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 Il tempo dei papaveri in fiore
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luisa camponesco
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Il tempo dei papaveri in fiore



Le prime avvisaglie si ebbero nella notte fra il 24 e 25 agosto del 1940, la città fu svegliata dall’esplosione di alcune bombe. Il giorno seguente Hitler si scusò, attraverso la radio, con i londinesi, dicendo che si era trattato di “un errore”. La risposta di Churchill non si fece attendere e mandò una squadriglia di bombardieri su Berlino. Le sue parole divennero famose “noi non ci scusiamo affatto, e il nostro non é stato per nulla un errore “
^^^^

Colette Jordan si era affacciata, quella mattina, alla finestra della sua casa, al 121 di King’s road, un dignitoso palazzetto vittoriano. Nessuno aveva dormito quella notte, guardò verso il Tamigi, non c’erano i soliti gabbiani volare ma si udiva solo il rombo degli aerei.
- Un Hurrican! – urlò Tim il fratellino di 10 anni indicando con l’indice il cielo.
Con gli occhi spalancati cercava di individuarne altri. A Tim gli aerei piacevano moltissimo, i suoi quaderni erano pieni di disegni e in un album custodiva, come un tesoro, anche le figurine.
- Scostatevi dalla finestra - il padre era sopraggiunto in quel momento
- Cosa succede papà – chiese Colette
- Dovete prepararvi, lasciamo Londra.
La notizia sorprese molto la ragazza.
- Ma papà e le mie lezioni di musica?
- Mi spiace Colette credo che dovranno aspettare.
- Dove andiamo allora? – Tim si rivolse al padre, non nascondendo un certo entusiasmo, una partenza era pur sempre un avvenimento.
- Andiamo a Grace’s House.
Grace’s House, un delizioso cottage vicino a Stratford in mezzo alla campagna con un sentiero di terra battuta che costeggiava l’Avon. Era stata la casa natale della nonna paterna, Samuel Jordan il padre di Colette e di Tim l’aveva riscattata dalla banca pagando l’ipoteca che il fratello Jack aveva acceso per poter avere denaro sufficiente per raggiungere New York. Samuel aveva fatto enormi sacrifici, ma quella era la casa della sua infanzia, non poteva permettere che estranei l’abitassero.
- Partiamo oggi stesso – soggiunse
- Che bello papà! – Tim era euforico.
Colette ricordava vagamente il cottage, a quel tempo era solo una bambina e Tim non era ancora nato.
- La nostra partenza ha a che fare con quanto accaduto stanotte?
- Solo in parte Colette è da molto che penso di tornare a Stratford, voglio verificare in che condizioni si trova la casa – sospirò, ma Colette capì che questa era solo una parte della verità.

Alcuni pennacchi di fumo si alzavano ancora dalla città, mentre l’auto lasciava Londra. Colette lanciò un ultimo e malinconico sguardo pensando ad Albert, il caro ed amato Albert.
Albert frequentava lo stesso corso di musica, condividevano questa passione, passavano ore a discutere e ad ascoltare Mozart. Un giorno le loro mani si erano casualmente sfiorate e lei aveva avvertito un brivido percorrerle la schiena. Non sapeva, allora, come giudicare quella sensazione ma le piaceva la sua compagnia e stava bene con lui.
Alcune foglie gialle caddero sul cofano della macchina, preludio ad un precoce autunno. Tim, al finestrino, pareva essere l’unico a divertirsi, povero ragazzo, sia Colette che il padre avevano cercato di non fargli sentire troppo la mancanza della madre, morta quando lui aveva solo un anno. Lo avevano accontentato in tutto, anche a costo di sacrifici. Era emozionato all’idea di vedere, finalmente, Grace’s House dopo averne sentito tanto parlare dal padre.
Samuel, alla guida dell’auto, aveva il volto tirato e alcune rughe increspavano il contorno degli occhi. Nessuno, allora, sapeva che stava per iniziare il più duro e sanguinoso mese di settembre della storia inglese.
Il viaggio si concluse tranquillamente in quel 26 agosto del 1940. La macchina, una vecchia citroen degli anni 30 che aveva visto tempi migliori, imboccò la strada che portava al cottage. La siepe non era stata tagliata da tempo, e molte sterpaglie crescevano ai lati del vialetto.
- Avrò un bel po’ di lavoro da fare – disse sospirando Samuel
- E io ti aiuterò! – esclamò Tim battendo le mani
L’auto si fermò dinnanzi all’ingresso, Colette si rivide bambina, quando la nonna le veniva incontro con le braccia spalancate e le stampava rumorosi bacioni sulle guance.
- Me la ricordavo più grande.
- Perché tu eri piccola Colette!
È proprio vero da bambini le cose appaiono diverse, anche Tim, un giorno, avrebbe avuto un altro ricordo di quel cottage. L’Avon scorreva poco distante e il rumore dell’acqua creava un senso di pace. Tutt’intorno c’erano campi coltivati a grano, i covoni disposti ordinatamente, parevano soldatini in parata, Colette respirò profondamente e si lasciò andare ai ricordi, Tim, invece, corse subito alla porta d’ingresso.
- Presto ragazzi, scaricate la macchina.
Alla sera era già tutto in ordine, cenarono sul terrazzo alla luce di una lanterna, in quel silenzio si udiva solo il frinire dei grilli.
- Sembra tutto così lontano vero? – Colette si appoggiò al parapetto, vedeva l’Avon e la luna che si specchiava in esso.
- Brumm brummm brum – Tim incominciò a correre tutt’intorno fingendo di guidare un’auto
- Credo il campione ora debba andare a letto. – Samuel finse una mossa di boxe che suscitò la risata del bambino.
Colette rimase ancora un po’ e col pensiero tornò a Londra, alle lezioni di musica…ad Albert.

La mattina seguente, Colette preparò la colazione e poi si diresse verso il garage. Ritrovò, in un angolo la a vecchia bicicletta della nonna, con un po’ di manutenzione sarebbe andata ancora bene. Si mise subito all’opera.
Nel pomeriggio, pedalando lentamente per assaporare tutta la bellezza della campagna, si diresse verso Stratford. Raggiunto le prime case, scese dalla bicicletta per condurla a mano. Alcuni uomini, all’angolo di una strada commentavano gli avvenimenti di Londra, ma smisero subito nel vedere sopraggiungere la ragazza.
Si guardò attorno, non riusciva a ricordare, quelle vie pareva che tutto fosse cambiato. Passò davanti ad una lavanderia, poi una trattoria, un negozio di scarpe… un bus si fermò poco più avanti.
- COLETTE – Si girò di scatto, Albert era dinnanzi a lei, ansante per la corsa fatta. Uno zainetto sulle spalle, e camicia con le maniche corte
- Albert tu qui?
- Ho preso il bus dovevo assolutamente vederti e parlarti.
Il cuore di Colette incominciò a battere più forte.
- Non riuscivo a credere ai miei occhi quando ti ho vista dal finestrino, mi sono detto, finalmente un po’ di fortuna.
- Albert non so cosa dire, oggi ho deciso di venire in città ma cosa mi abbia spinto…
- Il destino Colette il destino…
Le prese la mano e la tenne stretta fra le sue. Si avviarono verso il fiume, mentre il sole era al culmine del suo splendore.
- Guarda Colette, c’è ancora un papavero.
Solo, nel campo di grano, resisteva, si piegava alla lieve brezza, i suoi petali vibravano come i loro corpi.
Si amarono sulle sponde del fiume, all’ombra di un salice e fra lo stormire di mille ali. Il mondo era scomparso per far posto ad una incredibile dolcezza.
- Mi sono arruolato nella Raf – disse ad un tratto
Colette non rispose ma fu come se un macinio le fosse, improvvisamente, piombato addosso.
- Ti sei arruolato?
- Si! Parto per l’addestramento fra 10 giorni. Devo farlo Colette, lo sento come un dovere, c’è in gioco molto, la nostra libertà, il mondo civile come noi lo conosciamo e che un giorno dovremo lasciare ai nostri figli. Lo devo fare Colette, lo devo fare. – finì la frase con voce strozzata mentre Colette soffocava un singhiozzo.
- Chissà quando ci rivedremo allora!
- Presto amore mio, quando in questo campo i papaveri saranno di nuovo in fiore noi saremo qui a ricordare questo giorno.
Stettero su quel fiume fino a quando le prime stelle apparvero nel cielo, solo allora si accorsero di quanto tempo fosse trascorso.
- Devo tornare a Londra stasera poi partirò per la base.
Colette sospirò e sempre tenendosi per mano raggiunsero la strada, un ultimo bacio poi si separarono.

- Si può sapere dove sei stata? – Samuel era furibondo, Colette non l’aveva mai veduto così
- Non sapevo più cosa pensare, ti ho cercato dappertutto ho pensato ti fosse successo qualcosa…
- Scusami papà non volevo farti preoccupare.
- Però lo hai fatto! – Samuel si prese la testa fra le mani, aveva dovuto fare da padre e da madre da quando Elisabeth, sua moglie, era morta e ora si sentiva sfinito, preso fra tante preoccupazioni. Si lasciò andare su di una poltrona e Colette si diresse nella sua camera .
Il giorno seguente, Samuel, ancora arrabbiato, ignorò la figlia, questo atteggiamento rese più intenso il rimorso di Colette per aver causato tanta preoccupazione, ma dal canto suo serbava, dentro di sé, il ricordo di quei dolcissimi momenti.
I giorni seguenti trascorsero abbastanza tranquillamente, anche se la radio trasmetteva notizie poco rassicuranti. Colette aveva saputo che Albert stava per partire per una base segreta in Scozia e temeva per la sua incolumità. Verso sera, un rombo di aerei interruppe i suoi pensieri
- Guarda Colette sono stukas – Tim indicava il cielo e lo stormo che passava proprio sopra di loro
- sei sicuro Tim?.
- Certo Colette li conosco bene gli aerei – si era vero, di Tim ci si poteva fidare.
Anche Samuel li raggiunse e il suo volto si rabbuiò di colpo.
- Stanno andando vero Londra!
- Oh mio Dio!- esclamò Colette, mentre pensava alla cara signora Anne, la loro vicina, alla gente di Londra e a casa, ai suoi spartiti di musica ordinatamente riposti nel primo cassetto della libreria. Era il 7 settembre 1940.

Nei giorni seguenti giunsero notizie terribili dalla capitale, la ragazza prese la sua decisione, sarebbe andata a Londra, non disse nulla al padre e nemmeno a Tim.
Il 10 settembre lasciò la bicicletta alla stazione di Stratford e prese il primo treno.
- Signorina è sicura di quello che fa? – chiese il bigliettaio
- Sicurissima. - rispose
Dal finestrino del treno notò un gran movimento di mezzi corazzati e di armi, lungo le strade e la paura si impossessò di lei.

Il centro della città era devastato i bombardamenti notturni aveva colpito molti palazzi, le ambulanze correvano ininterrottamente trasportando feriti, i pompieri in azione per spegnere i vari focolai. Raggiunse la sua abitazione e con sollievo si accorse che era ancora intatta a parte alcuni vetri rotti. Salì correndo le scale ingombre di calcinacci, la porta era ancora chiusa. L’aprì tremante, sembrava tutto a posto ad eccezione della polvere che aveva imbiancato ogni cosa. Gli amati spartiti erano ancora al loro posto, pianse sollevata, si sedette al pianoforte, incominciò a suonare “Chiaro di luna” e si perse in quelle note.

Il suono della sirena la svegliò nel cuore della notte, scostò la coperta che aveva messo alla finestra in sostituzione dei vetri, non si vedevano luci in città l’oscuramento era totale ma si udivano le voce concitate della gente che si recava nei rifugi. Alcune mitragliatrici appostate sui tetti incominciarono a sparare mentre il rumore degli aerei si faceva più vicino.
-Presto! Presto ai rifugi!
Colette, a tentoni nel buio, cercò di recuperare alcune foto particolarmente care e alcuni oggetti d’oro tra cui la fede di sua madre.
- Presto signorina cosa ci fa ancora qua! – un uomo in divisa era apparso sulla soglia
- Si sbrighi … - le prime bombe incominciavano già a cadere
Scese le scale, una esplosione vicinissima, lo spostamento d’aria la fece cadere, parecchi calcinacci le caddero addosso.
Fu allora che udì un grido d’aiuto provenire dalla casa vicina, era stata centrata in pieno e poi il pianto d’un bimbo. Si accorse di sanguinare ma era solo un graffio e incurante degli avvertimenti si diresse verso le macerie della casa.
- Venga via !- l’uomo in divisa le fu accanto
- C’è un bambino qua sotto, mi aiuti!
Incominciò a scavare con le mani aiutata dall’uomo, mentre la città era illuminata dalle esplosioni. Con le mani scorticate tolse l’ultima pietra e scorse il bimbo con la boccuccia aperta in un pianto disperato, lo tirò fuori delicatamente poi di occupò della madre.
- E’ ferita – disse rivolta al militare – chiami una barella.

Un’autoambulanza si fermò li vicino, la donna col figlio fra le braccia la guardò riconoscente, mentre il bimbo si quietava.
Colette rimase ferma a guardare la vettura allontanarsi velocemente, mentre razzi luminosi rischiaravano il cielo. Non si accorse di ciò che stava accadendo, tanto era felice di aver salvato due vite. Non sentì il boato, non senti la terribile esplosione che spazzò via tutto… tutto ciò che era rimasto.
Dove prima c’era Colette ora vi era solo una grande voragine.

Sullo Spitfire, con la sua squadriglia, Albert ignaro di quanto accaduto, iniziava il gioco detto del “gatto col topo”che sarebbe costato alla Luftwaffe ben 2750 aerei, una trappola che però consegnò alla Raf il dominio dei cieli.

Sorrideva ancora Albert pensando al giorno in cui, insieme a Colette avrebbe rivisto, sulle rive dell’Avon

.. un campo di papaveri in fiore.



Edited by - luisa camponesco on 29/05/2005 06:51:35

   
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