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 Il vestito (seconda parte)
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ophelja
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Inserito - 26/02/2003 :  13:03:54  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a ophelja
La fotografia, eseguita in uno studio fotografico, ritraeva una coppia.
La donna sembrava molto giovane e aveva una figura proporzionata, ancor più evidenziata dall’ abito da sera che indossava e che lasciava scoperta parte delle braccia, inguainate in lunghi guanti di pizzo scuro.
Era in piedi, quasi sull’attenti, con lo sguardo rivolto ad un punto oltre l’obbiettivo, con un’espressione lontana negli occhi grandi e scuri.
Per contro, l’uomo era seduto, con le gambe accavallate, le mani, una sull’altra, posate sul ginocchio e dimostrava una evidente differenza di età con la donna.
Il volto disteso e l’espressione divertita dell’uomo rendevano più contrastante la foto nel suo insieme e che pertanto si percepiva come una prima prova mal riuscita di un fotografo paziente e meticoloso.
"Elena Capogrossi Guarna, moglie di mio cugino Giovanni Capogrossi." continuò Enrico, guardando la foto.
"Desidero farle omaggio di questa stoffa e vorrei che , con la Vostra arte, diventasse un abito da pomeriggio, come questo modello.”
Il disegno dell’abito, benchè tracciato con approssimazione, denotava un gusto raffinato nel drappeggio che sbucava dal corpino a redingote.
Ai polsi e sul corpino, era evidenziata una lunga fila di piccoli bottoni .
“Conoscete la signora della foto?” chiese l’uomo “E’ vostra cliente?”
“Lasciate fare a me” disse la signora Giuseppina, che aveva riconosciuto la proprietaria della villa in cima alla collina, quella chiamata “Dei Glicini”.
Da vera artista dell’ago, Giuseppina traeva ispirazione dalla stoffa stessa per creare gli abiti di cui andava giustamente fiera; questo sarebbe diventato il più bell’abito da pomeriggio, addosso alla più bella dama del circondario!
“Elena Capogrossi! ..Questa si’ che è una notizia!” pensava la donna.”
Sempre con quell’aria infelice, sempre con quel cortese distacco quando la chiamava in villa per il rinnovo del suo fornitissimo guardaroba ed ora ....cosa avrebbe detto ?
Poteva una dama accettare un simile dono, fosse anche dal cugino del marito, senza dare adito a congetture maliziose?
Ma la ricchezza - e le famiglie Capogrossi e Guarna lo erano - poteva permettersi tutto, anche di andare contro le convenienze e di superare pettegolezzi, si rispondeva, con una certa invidia, Giuseppina.
“Una richiesta...” La voce di Enrico la distolse da quei pensieri; l’uomo aveva in mano una piccola scatolina d’argento.
“Potremmo parlare in privato?” continuò mentre la sua aria spavalda scompariva per far posto ad un atteggiamento vagamente ansioso.
Giuseppina non riusciva a capire.
“Vai Rosetta, vai a prendere il mio libro delle clienti...” disse per rimanere sola con Enrico che ora, accostandosi a lei, apriva la scatolina.
All’interno, come piccole gocce di luce, brillavano cinque diamanti.
Ogni donna subisce il fascino delle pietre preziose, e Giuseppina non potè trattenersi dal dire : “Oh! Che meraviglia”.
Enrico era estremamente nervoso, quando continuò sottovoce:
“Vorrei.... Conosco la vostra discrezione.. Insomma, desidero che cuciate queste pietre nei primi cinque bottoni dell’abito che confezionerete per la Signora Capogrossi e che nessuno, dico nessuno oltre voi, dovrà sapere”
La stranezza della richiesta con la consapevolezza della grande fiducia dimostratale da Enrico, rendevano Giuseppina molto orgogliosa.
"Statene certo, ....sarò io .... personalmente io ad occuparmi della realizzazione del vostro desiderio....”
“Ancora piu’ strana la cosa...” intanto si ripeteva la donna.
Con queste rassicurazioni , che mai Giuseppina avrebbe parlato ad altri della richiesta, nè tantomeno alla Signora Elena , Enrico riacquistò la padronanza di se’ e ricomincio’ a scherzare.
Inoltre fu estremamente generoso nel pagamento anticipato del lavoro, lasciò una mancia per le lavoranti e, con galanteria, si accomiatò dalla donna, a cui aveva baciato, con un inchino, la mano.
Lasciò in fretta il laboratorio, quasi si fosse liberato di un peso, e nessuno lo vide piu’ .
Intanto, fra le sue mille curiosità senza risposta, Giuseppina attendeva alla preparazione del vestito.
Come per tutte le altre signore importanti della sua clientela il laboratorio possedeva anche il busto, a grandezza naturale, della signora Elena.
I giorni passavano e il vestito, prima abbozzato, poi liberato dai fili bianchi della messa in prova, stava per essere completato.
“ Bello, bello ..., sei un capolavoro” si ripeteva Giuseppina e guardava il drappeggio della gonna che metteva in risalto un vitino di vespa sulle perfette proporzioni del busto, lisciava le maniche, toglieva, con gesti delicati, invisibili granelli di polvere dalla lucentezza di quella seta meravigliosa.
Ormai l’abito era quasi finito; anche i molteplici bottoncini, agganciati con piccole asole di cordoncino, erano tutti cuciti.
Mancavano solo i primi cinque bottoni del sottogola, quelli che, chiudendo il merletto del collo, formavano una pettorina di piccole nervature
Era arrivato anche il momento di adempiere alla richiesta di Enrico.
Una sera, quando tutte le lavoranti erano andate via, prese la famosa scatolina d’argento, mise le cinque pietre sul tavolo e comincò a rivestire, ad uno ad uno, i diamanti.
Prima li avvolse più volte nel cotone bianco per renderli della giusta grandezza, e poi li rivestì di cordoncino inserendoli al centro di cinque piccoli fiocchetti che allineò vicinissimi, quasi a formare un unico jabot.
“Ma lo saprà la Signora Elena, che porta sul petto una fortuna?” si chiedeva mentre cuciva esperta i fiocchetti.

Fin dalla nascita Elena era stata bellissima.
La sua mamma, una delicata cameriera della vecchia Signora Guarna , l'aveva chiamata così per rispetto della sua padrona.
La sera le carezzava la fronte e le cantava dolcemente “Stella, stellina sei la mia piccina. Ma quando sarai grande diventerai regina”
La bimba cresceva affabile, dolce, intelligente; aveva tutte le qualità per farsi amare e, quando rimase orfana, la signora Guarna, con una decisione che mise fine a tutte le aspettative di eredità dei congiunti, decise di adottarla.
Aveva dodici anni , era alta e slanciata e nessuno poteva non innamorarsene vedendola.
Anche Enrico de Sanctis la vide e se ne innamorò. E aveva solo nove anni.
Il bimbo chiassoso e viziato che ricordava la signora Giuseppina diventava un timido e silenzioso ragazzino davanti a Elena.
Sbaglia chi dice che l'amore dei bimbi è un gioco destinato a finire.
Enrico non scordò mai piu' quegli occhi neri che gli erano entrati dritti nel cuore e lo avevano reso consapevole di un turbamento sconosciuto.
Quegli occhi restarono sempre nel suo cuore : negli anni del collegio, nelle estati che passava in campagna e al mare. Sempre.
Anno dopo anno.
Un giorno di settembre, durante una gita al mare, Enrico aveva trovato sulla spiaggia delle piccole pietruzze levigate dall'acqua. Le aveva raccolte e dopo averle pulite dalla sabbia, le aveva messe sul palmo della mano di Elena e le aveva giurato, con serietà, che un giorno le avrebbe regalato delle pietre preziose, dei veri diamanti…..
Elena aveva sorriso e lo aveva baciato.
Poi Elena aveva sposato Giovanni Capogrossi ….

L’odore del giunco che aveva impregnato le delicate trame dell’abito scomparve quasi subito.
Il profumo di rosa - Elena amava le rose - precedette solo di poco il buio di armadi dimenticati in soffitte silenziose ....

Ora, il vestito di Elena è su un manichino, al centro di una stanza di un museo, e viene ammirato da ragazze in jeans e da signore nostalgiche.
Durante il plenilunio, quando dai finestroni del soffitto i raggi di luna illuminano la sala, uno strano bagliore fa' capolino tra i merletti del vecchio vestito e racconta, solo a chi è attento alle vibrazioni che emana, della promessa fatta, in un giorno di settembre, ad una ragazzina dagli occhi neri e luminosi…


ophelja

   
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