconda stazione avvolta dalla foschia, i muri diroccati e cadenti, le porte sprangate, ma di fronte c'è un binario, quel binario, ecco perchè alla centrale operativa insistevano che alla stazione di Cuzzago c'era un solo binario. Le stazioni di Cuzzago erano due, una principale nella quale eravamo scesi e una secondaria, da raggiungere con un canotto e l'attrezzatura da trekking nelle giornate piovose.
"Non lo sanno, non lo possono sapere, non ci hanno mai messo piede in questa stazione gli addetti della centrale operativa, vedono tutto dallo schermo del computer e a loro appare una stazione sola con un binario solo", esclamo rivolto al giornalista che ha già fatto dietro front verso la scalinata. Comunque sia, la seconda stazione non è raggiungibile e, se anche la raggiungessimo, ormai non ci sarebbe passato alcun treno fino al pomeriggio.

Ci ripariamo nella disastrata sala d'attesa, un raggio di luce mi permette di osservare meglio il cartellone delle partenze, tutto storto sulla parete, per questo non avevo notato l'indicazione che alle nove e quarantotto era previsto un autobus per Omegna.
"Io non ci vengo", grida il giornalista con tono testardo, "io non mi muovo da qui fino a che qualcuno viene a prenderci, non cedo, non è possibile, devono rispettare i nostri diritti di cittadini".

"Non verrà nessuno", gli spiego con calma e poi taccio, fino a che la consapevolezza si affaccia nel suo animo e mi segue alla porta della stazione che si affaccia su di una piazzuola asfaltata. "Neppure qui c'è anima viva", osserva sconsolato.
"Arriverà, c'è scritto sul cartello", continuo, "non possono essersi inventato anche l'autobus, i marziani", mi guarda storto, forse è ancora davvero convinto che tutto quanto ci è accaduto sia dovuto al caso.

Passate le nove e quarantotto devo arrendermi anche io all'evidenza, non passerà nessun autobus e non serve telefonare alla sala operativa delle ferrovie nazionali, come minimo stavolta ci informeranno che siamo sul pianeta sbagliato.

Delle voci dal binario dove ci trovavamo poco prima, un uomo e una donna, biondissimi, quasi albini, due pesanti zaini sulle spalle, non è assolutamente possibile che siano arrivati lì senza che ce ne accorgessimo, c'è una sola porta di ingresso nella stazione e noi ne eravamo appena usciti. Si voltano verso di me, sileziosi e sorridenti. Adesso mi sbriciolano con un raggio laser, penso. Devo cercare di farmeli amici, rifletto. "Andate a Milano?", chiedo. Annuiscono. Mi rabbuio e corro verso il cartello stropicciato delle partenze, leggo che alle nove e cinquantotto arriva un treno diretto verso Milano, la mia stazione di partenza quella mattina, una vita fa, mi appare.

"Presto, torni qui", grido al giornalista, "ci sono delle persone che aspettano un treno per Milano, prendiamolo, torniamo indietro".

"No", mi risponde con il capo chino e la voce ridotta ad un sussurro, "io mi incammino verso il paese là in basso, prima o poi arriverò ad un locale e chiamerò un taxi" e si allontanò deciso.

"Ma vuole scherzare? Dovrà camminare per miglia, non c'è anima viva attorno, la prego...", era sparito, ingoiato dalla nebbia tra il fitto del bosco.

Intanto un treno era sopraggiunto senza rumore, al binario uno, i due stranieri stavano salendo, lentamente, come se mi attendessero, non avevo scelta, non potevo rimanere lì per sempre, in quel luogo che non era un luogo, in un nulla che non era riconosciuto neppure dalla centrale operativa computerizzata delle ferrovie nazionali, sotto la pioggia, la lampadina accesa della sala del capotreno deserta che oscillava spinta da un soffio di cui non avevo alcuna intenzione di scoprire l'origine. Salii.

Un controllore, dovevo cercarlo al più presto, non avevo il biglietto evidentemente, dove avrei potuto compare un biglietto per quel treno di ritorno alla civiltà, "avete visto per caso il controllore", gridai dietro ai due stranieri che stavano attraversando la porta di congiunzione tra due scompartimenti. Li rincorsi, non c'era nessuno dall'altra parte. Non c'era nessuno sul treno.

Con il respiro ansante avanzai, scompartimento dopo scompartimento, porta di comunicazione dopo porta di comunicazione, fino a che arrivai all'ultima, quella che unisce la locomotiva e il primo vagone separati dall'aria, collegati solo da una pensilina. Avrei dovuto saltare nel vuoto, ma ormai avevo superato ogni paura, gli avvenimenti più assurdi mi sembravano normali.

"Buon giorno", appena scostata la porta di comunicazione, il sorriso caldo di una divisa da controllore delle ferrovie.
"Mi dispiace", esclamai confuso, "non ho il biglietto, vorrei comprarlo per favore, sono salito a Cuzzago, non c'era la biglietteria, non c'era il capostazione, non c'erano treni, non c'era l'autobus, c'erano altre persone che sono rimaste lì, che fine avranno fatto? io sono salito su questo treno per tornare a casa", dissi tutte queste frasi una dopo l'altra in pochi secondi, il cuore in gola.

"Non si preoccupi", mi rispose con voce calma e rassicurante il controllore, "si sieda pure, non ha bisogno di un biglietto, anzi, le porgo le scuse delle ferrovie per quanto le è capitato". Rimango senza parole, quasi spinto da una forza esterna mi siedo nel primo scompartimento, non so neppure come mi sono ritrovato lì. "Ma se arriva un altro controllore...", ascolto la mia voce chiedere.
"Non ci sarà un altro controllore, ci sono solo io su questo treno, fino all'arrivo", sento una voce lontana rassicurarmi.

Alle fermate successive salgono molte persone, in stazioni normali, gente normale che riempie il treno. I miei pensieri sono rivolti al prossimo viaggio, dovrò pur tornare dal cliente che oggi ho mancato, dovrò spiegargli, anzi, chiamo sul cellulare la mia segretaria e le chiedo di contattarlo e di scusarmi. Mi richiama pochi minuti dopo, perplessa :"il cliente si è meravigliato, esiste un altro tragitto per raggiungere Omegna".
Sudo freddo e ribatto :"non è possibile, la macchinetta elettronica alla stazione ha mostrato sullo schermo solo questo tragitto e da essa è uscito il biglietto con la fermata a Cuzzago e poi il treno di collegamento per Omegna", ho il biglietto lì, davanti ai miei occhi, c'è scritto proprio 'Omegna via Cuzzago', me lo ha dato la macchinetta, insisto, quella macchinetta che stamattina all'alba, con la biglietteria chiusa, con l'ufficio assistenza clienti chiuso, mi ha soffiato il resto... ", smetto, troppo assurdo, avverto la sensazione che la mia segretaria non mi segua più e, in effetti, mi rendo conto che neppure io crederei a quanto sto spiegando. Ma che cosa è successo dal momento in cui ho digitato il nome "Omegna" sulla tastiera di quella macchina? Perchè è avvenuta quella sequenza di avvenimenti strani? E chi era il giornalista? Dove è finito? E la donna che è corsa giù dal treno all'andata ed è sparita nel bosco? E i due turisti albini comparsi dal nulla? E il controllore che pareva sapesse tutto e mi ha tranquillizzato, anzi, direi ipnotizzato? E perchè da quella stazione non si può procedere oltre? Una stazione con due binari uno? Uno per il nulla e uno per il ritorno?

Piove quando arriviamo alla stazione di Milano, è quasi mezzogiorno, scendo tra la gente, vedo che l'ufficio dell'assistenza clienti è aperto, entro, c'è una signora davanti a me, con una carrozzina, un bambino addomentato, mostra all'addetto un biglietto strappato, dice di averlo inserito nella macchinetta di fronte alla biglietteria per poterlo timbrare, la mia stessa macchinetta, e la macchinetta lo ha strappato, come se lo avesse morso, un pezzo era venuto via. L'addetto prende il biglietto strappato, ma dice alla donna che non è possibile, che è stata lei a strapparlo, che le macchine non strappano i biglietti, la donna si offende, lo guarda con sufficienza, è molto bella e l'uomo si intimidisce, timbra il biglietto e glielo riconsegna e la donna con la carrozzina esce senza una parola.

Le macchine non si comportano così, le ha davvero detto questo. Strano, che bisogno aveva di pronunciare quella frase e proprio quando mi ha visto entrare nell'ufficio, era una sceneggiata predisposta per me? E quel bambino così tranquillo.

"Mi dica", mi chiede. Non entro nei dettagli, inizio dal resto mancato e poi spiego della stazione deserta. Preme qualche tasto del suo computer e mi risponde che non è possibile che io sia sceso alla stazione di Cuzzago per salire sulla coincidenza per Omegna, il suo schermo indica che la stazione di scambio era Premosello. Con voce atona gli spiego che c'erano altre persone, una donna, un giornalista, che chissà dove era finito, gli mostro che sul biglietto c'era scritto "Omegna via Cuzzago".

Mi osserva pensoso, si alza, sospira, apre un cassetto, ne estrae un foglio :"ecco, riempia questo modulo di richiesta di rimborso, me lo riporti più tardi però, adesso devo andare". E si dirige frettoloso verso la porta dell'ufficio, devo inseguirlo per non rimanere chiuso dentro, gira la chiave e sparisce. Non mi pongo neppure più domande. Devono negare evidentemente, da qualche parte è comparso un buco di sistema, ci sono caduto dentro, sono finito in un'altra dimensione, me ne hanno fatto uscire e adesso negano, ma certo, due binari numero uno, esistono tutti e due, in due dimensioni diverse.

Come preso da febbre, cammino fino verso la biglietteria, per richiedere indietro il resto che la macchinetta non mi dato al mattino, le passo davanti, adesso emette biglietti e monete a tutti i viaggiatori che la stanno usando, sono convinto che l'addetta non mi ascolterà neppure, aspetto il mio turno e mi avvicino allo sportello, non faccio in tempo a pronunciare parola, la donna quasi mi strappa il biglietto dalle mani, lo consegna ad un uomo dietro di lei, quest'ultimo lo prende e digita su una tastiera, poi prende un libretto di ricevute, ne compila una, apre un cassetto e mi porge i tre euro e cinquanta di resto che mancavano, poi chiede alla persona in coda dietro di me di venire pure avanti.

Perchè? Mi chiedo, perchè mi hanno restituito quei soldi senza nulla dire e nulla chiedere? E quella ricevuta senza copia per me, l'hanno compilata e tenuta. Ora ho i soldi, non esiste più traccia di quanto accaduto in mattinata. Non è esistita nessuna macchinetta che non mi ha dato il resto corretto, non esiste più un resto.

Esco dalla stazione di Milano, confuso, la pioggia onnipresente, il modulo di richiesta di rimborso in mano, osservo le varie sezioni da riempire, mi rendo conto che mi chiederanno come mai il biglietto di andata non è stato obliterato da un controllore, mi ricordo che non era passato alcun controllore all'andata, diranno che non sono mai partito, mi chiederanno la prova del biglietto di ritorno a Milano, non ho un biglietto di ritorno, il controllore mi ha detto di sedermi e di stare tranquillo. Nessuna traccia, abilissimi, geniali, hanno chiuso ogni porta che possa condurre a loro, all'altra dimensione.

Sono seduto al mio computer adesso, ho il modulo sulla scrivania davanti a me, cerco di convincermi che data l'esigua cifra del costo del viaggio di andata, mi costerebbe più in tempo compilare la richiesta di rimborso di quanto sia il valore che recupererei, è strano, come se una forza dentro di me volesse distogliermi anche da quell'ultima azione che mi collegherebbe a quella misteriosa stazione.
Davvero, ormai sono convinto, non ne vale la pena. Il mio sguardo vola fuori dalla grande finestra dell'ufficio, sono calate le ombre della sera, il cielo si è rasserenato, piccole nubi di aspetto soffice come lana di pecora qua e là, tocchi di bianco su una tavolozza azzurra.

Quei biglietti omaggio per il cinema di ieri, le imprese di Indiana Jones tra gli extraterrestri e gli agenti del Kgb, tra le formiche rosse giganti e i tuffi dalle cascate, presenze inquietanti che alla fine del film scompaiono, scompare la città segreta, scompare l'altra dimesione.

Quei biglietti gratis avevano richiesto un pagamento alla fine, soprendente, la stessa cifra che avevo pagato per quel biglietto per una stazione dai binari misteriosi. Ieri ero entrato gratis nel mondo di Indiana Jones e oggi avevo dovuto pagare il corrispondente per uscirne, per ripristinare l'equilibrio dell'universo sfuggito al controllo.

Riuscirò a tornarci prima o poi, io, Indiana Rob.

Roberto Mahlab

   
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