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 Scusi, dov'è la luna?
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Roberto Mahlab
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Inserito - 17/09/2007 :  18:06:56  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Non mi ero accorto del passare del tempo, seduto sulla panchina al parco sotto i pini una sera di fine estate e il buio era calato all'improvviso, proprio non riuscivo più a distinguere le lettere e, sospirando, dovetti decidermi a tornare a casa. La mente impegnata a pensare a quanto avevo letto e le mani tenevano stretti al petto i due libri che mi ero portato dietro, "La rivolta di Atlantide" di Ayn Rand e il volume di vignette di politica internazionale dei disegnatori americani Cox&Forkum. Camminavo senza accorgermi della distanza che stavo percorrendo, mi era venuta fame, mi sarei fermato alla pasticceria e avrei comprato un sacchetto delle loro deliziose pizzette, all'incrocio il semaforo era rosso, intravidi un'auto che proveniva dalla carreggiata opposta, puntava diritta verso di me, nel punto in cui mi trovavo fermo non c'era un parcheggio, osservai perplesso il tragitto del veicolo, mi si arrestò di fianco, il finestrino abbassato e una voce soffice di una ragazza mi domandò :"mi scusi, da che parte è la stazione centrale?".

Se fosse stato un mestiere, avrei avuto una folgorante carriera internazionale, mi accadeva dovunque andassi, più volte al giorno, per esempio a Zermatt, l'ultimo tratto della funivia per il Piccolo Cervino, una comitiva intera di giapponesi, vestiti come se fosse estate, era l'alba, non c'era anima viva attorno, mi si avvicinarono e mi chiesero da che parte era la montagna, indicai loro la porta della cabina.
Li rividi al villaggio a fine mattinata, uno di loro si portava sulle spalle una bombola ad ossigeno perchè probabilmente non si era reso conto che a quattromila metri non era il caso di mettersi a correre, una ragazzina con pantaloncini al ginocchio e maglietta a maniche corte e dalla pelle tutta arrossata stava ancora tremando, nessuno aveva detto loro che sul Cervino in inverno la temperatura era più bassa che al centro di Tokio a ferragosto?

Da Londra a Parigi, da Monaco a Tel Aviv, da New York a Hong Kong, da Singapore a Barcellona, nel tempo libero dal lavoro attorno al mondo amavo andare a spasso per le metropoli a piedi, per ore e ore, a scoprire monumenti e musei e sempre incontravo famiglie, turisti, persone di tutte le origini che mi fermavano per strada per chiedermi indicazioni su come raggiungere i monumenti e i musei che avevo appena visitato, come mi riconoscessero ogni volta quale abitante del luogo.
A Kuala Lumpur questa estate stavo tornando dalle Twin Towers quando fui avvicinato da una coppia di europei che mi domandarono proprio come raggiungerle, rimasi di stucco, le due torri, tra i monumenti più alti del pianeta, erano alle mie spalle, forse così incombenti che non se ne erano accorti. Spiegai loro che dovevano proseguire diritto e ci sarebbero finiti davanti. Poi però li seguii, ero preoccupato, dovevano fare attenzione al semaforo che rimaneva verde solo per dieci secondi per i pedoni, prima di attraversare la via laterale dovevano guardare bene e nella direzione giusta, opposta a quella solita europea, che non arrivasse a tutta velocità la Mercedes guidata dal signore cinese che aveva fretta, insomma, mi sentivo responsabile. Così tante volte ripercorrevo a ritroso gli itinerari per accompagnare chiunque mi chiedesse indicazioni, tanto per essere sicuro che ci arrivasse.

Succedeva anche in circostanze meno esotiche, al supermercato ad esempio, la signora che mi ferma in una corsia per chiedermi dove erano le confezioni per cibo per gatti e io le indicavo il percorso e poi la seguivo per verificare che avesse capito bene.
La ragione di tale preoccupazione deriva da un episodio in cui mi accorsi, solo quando fu troppo tardi e le avevo già perse di vista, di avere indicato a delle persone una direzione sbagliata, anzichè alla baia di San Francisco temo che siano finiti in Alaska e che non mi abbiano mai perdonato. Da quel giorno la mia coscienza non mi consentì mai più di rischiare che le persone che mi interrogavano potessero non raggiungere la meta.

Nella città in cui abito sono molto meno preparato e non conosco il nome delle vie e così mi arrangio a descrivere metaforicamente gli itinerari tipo :"vede quell'albero?, giri a destra nella strada del cartolaio e poi passi di fronte al panettiere" e così via.
E così mi misi a spiegare anche alla ragazza che in quel modo avrebbe raggiunto la stazione centrale. Mi osservò a bocca aperta e poi sussurrò scuotendo tristemente il bel volto :"mi sono proprio persa allora". Così mi concentrai e riprovai, le mie braccia si incrociarono mentre con una mano le indicavo di andare a destra e con l'altra le suggerivo di dirigersi a sinistra. "Il nome della prima via da prendere, mi può dire solo il nome della prima via?", si riscosse speranzosa. Le risposi che non lo conoscevo, ma ci sapevo arrivare.

Eravamo in stallo.

Mi venne un'idea :"l'accompagno, magari vado avanti a piedi e lei mi segue". Credo che non sapesse che sono il più forte della palestra che frequento e anche sul tapis roulant raggiungo velocità appena inferiori a quelle del passo di Superman quando dorme e mi lanciò uno sguardo incredulo. Allora non potei fare altro che proporle :"vengo con lei in macchina, la porto fino alla via che poi percorrerà diritto fino alla stazione e io scenderò lì e torno a casa a piedi". Non avrei mai voluto giungere a tal punto, sapevo che la ragazza sarebbe stata rosa dal dubbio, permettere ad uno sconosciuto di salire sulla sua auto, non erano passati neppure due secoli dalle note imprese di Jack lo Squartatore e la fiducia tra gli appartenenti al genere umano stentava ancora a farsi strada, anche a causa degli emuli successivi del personaggio. Lei mi squadrò per qualche secondo, dovette convincersi che in un quartiere in cui non c'era anima viva e con le tenebre che calavano non correva rischio alcuno facendo salire un personaggio che teneva stretti tra le mani i testi di Ayn Rand e di Cox&Forkum. Spostò uno per volta gli oggetti che occupavano il sedile di fianco al suo, la borsetta, l'ipod, i cd, gli auricolari, i giornali, i fazzoletti, una rivista, le chiavi di casa, un fascicolo di fotocopie di un testo universitario, un braccialetto, un carnet di biglietti del tram, una scatoletta con del cibo per il suo cagnolino, un sacchetto con dei salatini, una penna e un blocco per appunti.
Appena mi fui seduto sulla lattina di coca cola che aveva dimenticato di spostare, ansioso com'ero di fugare qualsiasi sua preoccupazione mi allacciai la cintura di sicurezza e, tanto per toglierle ogni remora, ci misi all'interno le mani che stringevano i libri di modo da far notare che mi ero legato di mia iniziativa. Ammesso che avesse ancora dubbi sulla saggezza del suo gesto, le passarono, perchè si mise a ridere.

Rimise in moto l'auto e iniziai a spiegarle la direzione :"adesso diritto e al semaforo a sinistra", le dissi, "come si chiama questa via?", mi chiese, "non lo so, ma è la via del giornalaio", le risposi. Svoltò a sinistra con il giallo e i pneumatici stridettero quasi sollevandosi dal suolo a causa del raggio di curvatura strettissimo. "E come si chiama questa via?", mi chiese, "non lo so, ma è la via dove abita mia sorella", le risposi. La feci voltare ancora a sinistra e apprese che quella era la via del pasticciere, poi a destra alla rotonda, il negozio del corniciaio e poi a sinistra sul grande corso alberato del negozio di arredamento, alla sua osservazione che non era possibile che non conoscessi almeno il nome di quella strada enorme e di gran scorrimento, risposi tentando con una mezza dozzina di eroi del risorgimento e di pittori e di statisti. Non sembrò convinta, si accorse che adocchiavo una laterale che ci scorreva velocemente sulla destra e domandò :"ma abita là? ma allora la lascio giù qui e come faccio poi a non perdermi per arrivare alla stazione?", la sua voce passò dalla dolcezza alla consapevolezza che si sarebbe ritrovata di nuovo nei guai, ma io avevo già pronta la risposta :"abitare là? io? ma certo che no, non si preoccupi, abito vicino all'angolo in cui mi lascerà, davvero". Volle credermi. E iniziò a raccontarmi che andava in stazione a prendere dei suoi amici. Avveniva sempre, da Londra a Singapore, da New York a Gerusalemme, le persone che accompagnavo affinchè non si perdessero, avvicinandoci alla meta, iniziavano a narrarmi chi e che cosa andavano ad incontrare, come se all'improvviso mi adottassero ad essere parte della loro esistenza.

"Ecco, adesso dopo il supermercato, a proposito questa è la via del supermercato, giri a sinistra all'altezza della farmacia, mi può lasciare giù lì, lei dovrà solo andare diritto fino ai grattacieli che si vedono già, la stazione è alla loro destra". Si fermò e mi disse che non poteva proprio più perdersi a quel punto e mi salutò con un sorriso allegro, io mi sciolsi dalla cintura di sicurezza, controllai di avere con me ben saldi nelle mani i miei libri, ricambiai il sorriso e scesi e lei ripartì, sicura, alla volta della stazione.

Avevo due chilometri da percorrere per ritornare a casa e avvertii una responsabilità : e se la ragazza avesse a questo punto abbandonato tutta la sua prudenza nel trattare con il prossimo? e se da quel momento in avanti avesse dato la sua fiducia a chiunque? se si fosse perduta in una notte di nebbia in un quartiere deserto della periferia di Londra e avesse chiesto indicazioni alla prima persona incontrata all'attraversamento pedonale? e se lo avesse fatto salire dopo la promessa di portarla a destinazione? e se quell'uomo fosse stato Jack lo Squartatore?

C'era un solo modo per impedirlo : avrei dovuto continuare ad essere presente nelle vie del pianeta ogni volta che qualcuno perdeva la strada, avrei sempre preceduto il truce Jack e gli avrei impedito di derubare della fiducia le sue vittime. Mi resi conto che era un lavoraccio quello che mi ero assunto di fare. Avevo appena attraversato quando un signore bloccò la sua auto, scese di corsa e mi gridò con angoscia :"per favore, sa dove posso trovare un bancomat in questa via?", Gli indicai di superare l'insegna del bar, poi quella della lavanderia e poi quella del negozio di ottica e avrebbe trovato quanto cercava, mi ringraziò e corse lungo la direzione indicata.

Giunsi infine a casa, il languorino si risvegliò e mi resi conto che ormai era troppo tardi per sperare di trovare la pasticceria aperta, pazienza, mi sarei rifatto con una buona colazione l'indomani mattina. Mi accinsi ad abbassare le tapparelle quando un'ombra si stagliò sul terrazzino, tra la bouganville e l'ibisco, uscii per vedere di che cosa si trattava e vidi uno stranissimo essere seduto a cavalcioni della ringhiera, aveva tra le tre dita di una mano ossuta una mappa del cosmo, alla rovescia, si grattava il capo verdognolo e dai tre occhi centrali con le quattordici dita della seconda mano, con la terza mi fece un segno di implorazione e una voce gutturale uscì da quella che evidentemente era la sua bocca, pur assomigliando ad una griglia di microfono :"mi scusi, mi sono perduto nella galassia, saprebbe indicarmi la strada per la luna?".

Ok, avevo capito, sospirai, il sonno avrebbe aspettato :"dove ha parcheggiato?, gli chiesi. Indicò il tetto di fronte, una astronave perfettamente tonda e levigata era appoggiata in equilibrio instabile su un camino. "Senta, purtroppo la luna questa sera non si vede e non posso indicargliela da qui, facciamo una cosa, la accompagno fino all'imbocco dell'atmosfera, mi lascia lì e prosegue diritto".
Gli era andata bene, se si fosse fermato a chiedere agli amici di ET e di conseguenza si fosse ritrovato in un tendone, con addosso decine di sonde mediche e apparecchi, per ripristinare la fiducia intergalattica ci sarebbero voluti secoli e secoli di incomprensioni.
E in fondo, con un pò di fortuna, una pasticceria per la colazione all'imbocco dell'atmosfera l'avrei trovata.

Roberto Mahlab

   
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