Concerto di Sogni
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 4 Favole e Racconti / Tales - Galleria artistica
 Alla fine di tutto (anche se in realtà non saprei
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Veronica Pappolla
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Italy
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Inserito - 09/08/2006 :  18:15:05  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a Veronica Pappolla
Sentivo al naso il forte della terra bagnata, sulla mia pelle sentivo scendere gocce di acqua, sicuramente piovana. Aprii gli occhi e davanti a me si estendeva un immenso prato di erba alta fino alle caviglie e immerso in un bosco di conifere sempre verdi. La testa mi girava e i miei occhi erano appannati. Mi alzai e cerca di fare il punto della situazione. Mi ero risvegliato nel bel mezzo di un bosco. Cosa ci facevo là? Mi osservai intorno cercando di capire dove mi trovassi ma più cercavo di guardare nei miei ricordi più la testa mi faceva male. Perché mi trovavo lì? Non me lo sapevo. Mi sforzai di ricordare cosa avessi fatto il giorno precedente ma nemmeno quello era ben chiaro. Nella mia mente immagini confuse scorrazzavano tra un pensiero all’altro senza freno. Vedevo una ragazza dai capelli lunghi che mi sorrideva, degli uomini che mi inseguivano e poi… altre figure senza contorno. Mi guardai nelle tasche del pantalone pensando di trovarci una carta d’identità, invece trovai solamente un distintivo e una collanina d’oro da donna con un ciondolo a forma di cuore, lo aprii e ci trovai dentro una fotografia. In essa erano ritratte due persone, un uomo dai capelli corti e rossi con occhi verdi e una ragazza dai capelli lunghissimi e biondi con occhi celesti e carnagione chiara, che si che abbracciavano e si guardavano amorevolmente. Chi erano? La ragazza la riconobbi, era la quella che mi sorrideva nel mio ricordo, ma chi era? A quel punto decisi di andarli a cercare. Forse loro potevano avere un qualche legame con me. Ma prima c’era un altro problema urgente: dovevo uscire fuori da quel bosco prima che arrivasse la notte. Ma dove era l’uscita? Intorno a me decine e decine di metri di alberi si estendevano intrecciandosi senza far intravedere un’uscita. Incominciai a vagare a caso seguendo sempre però la stessa direzione. Dopo qualche minuto notai che a sud la vegetazione diminuiva e alimentato da una nuova speranza seguii il mio percorso e riuscii a trovare uno sbocco appena in tempo per il calar del sole. Per mia fortuna non mi trovavo in un vero e proprio bosco ma solamente un “parco cittadino”, infatti appena uscito dalla boscaglia fui accecato da un faro. Incredibile davanti a me, a distanza di qualche chilometro, si estendeva un piccolo paesino. Che fortuna, dovevo sbrigarmi, avevo bisogno di vestiti asciutti e quattro mura accoglienti ma soprattutto sapere chi ero. Mi incamminai sulla strada di campagna leggermente asfaltata e dopo un’ora di tragitto arrivai ad Aime. Analizzando il nome della città e la lingua in cui erano scritti i segnali stradali capii di trovarmi in un piccolo paesino della Francia, sperduto tra le Alpi.
Allora presi in mano il distintivo che trovai nella tasca e guardai la scritta: polizia americana. Cosa ci facevo in Francia se ero americano? Lavoro? Vacanze? Non sapevo che pensare, davanti a me si diramavano due strade, restare in quel paesino e farmi una nuova vita oppure continuare a cercare la mia vera persona. Era questo il mio principale dilemma mentre camminavo per le vie vuote e addormentate del centro abitato. Tutto d’un tratto mi imbattei in un centro di agenzia viaggi, mi avvicinai per vedere la vetrina e finalmente vidi per la prima volta il mio volto e non ebbi esitazioni, dovevo partire immediatamente, l’uomo con i capelli rossi ero io! Per accertarmene riaprii il ciondolo. Ero proprio io. A quel punto non rimaneva altro che partire per l’America. Come se fosse facile, pensai. Come mi procuravo i soldi per viaggiare? Non avevo nemmeno un riparo per la notte. Mi aggirai qualche altro minuto per la minuscolo paese e tutto d’un tratto scorsi una casa abbandonata. Spaccai le travi che la sigillavano e con essi accesi un fuoco nel camino. La casa era grande e in stile seicentesco. L’ esplorai e dopo aver trovato una vecchia coperta e un cuscino mi addormentai davanti al calore del camino. Il giorno dopo scesi in città per cercare qualcuno che mi conosceva. La mia ricerca durò parecchie ore ma nessuno sembrava conoscermi, allora nel pomeriggio decisi di riposarmi su una panchina della periferia ma tutto d’un tratto si mise a piovere e se non volevo prendermi un malanno avrei fatto meglio a tornare alla casa abbandonata. Allora mi alzai di botto ma una ragazza dai capelli biondi e corti si scontrò con me e dopo avermi visto fece cadere a terre le borse che teneva con se.
- Xavier? -
Io non dissi niente e la guardai, in quel momento l’unica cosa che divideva la tensione tra me e quella ragazza erano le forti gocce d’acqua che cadevano dal cielo.
- Xavier sei tu? -
Ripetè con tono flebile
- Tu mi conosci? -
Chiesi ansioso io
- Oh Xavier -
Disse abbracciandomi.
- Xavier, Xavier -
Disse piangendo fiumi di lacrime la ragazza.
- Xavier dove eri finito? -
Mi chiesi infine guardandomi in faccia e in quel momento ebbi una forte fitta alla testa. Era lei, era lei la ragazza della foto.
- Xavier cosa ti sta succedendo,vieni entra dentro casa -
Mi invitò gentilmente
Casualmente casa sua si trovava proprio di fronte a dove ci eravamo scontrati, possibile che il mio inconscio mi abbia guidato consapevolmente li? Molto probabile pensai. La ragazza mi fece straire sul proprio letto e mi portò un ricambio, poi andò a preparare la cena. Dopo aver mangiato io la ringrazia infinitamente e ci andammo a sedere sul divano di fronte al camino per parlare.
- Grazie ancora per la cena e per l’ospitalità -
- Ospitalità? Tu ci abiti qui dentro! -
- Cosa? -
Chiesi confuso
- Cosa ti è successo Xavier? -
Continuava a ripetermi
- Xavier è il mio nome? -
Le chiesi infine
- Sì -
Annuì lei
- E questa sei tu? -
Le chiesi indicandole la foto nel ciondolo a forma di cuore
- Sì, sono io, quella foto la scattammo al tuo compleanno -
- Quanti anni ho? -
- Hai perso tutta la memoria? -
Mi chiese lei sempre con voce flebile che faceva percepire il suo dolore
- Sì -
Confermai lentamente
- Ti chiami Xavier Frost e hai 22 anni, sei un detective americano in vacanza, un giorno sei stato chiamato urgentemente dai tuoi superiori e sei uscito di casa di fretta dicendo che sarebbe stata la tua occasione d’oro, ma da quel giorno tu non sei più tornato. Io sono rimasta qui per aspettarti. E adesso sei tornato. -
- Cosa è successo hai tuoi capelli? Erano così belli -
Le chiesi con il volto abbassato
- Ah è vero. Li ho tagliati dopo due anni dalla tua scomparsa, mi ricordavano te e il tuo modo di giocarci. Credevamo che fossi morto, avevano trovato del suo sangue su delle rocce tra le montagne… -
Rimase in silenzio aspettando una mia risposta, una mia parola, ma in quel momento dentro di me qualcosa si muoveva, sentimenti appartenenti ad un'altra persona, il me stesso precedente, stavano riaffiorando
- Parlami di te -
Le chiesi infine con tono grave
- Bè, io sono Charlotte Duff, ho venti anni ed ero una tua collega di lavoro e tua ragazza…-
Disse diventando rossa
- Davvero? Allora ho buon gusto -
Dissi per rompere il ghiaccio
- Sei davvero bella -
Lei non rispose e mi guardò con un po’ di vergogna
- Sai nonostante la perdita della memoria il mio cuore continua ad appartenerti. -
Dissi quasi sull’orlo di un pianto. Charlotte mi guardò meravigliata. Non sapevo come mi era venuta in mente di pronunciare quella frase, ma in fondo era quello che provavo
- Non so ma nel mio cuore si sta facendo strada un sentimento di amore, mi sembra ovvio visto che sei la mia ragazza, ma mi sento come se non ci vedessimo da anni. -
Le spiegai
- Ma è quello che è successo -
Disse abbracciandomi felice
- No ancora più anni, molti di più, sono felice di poter ancora stare affianco a te -
- Anche io lo sono -
A quel punto fui io ad abbracciarla e la baciai appassionatamente. Lei rimase sorpresa.
- Ti amo -
Le dissi. In quel momento tutti i sentimenti mi invasero completamente e mi lasciai trasportare da essi
- Era da tanto che volevo che me lo dicessi -
Mi riferì um po’ timidamente. A quel punto la ribaciai, poi scesi sul collo e le sbottonai la camicetta
- NO -
Esclamò lei mentre le accarezzavo la schiena
- Scusami, non vuoi…… -
Dissi sentendomi male. Non volevo costringerla
- No non è questo il problema…. -
Disse lei
- Non c-credi che sia il posto sbagliato? -
Sembrava essersi inventata una scusa
- Davanti al camino, al caldo…. No, non credo -
- Hai ragione scusami……baciami di nuovo ti prego. Resta con me e per sempre questa volta -
La baciai e lei mi tolse la maglia
Mentre facevamo l’amore il mio cuore e la mia mente erano sicuri che non avevo mai amato una donna come stavo amando Charlotte, io l’amavo e lei amava me, un amore morboso che aveva resistito alle intemperie dello strascorrere del tempo. Sapevo che quello che stavo facendo era normale, volevo unirmi con lei…..io l’amavo tanto, più di quello che avrei mai immaginato, ma un senso di colpa invase il mio animo.
La mattina seguente fui io il primo ad aprire gli occhi e rimasi incantato nel guardare il dolce viso di Charlotte mentre dormiva, da addormentata era ancora più bella, i lineamenti del viso erano più dolci, le sue labbra carnose e i suoi capelli lunghi erano stupendi, sembrava una ragazzina alla sua prima volta. I suoi capelli lunghi? Cosa era successo ai suoi capelli? Il giorno precedente erano cortissimi e adesso li portava proprio come nella fotografia. Accarezzai la sua morbida chioma e avvicinai il mio viso al suo. Il suo volto traboccava di felicità, e vedendo che lei era felice sorrisi, il giorno precedente era molto turbato mentre in quel momento trasmetteva serenità e tranquillità: Però tutto d’un tratto aggrottò la fronte e si agitò, poi calmatasi di nuovo si svegliò e mi guardò negli occhi.
- Buon giorno amore -
Le dissi baciandola sulla fronte
- Amore?…… -
Mi chiese , ma dopo essersi guardata e dopo essersi resa conto di quello che aveva fatto si coprì il viso arrossato dalla vergogna con le bianche coperte stropicciate.
- Cosa ti succede? -
Le chiesi
- Era la prima volta… -
Mi disse sempre con la testa sotto le coperte
- Scusami…. -
- No, non ti devi scusare, sono stata anche io a volerlo, e poi sono grande e grossa ormai, ho venti anni…. -
Disse non molto convinta
- Finalmente ci siamo ritrovati -
Esclamai io per rompere la tensione
- Sì, ho aspettato dieci anni per questo -
Non capii molto la sua esclamazione
- Hai visto i tuoi capelli? -
- E’ vero, come mai sono lunghi come una volta? -
Disse lei accarezzandoseli. Io sinceramente non sapevo che pensare, cosa era successo? Non lo sapevo ma ero sicuro di una cosa, non mi interessava saperlo perché la mia mente voleva solo pensare alla persona amata
- Grazie Xavier, Grazie -
Dicendo questo mi abbracciò. Io ancora molto confuso di quello che stava succedendo contraccambiai l’abbraccio e la baciai convincendomi che col tempo tutto si sarebbe chiarito. Da quel momento io e Charlotte vivemmo felicemente come una coppia di sposini. Era una vita stupenda che tutti desiderebbero, la mattina era stupendo svegliarmi e sentire la sua calda voce darmi il buon giorno, ritornare dal lavoro part-time che avevo trovato e mangiare il pasto da lei preparato, certo non sapeva cucinare ma pian piano imparò. Era magnifico poi gli interi pomeriggi passati a coccolarci a vicenda davanti al calore del camino, eravamo una coppia affiatata e ogni volta che ci univamo era come se fosse stata la prima, sempre con la stessa passione, con la stessa intensità, sempre innamorati uno dell’altro. Ma questo idillio non durò molto perché due mesi dopo successe una cosa che cambiò per sempre la nostra quotidianità. Non avevamo mai avuto visite a casa, ci eravamo un po’ isolati presi l’uno dall’altro, ma quel giorno qualcuno bussò energicamente alla porta. Sorpresi io e Charlotte ci avvicinammo alla porta e un po’ impauriti esitammo ad aprire l’uscio. Bussarono di nuovo e questa volta più forte
- Apri immediatamente la porta, sappiamo che sei qui. Aprici immediatamente polizia militare Americana -
Senza neanche averci dato un secondo avvertimento sfondarono la porta. Appena mi accorsi di quello che stava accadendo feci nascondere Charlotte, ormai molto spaventata, e mi preparai ad affrontare gli sconosciuti. In quei giorni mi ero accorto di avere una forza sovrumana e mi ero allenato tra le montagne in casi di emergenza, proprio come questi. Mi posizionai e attesi la venuta degli scocciatori.
- Bene, bene, e io che credevo di trovarci Tracy e invece chi ci trovo? Il nostro caro amico Jesse. Cosa ti è successo, dovevi essere morto già da parecchio tempo -
Ad un certo punto una squadra armata entrò in casa, guidata da un uomo molto carismatico che entrò nella stanza dove mi trovavo
- Chi sei tu? Qui non c’è nessuno con quei nomi! Cosa vuoi? -
- Oh sembra che hai perso la memoria, e tua sorella, cosa ti ha detto? -
- Mia sorella… -
Dissi sorpreso
- Certo, la piccola e cara Tracy -
Dicendo questo schioccò le dita e un soldato entrò nella stanza con Charlotte tra le braccia, aveva la bocca imbavagliata ed era legata
- Cosa le hai fatto! -
Inveii
- Dobbiamo portare via tua sorella, è il nostro obiettivo, ma adesso la priorità è un'altra, devi essere abbattuto -
A quel punto l’uomo dette l’ordine di attaccarmi e mi spararono, ma stranamente i proiettili non arrivarono a destinazione, sparivano come per magia. Approfittando del momento utilizzai alcune mosse di combattimento corpo a corpo per attaccare alcuni soldati ma quando vidi correre Charlotte verso di me mi fermai avevo paura di colpirla
- Xavier aiuto ti prego -
Disse piangendo
- Charlotte, scappa! -
Esclamai colpendo dei soldati che mi vennero addosso.
- E’ arrivato il momento della verità… -
Dichiarò guardandomi con gli occhi da “cane bastonato”. In quel momento con mia grande meraviglia si posizionò davanti a me e atterrò gli ultimi membri della squadra, dopo di che si sedette bruscamente a terra e incominciò a urlare per i dolori al ventre.
- Cosa ti fa male? -
Le chiesi, ormai non sapevo più che pensare
- Lascia stare e porta via questi soldati prima che si sveglino -
Alla velocità del fulmine e con una forza che non nemmeno io sapevo di avere, presi i corpi dei soldati svenuti (non avevamo ucciso nessuno) fuori dal paese e una volta finito rientrai a casa e cercai subito Charlotte ormai calmatasi.
- Mi sembra che ci siano tante cose che tu mi debba spiegare, Charlotte -
Le dissi dolcemente cercando di non turbarla troppo. Lei mi guardò con gli occhi in lacrime
- Scusami, ti ho mentito -
Disse flebilmente cercando di frenare i continui singhiozzi. Lei cerco di parlare ma le lacrime e l’agitazione le impedirono di formulare frasi di senso compiuto. Capendo la situazione l’abbracciai e le feci capire che io, qualsiasi cosa mi stesse nascondendo, avevo fiducia in lei; l’amavo e i miei sentimenti non sarebbero cambiati. Nella mia mente c’erano molti interrogativi. Perché io avevo quella forza? Perché quelli uomini cercavano Charlotte? Chi erano? E perché anche lei aveva quelle capacità? Ma una cosa in tutta quella incertezza c’era: io l’amavo e volevo stare per sempre accanto a lei. Quando glielo dissi pianse ancora di più. Quando ebbe finito si coccolò ancora per qualche minuto tra le mie braccia e quando si sentì pronta, prese un po’ le distanze, si schiarì la voce e iniziò il suo racconto.
- Noi in realtà ci chiamavamo e Jesse e Tracy Daermon. Nostro padre era uno scienziato della Technical Industries. Orfani di madre, alla morte accidentale di nostro padre durante un esperimento fummo affidati all’agenzia che sicuramente aveva pagato il nostro affidamento, successivamente ci collocarono nella sezione PHM project. Una sezione del ramo di ricerca dell’agenzia, la PHM, Perfect Human Machine, era la sezione incaricata a sperimentare sugli umani per trasformarli in macchine per la guerra. Noi siamo il risultato di questi esperimenti. Abbiamo una massa muscolare potenziata del duecento per cento, e ci hanno attivato quelle parti del cervello che solitamente un essere umano ha inattive e… -
Non finì la frase ma mi porse le mani chiuse a pugno e mi fece notare che erano vuote , ma tutto d’un tratto dalle sue mani incominciò a cadere dell’acqua. Io sbalordito guardai la sua faccia sofferente. Poi tutto d’un tratto aprì le mani e l’acqua che si era formata sparì.
- Cosa è successo? -
- Alcuni la chiamano magia, ma questa non è altro che manipolazione degli atomi di idrogeno e ossigeno -
A quel punto fece una pausa
- Noi siamo capaci grazie al nostro cervello sviluppato di modificare i legami covalenti e non che sono già presenti nelle molecole dei composti. A seconda di quali legami rompiamo o creiamo trasformiamo la materia circostante -
A quel punto mi fece di nuovo l’esempio dell’acqua
- Rompo i legami di O2 presenti nell’aria e favorisco il legame dell’ossigeno con l’idrogeno e così facendo si forma H2O, poi forzo la rottura delle molecole e faccio tornare l’ossigeno e l’idrogeno in elementi puri che tornano alla forma gassosa -
Si interruppe e mi guardò. Io non sapevo che pensare. Avevo tante domande da fargli
- Tu facevi parte della squadra speciale militare PM, esperimento PHM 540 era il tuo nome in serie e andavi a combattere, un giorno però fosti catturato e sottoposto ad altri esperimenti per poter scoprire con quale tecnologia ti avessero assemblato. Per fortuna gli esperimenti andarono male e ti abbandonarono tra le montagne di questo paese. Le varie sperimentazioni a cui ti avevano sottoposto ti avevano distrutto sia base fisica, sia la base tecnologica. I superiori dell’agenzia ti dichiararono morto mentre io cercai il tuo corpo e di nascosto insieme a un collega di nostro padre ti ricostruimmo e ti riportammo nel bosco in cui ti trovammo per l’applicazione del nuovo software che ti abbiamo istallato -
Concluse
- Che tipo di software? -
- Non ti preoccupare non è niente -
Disse facendomi un occhiolino e sorridendomi
- Perché ti cercavano? -
- Mi cercavano perché ho bisogno della revisione annuale, ormai sono più di quattro anni che non ci vado e poi…stanno testando la nuova serie PHM 912 e per provarne le capacità fanno scontrare in un combattimento le nuove serie con quelle vecchie. Molto spesso il combattimento finisce con la morte dell’avversario. Quando scappai alla ricerca del tuo corpo ero stata scelta per uno di questi combattimenti. Spinta dalla paura ebbi un secondo motivo per scappare e nascondermi, ma periodicamente tornavo qui, aspettando te, perché ancora non credevo alla tua morte. Adesso però che hanno scoperto che sei vivo cercheranno di ucciderti perché sei ritenuto un traditore -
Disse ricominciando a lacrimare.
- Su non piangere -
Dissi lievemente riabbracciandola
- Non voglio perderti, io ti amo… -.
- Ma siamo fratelli….. -
Dissi molto tristemente.
- Sì ed è per questo che prima della cattura ci eravamo trasferiti qui cambiando i nostri nomi, tu facevi avanti e indietro dalla base, mi sei mancato tantissimo -
Adesso capivo tutto, ecco cosa era il mio senso di colpa. Nonostante non mi ricordassi, la mia coscienza sapeva che quella davanti a me era mia sorella . Poi mi ricordai la sua frase quando quel primo giorno si svegliò e capii ancora di più. A quel punto incominciai a lacrimare anche io
- Quanti anni hai? -
Le chiesi e lei sorpresa:
- Venti -
Capii subito che mentiva, si capiva dal suo sguardo e dal suo battito del cuore
- Quanti anni hai realmente? -
Dissi con tono più severo
- Sedici -
Alla fine l’ultimo segreto fu chiaro. Nonostante amassi Tracy mi sentivo un verme. Amavo morbosamente mia sorella sedicenne. Mi sentivo un pedofilo.
- Scusami adesso forse ti sentirai male, ma sappi che è stata mia la scelta, ero consenziente, tutte le volte, volevo amarti -
Non sapevo che dire, né che pensare, ero molto confuso. Non sapevo più che fare e né che dire; mi abbracciai all’unico sicurezza che avevo, il mio sentimento nei confronti di mia sorella. Quel giorno proprio quando entrambi credevamo di aver potuto dimenticare il passato e vivere una vita nuova insieme, il passato è venuto a bussare alla nostra porta, presentandoci il conto di tutte le nostre azioni. A quel punto mi guardai intorno, la nostra casa era completamente distrutta, la notte calava e nell’aria sentivo segni di intemperie. Ormai Tracy, stremata dal pianto, si era addormentata tra le mie calde braccia. Non volevo svegliarla quindi rimasi lì fermo immobile, poi, dopo una decina di minuti, mi alzai e sdraiai Tracy sul divano. Come non avevo fatto fino a quel momento a non capire che lei aveva sedici anni? In fondo si capiva dai gesti, dal suo linguaggio, che era piccola. Mi rimproveravo amaramente per questa mia distrazione. “Però” pensai in quel momento, “il corpo di una ventenne ce lo aveva!”. Ma cosa andavo a pensare in quel momento? Dovevo fare qualcosa e in fretta. Una tempesta si stava per abbattere sulla cittadina e noi avevamo un tetto che “avrebbe fatto acqua” da tutte le parti. A quel punto pensai che fosse arrivato il momento di provare le capacità della mia mente. Pensai a legami di atomi che si univano, ma niente. Chissà come aveva fatto Tracy. Non sapevo come agire, ero sul punto di disperarmi, io volevo solo un tetto sicuro per ripararci, niente più. Proprio mentre nella mia mente l’immagine della nostra casa si faceva più ordinata in un battito di ciglia l’abitazione si ricostruì. Non sapevo come avessi fatto ma in quel momento mi interessava solamente la serenità di Tracy. Non so ma la scoperta che avesse solo sedici anni e che fosse mia sorella ha fatto in modo che dentro di me accrebbe il desiderio di proteggerla. Alla fine mi accasciai affianco a lei e mi addormentai . Non riuscivo a credere, perché l’unica donna che io abbia mai amato era mia sorella? E la cosa che di più non riuscivo a concepire era come mi fossi innamorato di lei. Cosa era capitato? E come riuscirò a uscire da questa situazione? Pensavo e ripensavo, ma non riuscivo a trovare una soluzione. I giorni che seguirono quell’avvenimento furono pieni di tensione e di vergogna. Ormai era più difficile vedere Tracy come una donna, ma l’amavo sempre e ogni giorno di più. Comunque ormai mi ero ripromesso di non toccarla più e la notte non riuscivo a dormire. Era difficile resistere alla tentazione ma se avessi ceduto mi sarei sentito in cento volte più male.
- Adesso basta -
Mi disse Tracy una sera mentre eravamo sdraiati sul letto
- Cosa c’è? -
Ribadii io cercando di apparire sorpreso e di fare la voce più innocente possibile
- Ti prego Xavier. Amami! -
- Tracy cosa dici? E perché mi chiami Xavier? -
Le chiesi
- Io non sono Tracy perché Tracy è il nome della sorella di Jesse e due fratelli non possono amarsi. Noi non siamo fratelli, noi siamo Xavier e Charlotte -
- Perché non vuoi ammettere la realtà -
Controbattei io
- Stai per caso rifiutando un invito? -
Disse lei in modo provocatorio e malizioso
- Sì -
Confermai fermamente
- Forse non stai considerando i desideri del tuo corpo -
Disse maliziosamente mentre agitava con movimento circolare il dito sopra la mia pancia
- Fa niente -
Ribattei più forte, dovevo resistere
- Bè a questo punto vuol dire che ti prenderò con la forza -
A quel punto si sdraiò su di me, poi si sedette
- Da quando sei così audace? Hai per caso bevuto? -
Cercavo di cambiare argomento
- Sì, un pochino, per colpa tua però, ero depressa -
- Adesso ho capito tutto -
- Non cambiare argomento e baciami -
Era la prima volta che lei prendeva l’iniziativa, che cosa le era successo? Io cercai di tenermi a distanza ma non ci riuscivo. Lo so non è morale ma non potevo farci niente, amavo mia sorella. A quel punto mi lasciai trasportare dai sentimenti e contraccambiai con passione il suo bacio e ci amammo. La mattina seguente pregai che Tracy non stesse male per quello che aveva fatto la notte precedente. E’ piccola ancora , il mondo degli adolescenti è strano e contorto, lo conoscevo bene perché ne stavo ancora uscendo.Quando mi svegliai Tracy era già pronta per uscire
- Dove vai amore? -
- Ho deciso di andare alla sede francese della Technical Industries -
- Cosa?!?! -
Le chiesi meravigliato
- Sì, andrò a fare la revisione per… -
Disse lei guardando nel vuoto e con lo sguardo sognatrice
- Ho una bella notizia da darti ma te la dirò solamente al mio ritorno -
Disse sorridendo
- Finalmente hai ritrovato tuo solito umore -
Dissi contento
- E secondo te perché sono così felice? -
- Non lo so -
- Finalmente dopo tanto tempo ieri ho potuto fare l’amore con la persona che più di chiunque altro amo -
- Sono onorato di essere la tua felicità e sappi che per me vale lo stesso. Tu sei la mia più grande gioia -
- Davvero? Grazie, bè adesso però devo andare -
- Ah aspetta, è già da un po’ di tempo che volevo chiedertelo, anche tu senti un fischio continuo nella testa? -
- No, non è normale. Aspetta…-
Tracy si sedette sul letto e tutto d’un tratto si alzò la pelle del braccio. Dall’arto uscì una specie di pannello con degli spinotti, due cavi e dei bottoni.
- Cosa?! -
Dissi con faccia sorpresa
- Stai calmo, sono dei fili di collegamento, devo ispezionare il software che ti rende possibile le grandi imprese che fai -
Disse in modo ironico. Le piaceva sfottermi per il mio comportamento protettivo nei suoi confronti
- Ah, comunque a me continua a non sembrare normale -
- Dai su, lamentati di meno e porgimi il braccio -
Proprio come fece a se stessa aprì il mio braccio, incredibile, non sentivo dolore.
- Non ti stupire tanto, questo pannello di controllo è inserito in maniera tale che rappresenti la pelle, quindi la parte rosa è solo una montatura -
Detto questo collegò un cavo preso dal suo braccio a uno spinotto presente su questo pannello del mio braccio.
- Per una volta sarò io ad entrare dentro di te -
Disse con sogghigno. Io infastidito le tirai un piccolo schiaffetto sul braccio e lei per risposta mi fece la linguaccia
- Va bene sto zitta -
A quel punto i suoi occhi si colorarono di un azzurro opaco e tante line e trattini attraversarono la sua cornea.
- Non ti preoccupare. Sto semplicemente leggendo i dati di risposta che ho avuto dal tuo cervello
Mi rispose sorridendo quando vide la faccia curiosa che avevo
- Bene -
Concluse infine. A quel punto osservai i suoi occhi, erano tornati normali. I suoi bei occhi.
- Hai solamente preso un virus -
- Di che tipo? -
- Informatico e umano -
- Addirittura? -
- Si si. Tra un poco ti salirà la febbre quindi rimani a letto e quando ritornerò ti darò questa bellissima notizia -
- Un anticipazione? -
- Nessuna, a presto -
Vidi uscire Tracy dalla porta della camera da letto sorridente e spero di potermela ricordare per sempre così. Subito dopo mi addormentai. Sognai. Vedevo due bambini giocare insieme. Un bambino dai capelli rossi rincorreva una bambina con i capelli biondi. Strano. Non avevo mai fatto sogni del genere. Forse rappresentavamo noi due. Forse era un vecchio ricordo. Non so. Poi sognai Tracy, che bello era vederla sorriderla anche nel sogno, ma tutto d’un tratto sentii il suo lacerante urlo nelle orecchie che mi svegliò. Agitato mi alzai e mi diressi in cucina, lì guardando l’orologio appeso al muro mi accorsi che erano già passate quattro ore da quando mi ero addormentato. Chiamai Tracy ma non nessuno rispose. La casa era desolata e al buio. Se ne era andata solo da qualche ora e già mi mancava. Ancora preoccupato la chiamai più ossessivamente, ma niente. Per la casa si sentiva solo il lugubre ticchettio dell’orologio. Poi il mio sguardo andò a finire sulla porta aperta del retro. Come era possibile? Forse qualcuno era entrato? Andai a chiuderla e quando tornai in cucina ci trovai una cassetta. “Che modi antichi” pensai mentre presi il nastro tra le mani.Subito mi venne un sobbalzo al cuore e l’immagine sorridente di Tracy mi apparve, una allucinazione. Inserii la cassetta nel visualizzatore universale e la prima immagine fu quella di Tracy con tutti i capelli scombinati, i vestiti strappati, legata e imbavagliata. Era seduta su una sedia di legno e sorvegliata da due uomini con la divisa delle Technical Industries Successivamente l’immagine dell’uomo che aveva fatto irruzione nella nostra casa si sostituì a quella di Tracy
- Bene bene, avrai sicuramente capito la situazione, vero? Viene appena puoi alla Technical Industries e forse non le faremo niente. Ho detto forse…-
A quel punto della casetta sembrava che lui riuscisse a guardarmi veramente negli occhi e a trasmettermi tutta la sua severità e superiorità. In quel preciso istante prima che la cassetta finisse riquadrarono Tracy che nel frattempo si era liberata dal bavaglio
- No ti prego, non venire ti faranno…-
Il fruscio del nastro vuoto interruppe le sue parole e riempì le mie orecchie. Tanta rabbia incominciò a crescere dentro di me e nei miei pensieri c’era solo distruzione. Detti un pugno allo schermo della televisione che si distrusse, poi per incominciare distrussi in frazioni di secondi tutta la casa. Si esatto avevo appena iniziato e non avrei finito finchè non avrei soppresso quell’uomo che mi aveva fatto tutto questo. Dopo aver raso al suolo la casa, corsi tra le strade in salita di montagna e in meno di dieci minuti arrivai nella sede francese delle Technical Industries, in piena città. Il palazzo della Technical Industries si estendeva in altezza con dimensioni sproporzionate, questo serviva a evidenziare la potenza economica, politica e sociale che le Technical Industries avevano, serviva a far impaurire i nemici politici e economici dell’azienda, ma di certo non mi facevo intimorire da uno stupido palazzo che avrei potuto distruggere in un secondo. Entrai e di sicuro posso dire che non avrai mai potuto perdermi. Sembrava proprio che il capo mi stesse aspettando, infatti appena appoggiai piede dentro l’edificio suonò l’allarme, le porte dietro di me si sbarrarono e tutte le luci si ruotarono verso di me illuminandomi. Mi sentivo come un topo in trappola. Tutto d’un tratto degli monitor al plasma tenuti sospesi grazie a una particolare tecnologia, entrarono nella stanza e negli schermo c’era l’immagine dell’uomo che mi aveva convocato e la sua voce fu emanata dagli altoparlanti
- Ti stavo aspettando, presto entra, sei già abbastanza in ritardo. Segui il tappeto rosso -
Improvvisamente si aprì una porta da dove ne uscì un tappeto rosso che si allungò fino ad arrivare di fronte a me. Io lo seguii ed esso mi portò in una specie di ascensore. Lo presi e dopo qualche minuti arrivai ai piani alti dell’edificio in cui era ubicata una specie di arena. Il pavimento era formato da terra, la struttura circostante poi era fatta di metallo, sicuramente titanio, e dei vetri infrangibili che proteggevano lo spalto degli spettatori, ma alcune di queste specie di finestre erano oscurate da una copertura
- Adesso basta giocare a nascondino, esci voglio parlarti di persona codardo -
Imprecai
- E’ ancora presto per questo, ma se vuoi rivedere tua sorella ti conviene combattere -
Appena l’uomo finì la frase, una porta dell’arena che era sbarrata con una specie di serratura elettrica si incominciò lentamente ad aprire
- Vorrei che tu testassi per me il nuovo modello sfornato dalla nostra sezione PHM project. Ti presento PHM 1205 -
Disse con sogghigno. A quel punto la serratura si aprì del tutto e un uomo ne uscì. Aveva i capelli corti, una benda verde e dei tatuaggi tribali per tutto l’enorme corpo. Andava a piedi nudi e aveva una targhetta militare al collo
- Affronta PHM 1205 e se vinci ti aggiudicherai la tua donna, altrimenti sarà lui a giocarci -
Disse con tono malizioso
- Che il combattimento abbia inizio -
In quel preciso istante si sentì il suono acuto di una campanella e subito il gigante corse verso di me attaccandomi. Si preparava una battaglia tra titani. Schivai il primo colpo, proprio come il secondo, ma il terzo andò a segno e mi colpì in pieno addome
- Noooooo -
Sentii la voce di Tracy provenire dal palco dell’arena, pensai di avere le allucinazioni uditive, ma non era così, infatti una delle coperture di una delle finestre dell’arena si aprì facendo intravedere la sua figura
- No ti prego, lascialo andare -
Era ancora legata ma nonostante questo continuava a chiedere di lasciarmi andare. Era troppo presa delle sue emozioni e dai suoi sentimenti che non si accorgeva che se solo mi sarei distratto un attimo, o se solo mi sarei allontanato dall’edificio sarebbe stata la fine per lei
- Ti prego lascia combattere me, lui non sa ancora come usare al pieno le sue potenzialità -
Urlava e sembrava farlo al vuoto ma tutto d’un tratto un'altra copertura si aprì e dallo specchio infrangibile si intravide la figura dell’uomo a quanto pare capo di tutta quell’organizzazione e ideatore di quella tortura. Era seduto su una poltrona che fluttuava, aveva le mani incrociate e osservava con occhi severi e folli Tracy.
- E’ proprio questo il bello -
Disse ridendo soddisfatto. Tracy aveva ragione, io non sapevo ancora usare tutte le capacità del mio corpo potenziato, ma continuai a combattere facendomi purtroppo sconfiggere. Ero steso a terra tutto dolorante. Il mio avversario estrasse la spada dal fodero che tutto d’un tratto, come per magia, era apparso nell’arena, e proprio come i grandi combattenti delle arene romane si stava preparando a uccidermi decapitandomi, ma aspettava il comando del capo.
- Sai questi test speciali li ho attinti dall’antica Roma, il ciclo della natura, il più forte che prevarica sul più debole e che ha il diritto di decidere dalla vita della preda. -
Disse l’uomo eccitato e allungando il pugno.
Tutto accadde in un istante, proprio quando l’uomo abbassò il pollice Tracy sì liberò velocemente dai suoi carceratori, anzi diciamo che gli eliminò dalla faccia della terra, infatti di loro non rimase altro che i vestiti. Una volta libera e con le lacrime agli occhi si pose davanti alla lama che le procurò una ferita che le attraversava il corpo. Una ferita che sembrava dividerla in due proprio come il suo cuore, da una parte quella Charlotte che amando Xavier avrebbe preferito perire lei piuttosto che vederlo morire, dall’altra Tracy, la sorella minore che con quel gesto credeva di poter essere perdonata dal fratello per tutte le bugie che gli aveva detto.
- NOOOO -
Urlai, stavo già impazzendo dal dolore. La consapevolezza che quella era la fine per lei invase più velocemente del previsto il mio cuore, non poterla più sentire, accarezzarla, non poter più vederla sorridere, fare la bambina piccola, non poterla più amare. Tutti quei sentimenti mi facevano impazzire.
- COSA HAI FATTO -
Mi rivolsi verso al mio avversario
- NON DOVEVI FARLO -
Alzatomi in piedi nonostante le mie fratture e i dolori, presi la spada e incominciai a colpire ripetutamente il gigante tatuato. Il sangue schizzava da tutte le parti, me ne arrivò molto anche addosso ma nonostante la terrificante visione non riuscivo a fermarmi. Non riuscivo ad accettare che Tracy stesse per morire. Nonostante il mio avversario fosse ormai sconfitto e morto continuavo a colpire con foga e disperazione il suo corpo senza vita. Volevo distruggere la persona che mi aveva portato via la mia felicità, la persona che mi aveva portato via Tracy
- PERCHEEEEEE’? -
Il mio urlo attraversò l’arena che ne spaccò gli ultimi vetri rimasti intatti. In quei momenti la bestia che era dentro di me si era risvegliata macellando, nel vero senso della parola, a sangue freddo la persona causa della morte di Tracy e quindi del mio più profondo dolore. Quando la mia parte cosciente e ragionevole si svegliò, mi venne da vomitare e dopo aver preso atto di quello che avevo fatto e con molto disprezzo di me stesso, feci sparire i resti del mio avversario. Successivamente mi andai ad inginocchiare vicino al corpo di Tracy, le presi la mano e me l’appoggiai sul volto. Volevo sentire il calore della sua mano rassicurarmi, invece con molto dispiacere notai che essa era fredda. La guardai bene e nonostante stesse sul punto di morte mi sorrideva
- Non fare più quello che hai appena fatto! -
Mi rimproverò con voce flebile
- Cosa? Occultare cadaveri? -
Dissi con ironia
- NO, non uccidere più -
Disse decisa sempre col sorriso stampato
- D’accordo, te lo prometto, non ucciderò più! -
Dicendo questo mi pulii le mani di sangue
- Sai, avevi ragione, dopo che tu mi hai lascito stamattina mi salì la febbre ma dopo averti sognato sono guarito -
- Davvero?
Disse lei
- Sì davvero, e poi ho sognato noi da piccolini. Io avevo i capelli rossi e tu un caschettino biondo, come eri carina -
- Impossibile -
-Perché? -
Le chiesi stupito
- Perché tu non sei nato con i capelli rossi, tu ce li avevi castani da piccolino. Poi dopo averti fatto i vari trapianti ti sono cresciuti rossi -
Io rimasi imbambolato, allora se non eravamo noi, chi avevo sognato?
- Ehi Jesse -
L’uomo causa di tutto quello mi chiamò distorcendomi dai miei pensieri
- Cosa vuoi? -
Imprecai acido
- Tieni questo -
Dopo aver detto quelle parole si alzò in piedi e mi lanciò una cosa metallica sulla fronte. Mi fece molto male e quando provai a togliermela non ci riuscii, era come se si fosse incollata alla mia tempia
- Un vero peccato, finalmente eravamo riusciti a creare la macchina perfetta ma dobbiamo obbligatoriamente abbatterla. Che spreco di potenza. Forza! Prendetelo -
L’uomo diede l’ordine di attaccarmi e tutte le porte dell’arena si spalancarono facendo uscire uno stormo di soldati armati
- No, lascialo stare, adesso basta. Ti prego risparmiali la vita -
Urlò Tracy con le sue ultime forze dopo essersi girata con a pancia in giù, mentre guardava con sguardo supplichevole l’uomo.
- Non ti preoccupare, proprio come ho sconfitto quello precedente sconfiggerò questi semplici umani -
La rassicurai, non volevo che lei strisciasse ai piedi di quell’uomo, e supplicarlo per la mia liberazione
- NO, tu non devi più uccidere e comunque non lo potresti più fare perché quella fascetta metallica che hai sulla tempia destra, grazie al suo magnetismo particolare, annulla le capacità mentali di cui sei a disposizione, inattivando le onde celebrali di quelle zone del cervello con cui potevi fare tutte quelle cose straordinarie -
Mi disse. Nonostante le sue condizioni aveva ancora il barbaro coraggio di prendermi in giro. Che ragazza. Poi rivolgendosi al capo che guardava con contrarietà la scena, disse:
- Ti prego ti ho dato quello che volevi, adesso basta, almeno lui, fai in modo che lui lo veda -
- No, non posso lasciare in vita un testimone -
Disse aspro
- Ma di cosa stai parlando, Tracy? -
Le chiesi stupito
- Jesse ha preso il mio ovulo fecondato -
Disse imbarazzandosi un po’, infatti divenne un po’ rossa. Io però non riuscii bene a collegare le cose
- Jesse!!!!! Si è preso nostro figlio! -
Ribatté più forte lei
- Cosa? Nostra figlio? -
Le chiesi piangente
- Sì Jesse, ho scoperto che in realtà noi non siamo davvero fratelli, abbiamo in comune solo nostro padre. Io sono una figlia illegittima. Quando papà morì mia madre, che dopo tuo padre non amò nessun altro uomo, cercò di liberarti chiedendo il tuo affidamento ma dopo aver avuto un finto incidente autostradale, sicuramente fu assassinata, anche io fui trasferita nel centro di ricerche e lì ci innamorammo. -
- Di quanti mesi eri? -
- Tre. Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati? In quel momento rimasi incinta e me accorsi solo un mese dopo. A quel punto disperata incominciai a fare una ricerca , analizzai i nostri DNA e mi accorsi con sorpresa che erano meno simili di quello che avessi mai immaginato. Stupefatta scoprii questa verità e quando ho parlato con il capo, la mia ipotesi è stata confermata. Purtroppo non credo di avere molto tempo a mia disposizione. Ti prego Xavier prenditi cura di nostro figlio. A quel punto sorridendo chiuse gli occhi e sentii la sua stretta di mano farsi sempre più debole finché non ebbe nemmeno più la forza di tenermi per mano. La vedevo lì, di fronte a me, sorridente, ma ormai la stavo perdendo, nelle sue vene ogni forma di soffio vitale si era spenta. L’accarezzai il volto e la baciai per l’ultima volta. Ma quel momento fu interrotto dal solito guastafeste
- Non so se disgustarmi o ringraziarti. Mettere incinta tua sorella, non so proprio che pensare. Ecco guarda Jesse, sto esaudendo l’ultimo desiderio di Tracy.Ecco qui tuo figlio -
Lacrimante distolsi lo sguardo da Tracy e alzai la testa
- Come ti chiami? -
Chiesi con tono aggressivo
- Jefferson -
- Bene Jefferson, la pagherai per averci fatto questo -
Disse con fermezza mentre guardavo quella specie di termos metallico che aveva in mano Jefferson, Lì dentro c’era l’ovulo di Tracy, mio figlio.
- Non fare promesse che non potrai mantenere -
Dicendo questo ordinò ai suoi soldati di catturarmi. Nonostante non avessi più quei “poteri” di cui parlava Tracy mi opposi più forte che potevo, ma le mie tecniche di combattimento apprese sicuramente durante il servizio militare non bastavano di fronte a un esercito armato e riuscirono molto velocemente ad immobilizzarmi
- Ridatemi mio figlio -
Dissi
- RIDATEMI LA MIA VITA! -
Urlai mentre mi dibattevo per liberarmi. Jefferson infine diede l’ordine per la mia esecuzione e un soldato mi puntò il suo mitra. In quel momento chiusi gli occhi e mi apparve l’immagine di Tracy. Stavo per raggiungerla
- Addio -
Dissi quando sentii gli spari del mitra. Sempre con gli occhi chiusi aspettai la mia fine pensando a Tracy e alla vita che avremmo potuto condurre se Jefferson non si fosse intromesso. Poi tutto d’un tratto sentii una voce rauca che diceva:
- Impossibile continuare a riprodurre i file. Avviare il programma di backup? -
Cosa stava succedendo? Cosa era quella voce? Aprii gli occhi e con mia grande sorpresa vidi che tutto intorno a me si era bloccato.
Notai i proiettili sospesi a mezz’aria e subito mi spostai dalla loro traiettoria. Non potevo credere ai miei occhi. Ancora sofferente mi avvicinai a Tracy e la baciai poi una specie di fatina dalle piccole dimensione fece la sua apparizione. Aveva tutto il corpo illuminato, capelli lunghissimi e biondi e aveva le stesse fattezze lineari del viso di Tracy.
- Cosa sei? -
Strepitai
- Ciao Xavier, finalmente ci rivediamo -
Disse dolcemente lei rimanendo sospesa leggera nell’aria
- Cosa è successo? Cosa sei? -
- Io Xavier sono il software SdB 2050z, sono un prodotto delle Technical Industries e sono stata creata per darti delle spiegazioni e guidarti nella successiva scelta -
Mentre il software parlava tutto intorno a me diventava bianco
- Cosa mi devi spiegare? -
Dissi con timore
- Tutto quello su cui hai dubbi -
- Bene per incominciare, chi ti ha installato? -
- E’ stata tua sorella quando ha recuperato il tuo corpo e lo ha ricostruito. Io dovevo servire a riportare allo stato originale i tuoi resti in caso di perdite o distruzione -
- Cosa è successo allora? Io stavo per morire….. -
- In realtà tu sei già morto -
- In che senso? -
- Le tue spoglie umane sono morte ma stranamente la tua anima tormentata continua a vagare tra i pezzi metallici integrati al tuo corpo. Non so cosa sia successo ma i vari virus presenti nel tuo organismo si sono modificati unendosi e creando un nuovo virus non letale ma che ha creato delle disfunzioni. Il programma di backup non ha portato il corpo al punto di origine ma ha imprigionato il tuo spirito facendolo tornare mentalmente al punto di partenza -
- E cioè? -
La spiegazione mi sembrava molto confusa
- Cioè fa tornare il tuo spirito lì in quel bosco, ti fa rivivere la tua vita da quel punto fino a quando ha registrato gli avvenimenti. In poche parole ogni volta che tu morirai la tua mente tornerà in dietro e rivivrà tutto, partendo dalla perdita di memoria -
- Allora io nonostante sia morto, continuo a vivere? -
- Sì sembra un concetto contrastante ma è così -
- Cosa è successo dopo la mia morte? -
- In realtà Tracy non era morta e la squadra di ricerca delle Technical Industries riuscì a ricostruirla e le reimpiantarono l’ovulo. Lei visse fino ai due anni di età di vita del bambino poi fu sorteggiata per combattere e testare il nuovo prototipo di PHM 2160d. Purtroppo perse il combattimento, lei non fu fortunata come te, lei nonostante fosse di una serie superiore alla tua era stata creata diversamente e morì pensando a te -
- Un ultima domanda. Come si chiama mio figlio e che ne è stato di lui? -
Fece una pausa e dopo aver meditato mi rispose
- Lui si chiama Jesse, Tracy lo chiamò così in tua memoria e per non scordare mai. Jesse crescette proprio come voi, nella sezione di ricerca senza mai sapere chi fossero i suoi genitori -
- Lui è stato sottoposto a qualche intervento? A qualche esperimento? -
- No -
Feci un respiro di sollievo, almeno lui
- Ma fu oggetto di vari studi. Non si capiva come mai la vostra unione aveva creato una creatura come lui -
- Perché? In che senso? -
Chiesi turbato
- In lui i difetti ereditari non si erano sommati, al contrario dei figli nati dall’unione di due fratelli di sangue, ma si erano sommate solamente le caratteristiche potenziate. Non riuscivano a capire come il DNA umano fosse riuscito a integrarsi e a riprodurre le cellule inorganiche legate artificialmente al proprio aspirale facendole diventare caratteristiche ereditarie -
- Ma lui adesso come sta? -
- Una volta compiuti i diciassette anni incominciò a lavorare per l’agenzia e un giorno mentre ispezionava vecchi filmati di sorveglianza trovò la registrazione del tuo combattimento e riconobbe Tracy e te, e capì che eri suo padre. Sai come fece? Sapeva che il suo nome era uguale a quello del padre, glielo aveva detto la madre. Poi, dopo aver visionato il file, cercò meglio nei database e trovò il filmato della sua morte. Non vedendoci più dalla rabbia sollevò gli altri esperimenti a ribellarsi. Non fu difficile convincerli, loro erano trattati peggio di animali. I capi dell’organizzazione gli avevano trattati come oggetti senza calcolare una caratteristica importante dell’uomo. L’uomo nasce libero e nessuno lo può tenere rinchiuso e reso oggetto di strane sperimentazioni. Hanno sopportato per troppi anni i soprusi ed erano arrivati ad un punto di saturazione. Nessuno aveva il diritto di fare loro quello che le Technical Industries stavano facendo. Dopo una rivolta che durò meno di un giorno, loro ebbero evidentemente la meglio non risparmiando nessuno. Purtroppo non morirono solo le persone responsabili di quell’inferno, ma molti scienziati innocenti furono eliminati. Dopo essersi liberati questi esseri né macchine e né umani si mischiarono tra la gente comune cambiando nome e nazione. Tuo figlio prima di fare questo prese la salma di Tracy e la seppellì dove giaceva il tuo corpo. Infatti Tracy ti fece portare ad Aime, quel paesino francese di montagna, e ti sotterrò lì esaudendo il desiderio che se un giorno sarebbe arrivata la fine anche per lei avrebbe voluto essere sepolta lì accanto a te. In modo da poter dormire insieme e farti compagnia -
- Ma come fai a sapere tutte queste cose? Chi ti aggiorna? -
- E Jesse stesso che lo fa periodicamente, nonostante viaggi spesso per il suo lavoro, lui torna sempre ad Aime e mi fa l’aggiornamento. E poi è stato lui ha darmi questa forma -
- Che lavoro fa? -
- E’ un detective. Dice che lo deve a tutti. Ha le manie da supereroe, vuole proteggere tutte le persone a cui tiene -
- Posso vederlo? -
- Purtroppo no, mi dispiace. Jesse non ha mai fatto l’upload di file video o immagini. Io sono un semplice magazzino di parole, di ricordi perduti, di ricordi tristi, di ricordi allegri. Ricordi di due persone. Infatti precedentemente era Tracy ad aggiornarmi. Entrambi erano a conoscenza di questa disfunzione del programma di backup. Ma adesso viene la decisione. Avvierai il programma di backup oppure lo cancellerai? -
- Se lo avvierò cosa succederà? -
- Se lo avvierai scorderai tutto e ti risveglierai nel bosco, mentre se lo cancellerai morirai definitivamente -
- Perché devo fare questa scelta? -
- Non sono stata programmata per rispondere a questo quesito, mi dispiace -
Perché dovevo fare una scelta del genere. Perché? Mi guardai attentamente intorno e la mia mente andò indietro a ricordare tutti i momenti belli passati con Tracy. La volevo. Volevo rivederla, volevo toccarla, baciarla, accarezzarla. Volevo amarla, volevo vivere con lei. Stavo per scegliere di riavviare il programma di backup ma ripensai a tutti i momenti brutti, alla sua morte…Non avrei potuto sopportare di nuovo di vederla morire per me. Ero molto indeciso.
- Quante volte ho scelto di riavviare il programma di backup? -
Le chiesi deciso e lei perplessa mi rispose:
- Non mi hai mai fatto una domanda del genere -
A quella sua risposta e dal suo racconto capii che più e più volte scelsi di scappare dalla realtà, in quel momento anche se non ho mai avuto l’opportunità di essere credente, sperai che lassù da qualche parte esistesse un dio benevolo
- Ho capito -
Disse il programma verso di me, poi guardò in alto e con voce rassegnata:
- Computer! Riavviare il programma di backup…… -
- NO -
La interruppi
- Computer…..cancellare il programma di backup tra cinque… -
Avevo deciso di non scappare più
- Quattro… -
Dovevo accettare la realtà e rassegnarmi al mio destino
- Tre… -
Cercai di non avere rimpianti per la mia scelta
- Due… -
Guardai il volto del software che mi ricordava tanto quello di Tracy
- Uno… -
Feci una pausa
- Addio -
Disse il software che ormai in tutti quei decenni aveva acquistato un po’ di umanità
- Zero -
- Programma di backup in fase di cancellamento. Attendere prego…-
- Addio SbD 2050z -
Quei secondi in cui il computer dovette cancellare il programma di backup furono i più lunghi della mia vita. Dopo qualche secondo l’immagine del software si sbiadì piano a piano e io sentii venirmi meno tutte le forze. Mentre caddi a terra facendo un rumore sordo e metallico, la voce rauca del computer faceva eco in quella stanza infinita e bianca.
- Programma di backup e stato cancellato con successo -
Anche quella voce però era soffusa e alla fine si spense proprio come tutto intorno a me.


* * * * * * * * * *


Mentre una vita si portava a termine un’altra stava per iniziare. Da qualche parte nel mondo un bambino veniva al mondo. Nella chiarezza cromatica dell’ospedale voci allegre aleggiavano, “E’ nato” “E’ nato” qualcuno esclamava, ma sopra di esse una calda voce di donna diceva:
Ti chiamerò… Xavier
Quel qualcuno che Jesse pregò prima di cancellare il programma di backup aveva accolto le sue preghiere. Non fece di nuovo l’errore di scappare, ma affrontò la realtà, le sue più profonde paure e fu premiato. La sua fu una decisione dura ma adesso avrebbe avuto la vita che gli era stata negata della frenesia umana, una vita dove Jefferson o chiunque altro non avrebbe potuto disturbarlo con il PHM project. Una vita dove avrebbe potuto decidere lui della propria esistenza. Una vita che aveva desiderato per anni.


* * * * * * * * * *


Un bambino con occhi verdi e con i capelli rosso fuoco era seduto sull’unico dondolo del parco giochi, sorvegliato a distanza dalla madre, giocava e cercava inutilmente di spingersi, non riusciva a capire come facevano i bambini grandi a dondolarsi da soli. Tutto d’un tratto una bimba dalla carnagione chiara, occhi celesti e capelli biondi, lunghi fino alle spalle e fermati con un cerchietto si avvicinò sorridendo a lui
- Ciao, mi chiamo Charlotte, mi faresti giocare un po’ anche a me? -
Chiese timidamente
- Certo! Vuoi che ti aiuti? -
Disse il bambino scendendo
- Grazie -
Rispose semplicemente lei. A quel punto il bambino aiutò la compagna appena conosciuta a salire sull’altalena, lei era molto più piccola di lui e aveva più difficoltà a salirci. Una volta seduta la bimba incominciò ad agitarsi
- Dai su, spingi, spingi! -
La bimba chiese al bambino di spingerla e lui con difficoltà incominciò a farla dondolare
- Come ti chiami tu? -
Chiese la bimba arrossendo, al bambino molto gentile
- Xavier -
A quel punto la bimba sorrise di più e con tono serio disse
- Quando saremo grandi ci sposiamo? -
- Sì -
Rispose lui facendo una pausa
- Questa volta potremo -
…………………………..

   
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