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 Il mio libro della giungla

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R A S S E G N A     A R G O M E N T I
Roberto Mahlab
Tailandia, agosto

La giungla si estende tra valli e colline, le copiose stagioni delle piogge ne nutrono gli animali e gli alberi, le cui cime emergono al cielo solo a cinquanta metri dalla terra.

"La conservazione della natura nel suo habitat e' il nostro obiettivo", stava dicendo al nostro gruppetto Sanong, la ragazza che ci accompagnava come guida e in effetti ci basto' uscire dal traffico caotico di Bangkok per pochi chilometri per ritrovarci immersi negli immensi parchi nazionali della Tailandia.


La marcia di avvicinamento alla giungla attraversa chilometri di risaie, in direzione nord da Bangkok, e i miei quattro amici australiani ed io abbiamo noleggiato i mezzi di locomozione degli agricoltori per il percorso di quaranta minuti. I buoi non vengono solo utilizzati per il trasporto nelle altrimenti impercorribili stradine laterali, ma una varieta' assai robusta di bufali selvatici, i bateng, sono preferiti ai mezzi meccanici tradizionali per dissodare i campi e sono conosciuti di fama come i "trattori dell'Asia".

Il riso provvede sia al nutrimento della popolazione, sia alla bilancia dei pagamenti grazie all'export. Non passa settimana che i giornali non riportino di operazioni della polizia che ne sventa il contrabbando ai confini, a riprova di quanto sia considerato al pari delle ricchezze.


La prima fase per la coltivazione del riso consiste nella preparazione della terra del campo. Si ara un solco cosi' che i componenti nutritivi immagazzinati nel suolo si redistribuiscono uniformemente lungo il tracciato fangoso.
Il campo viene allagato e vi si trapiantano le delicate pianticelle conservate in vivai, tutto viene fatto a mano, una per una e fila per fila, la base fangosa del solco e' soffice e facilita l'innesto e consente una rapida crescita delle radici.
Il livello dell'acqua viene controllato accuratamente fino a che le piante fioriscono, i grani si sviluppano e il calore del sole fa maturare gli steli.
E' il momento del raccolto, prima che gli animali selvatici e il tempo inclemente distruggano gli sforzi di una stagione. Gli steli di riso sono tagliati con un falcetto e vengono raccolti e immagazzinati per la successiva battitura su superfici rigide di modo che i grani si distaccano, vengono messi a seccare al sole e infine insaccati.

I canali attorno alle risaie sono ricolmi di grandi fiori di loto dall'alto gambo, rossi e bianchi, le fattorie tra le palme e gli alberi da frutta tropicale sono contornate da templi buddisti, appezzamenti con erba tenuta a prato, stagni, canne di bambu, colline sotto un cielo che la stagione dei monsoni dipinge dei colori vivi di un quadro, grigio scuro lo sfondo di una natura verde smeraldo.


Il nostro capolinea e' il parco nazionale di Khao Yai, esso copre oltre duemila chilometri quadrati di giungle e foreste collinari. Si scatena la pioggia monsonica e ci avviamo sul sentiero scivoloso e oscuro verso le cascate di Heo Narok, le piu' impressionanti della regione, un salto di sessanta metri. Le leggende popolari narrano che la formazione rocciosa al vertice della cascata, sulla collina di Erawan, assomiglia all'elefante a tre teste della mitologia indu.
Piove talmente forte che il nostro gruppo avventuroso e' la sola forma di vita allo scoperto, le ottanta specie di uccellli, babbuini, cervi e scimmie si guardano bene dal mettere il naso fuori dai rifugi e probabilmente scuotono la testa alla vista di esseri viventi meno prudenti, che fanno fatica a tenersi aggrappati alle viscide corde che li sorreggono nella discesa a valle della cascata.


Arriviamo alla meta e la vista ci ripaga della fatica, sulla strada del ritorno osservo che non riesco a capire se sono bagnato fradicio a causa della pioggia torrenziale, del sudore per la calura della foresta tropicale o per l'acqua che dalla cascata si rovescia su di noi. I miei amici australiani mi chiedono se davvero in un tale frangente sia utile porsi la questione dell'origine di ogni singola goccia o se piuttosto non valga la pena di risparmiare il fiato e correre per raggiungere il pulmino noleggiato per portarci a pranzo.


Il confine del parco nazionale e' segnato dal fiume Kwai, reso famoso dal film :"il ponte sul fiume Kwai" e dal motivo che non possiamo fare a meno di fischiettare. La verita' storica fu diversa da quanto narrato nella pellicola, fu assai piu' tragica. Nel 1942 gli invasori giapponesi decisero di costruire una linea ferroviaria tra la Tailandia e la Birmania e per lo scopo fecero lavorare sessantunmila prigionieri di guerra alleati e quasi trecentomila asiatici. La ferrovia fu terminata e il costo fu immane, dodicimila alleati e centomila asiatici morirono di stenti per un obiettivo che gli storici definirono come un supremo momento di follia umana.

Le vicende dell'intensa giornata avevano creato un clima di fratellanza tra l'italiano, i quattro australiani e la ragazza tailandese nostra guida e la fame fa volare la fantasia ai piatti delle nostre calde case lontane. Gli australiani cedono il passo perche' la loro cucina e' un misto di quella mondiale e si apre una tenzone tra la ragazza tailandese e me. Lei sogna i manicaretti speziati e piccanti e io gli spaghetti, a turno spieghiamo agli altri amici le ricette dei nostri paesi e a turno gli amici ci chiedono per pieta' di non ingigantire il loro appetito, ma non ci fermano piu', lei spiega la ricetta cinese per cucinare i serpenti e io quella delle tagliatelle. Finiamo tutti quanti a pranzare con una ciotola di riso, a causa della pioggia non possiamo raggiungere il ristorante in cui avevamo riservato, gli sguardi infuocati degli australiani mi riscaldano e mi asciugano.

La grande emozione ci attendeva nel pomeriggio a Pakchong Creek.

Le selle di elefante sono di varieta' diverse, dalle forme semplici di legno e vimini legate al corpo dell'animale con cinghie di cuoio a riccamente addornati sedili per la famiglia reale.
I loro addestratori li scalano agevolmente per montarli, mentre per gli avventurosi dilettanti sono necessarie delle piattaforme speciali che vengono alzate al livello della sella.


Gli elefanti, che dai tempi dei tempi vagavano selvatici in grandi branchi nelle foreste tailandesi, hanno sempre avuto un importante ruolo sia culturale che economico.
La varieta' degli elefanti bianchi era particolarmente riverita come simbolo reale e fino al 1917 la loro immagine compariva sulla bandiera nazionale. Ancor oggi, pur essendo rari, gli esemplari che vengono scoperti sono condotti alla presenza del re e nutriti nelle apposite residenze dei palazzi.
Molte battaglie furono combattute dai regnanti tailandesi in groppa ai poderosi animali, nel sedicesimo secolo l'invasione birmana si svolse con una carica di settecento di essi, la guerra si risolse con un duello proprio a dorso di elefante tra il re tailandese Naresuan e il principe di Birmania nel 1592, la vittoria arrise a Naresuan.
A meta' del milleottocento il re Rama IV offri' le poderose bestie da guerra persino al presidente americano Buchanan. Rama IV, la cui figura e' stata immortalata nel film "Il re e io", e' ricordato come uno dei piu' saggi monarchi tailandesi, negozio' importanti trattati di collaborazione con le potenze europee, apri' il paese alla scienza moderna e in tal modo evito' alla sua patria di divenire territorio di occupazione coloniale, a differenza di molti stati dell'Indocina.


Devo ammettere che all'inzio ero terrorizzato, mi sentivo sopra un grattacielo senza appigli sicuri, le mie mani erano aggrappate ai lati della sella e mi ripromettevo che non le avrei tolte di li' fino all'arrivo a destinazione. Le zampe dell'animale aravano il terreno fangoso del sentiero nella giungla, il suono sordo di ogni colpo faceva tremare la terra, oscillavo come su una barca a vela impazzita nella tempesta. I momenti peggiori erano quando il terreno si alzava e cosi' l'elefante per seguirlo si levava sulle zampe posteriori e io scivolavo indietro e viceversa, quando il terreno scendeva a capofitto, io lo seguivo perche' l'animale si abbassava in avanti.
Alle cose della vita ci si abitua e dopo un decina di minuti mi feci una ragione della scelta che mi aveva portato ad attraversare in quel modo la giungla. Fino a che l'appoggio della zampa dell'elefante muto' suono, la' in basso, non piu' colpi sul terreno, ma sull'acqua. Stavamo guadando un fiume, non di traverso, ma nella direzione della corrente e di istante in istante ci inabissavamo per la profondita'. Fuori dall'acqua rimasero la testa sua e il corpo mio.
Poi la carica, usci' di scatto dal fiume e si mise a galoppare sotto gli alberi e i miei propositi di non tirar via le mani dall'appiglio della sella svanirono perche' la mia testa si trovava all'altezza dei rami e soprattutto perche' tra un albero e l'altro ci sono le liane e cosi' appresi una delle leggi della giungla : "se il collo vuoi salvare, la liana in tempo devi spostare".

Non mi riusciva sempre, ero piu' lento della corsa dell'elefante e sovente i rami fecero quello che dovevano segnandomi la fronte che esposi con orgoglio ai miei amici australiani alla fine dell'avventura. Fine che giunse piu' tardi del previsto, perche' a me era stato dato l'unico elefante non ancora perfettamente addestrato e per impedirgli di rigettarsi, con me sopra, nella giungla, dovette intervenire un addestratore che con un lungo bastone dalla punta ricurva gli spinse leggermente una delle enormi orecchie verso avanti gridandogli una parola in dialetto malay che per fortuna convinse l'animale :"maaaaa!"

Sono stati ritrovati manuali di duemila anni fa in sanscrito con precise procedure per catturare e addestrare gli elefanti selvatici e per convincerli a collaborare con l'uomo guadagnandone la confidenza. Gli animali vengono spinti con suono di tamburi, trombe e spari in aree predisposte e nelle quali si svolgera' il primo addestramento. Grazie all'abilita' e la potenza fisica erano la forza lavoro principale per l'industria del legno di tek nella Tailandia del nord.
Sono animali sacri della mitologia sia buddista che indu, Ganesha, figlio di Siva e di Parvati, un leone con la testa di elefante, era la divinita' dell'arte e della conoscenza.

Tornammo a Bangkok sul pulmino, era sera e il monsone si scateno', il traffico impazzi' e si formo' una lunga coda all'ingresso della citta'. Presto ci prese la nostalgia per il mezzo di trasporto che ci aveva accompagnato nel pomeriggio, forse non avevo ringraziato abbastanza il mio elefante con quel mucchietto di frutta che gli appoggiai sulla proboscide, una ragione per ritornare.

Roberto



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