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 4 Favole e Racconti / Tales - Galleria artistica
 La guerra della matite.
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riccardo resconi
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Italy
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Inserito - 14/05/2009 :  22:00:07  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a riccardo resconi

La guerra della matite


Perché quel giorno cambiai percorso della mia solita passeggiata non lo so.
Con la mia bicicletta rossa passavo di solito davanti ad Ernesto il fiorista,meglio conosciuto come Fred Astaire.
Per via della sua passione per il ballo.
Dopo pochi metri arrivavo davanti all’edicola del cav..Muzio amante della lirica,personaggio molto estroso.
Chi non lo conosceva ,riceveva dalle sue mani il quotidiano e un attimo dopo un acuto Pucciniano che faceva trasalire anche i morti.
Il fiume correva al mio fianco ed i palazzoni popolari dell’Incis ormai abbandonati erano posti in bella fila.
La gente vociferava che in quei giorni li avrebbero demoliti con delle potentissime cariche di esplosivo e lo spettacolo sarebbe stato garantito.
Come dicevo poco prima,pensando che sarei arrivato in anticipo al mio appuntamento,quella mattina mi diressi in direzione opposta, allungando la strada.
Presi la direzione delle scuole a nord della città.
Non amavo tanto quella zona perché avevo avuto una fidanzata che abitava da quelle parti.
Potete immaginarvi che l’idillio non finì esattamente bene.
Quindi evitavo.
Visto che la città era divisa dalla ferrovia da nord a sud,vi erano vari sottopassaggi a disposizione.
Io imboccai quello di Via De Nigris.
Piccolo,abbastanza angusto,ma almeno solo pedonale.
Entrai.
Pedalando con vigore.
Avvertii subito che quello che mi circondava non era consueto.
Mi sembrava ci fosse qualcosa di irreale in quel tunnel.
Vuoi le luci fioche,vuoi la suggestione.
Accelerai.
Non vedevo il suo fondo ed alcuna luce.
A quel punto un vento sopraggiunse alle mie spalle.
Caldo. Molto insistente.
Che aumentava di intensità ad ogni pedalata.
Fui sospinto ad un certo punto con vigore.
Le ruote delle bici non toccarono più terra.
Rimasi stupefatto.
Quel tunnel mi avvolse.
Non sapevo dove fossi.
Iniziai a scorgere la luce dopo svariati minuti.
Come in una sorta di lancio acrobatico, balzai su di una strada lunghissima.
La bicicletta resse l’urto.
Frenai con tutte le forze di cui ero a disposizione,pur avendo una figura esile e due bicipiti da poppante.
Volsi la testa tutt'intorno.
Quello che mi circondava mi era sconosciuto.
Ma non avevo paura.
Al contrario.
La curiosità era dominante.
Prati verdi erano tutti intorno a me e cascate di acqua cristallina scorrevano in diversi ruscelli.
I fiori erano principalmente di color rosso,il che mi faceva piacere essendo il mio colore preferito.
Ma la loro particolarità era la dimensione.
Superavano anche me.
Alti,fieri e profumatissimi.
La loro fragranza era cosi intensa che stordiva.
Anche i loro petali erano enormi.
Ero talmente eccitato da tutto quello che non pensai o almeno subito ad una cosa evidente.
Dove erano gli uomini.
Le macchine e lo smog.
Dove era il rumore solito della modernità.
Eclissato,sparito,puff.
Scesi dalla bicicletta e mi incamminai verso l’unico punto che mi sembrava un punto d’arrivo.
Il quel luogo si aveva la sensazione di girare a vuoto.
Disorientato ma ostinato,intravidi qualcosa.
Era esile come me.
Non alta ma colorata.
Sopraggiunsi alle sue spalle.
-Giorno dissi -
SMi guardò con una naturalezza disarmante mi rispose.
-Giorno a te straniero-
Quello che avevo di fronte mi spiazzò.
Una matita.
Una matita con braccia e gambe.
Una matita che stava raccogliendo frutta da un albero di mele verdi.
Con la testa appena spuntata e pronta a scrivere.
Pensai che forse avevo passato il limite e da quel giorno basta birre.
La matita scorse subito il mio disagio.
-Non avere paura di me-
-Raccontami-
-Chi sei e da dove vieni?-
Ripresi fiato e coraggio e raccontai la mia storia.
La matita scoppiò in una fragorosa risata quando gli parlai degli eccentrici amici del quartiere.
Fu molto gentile con me.
Alzando il braccio verso il non so dove,mi indicò la strada non strada per arrivare al castello delle matite colorate.
Li avrei trovato il suo re.
Il suo nome era “ RE MATITONE”.
Vi confesso che per un attimo mi venne da sghignazzare.
Ma capii che era anche tale il rispetto verso di lui,che non volevo offendere alcuno.
Dovevo solo capire il perché.
Perché della mia presenza li.
Quale sorta di magia o sortilegio mi era stato fatto.
Pensavo quasi che Veronica la mia ex, mi avesse visto passare e,dal suo balcone,lanciato l’anatema con una bacchetta magica.
Fantasticherie.
Dopo circa una buona ora di cammino scorsi il castello.
Non era il classico castello di cui si ha memoria.
Ne infantile ne austero.
Ne con merli e torri imponenti.
Nessun ponte levatoio di legno,pronto ad alzarsi per difendersi dai nemici.
Niente di tutto questo.
Le sue forme esagonali erano allungate verso il cielo.
Ogni torre aveva colori differenti tra loro.
Le finestre irregolari come fossero disegnate da mani inesperte.
Il ponte levatoio in pietra ,aggraziato,romantico,come fossimo a Venezia con i suoi canali.
E soprattutto aperto a tutti.
Una dimostrazione,che non si temevano pericoli.
Entrai.
Nessuna guardia ma solo matite vassalli che mi portarono al cospetto del Re, senza anticamera alcuna.
Quando arrivai di fronte a lui capii subito il perché lo chiamassero in quel modo.
Re Matitone.
Era gigantesco.
Una matita come quelle che compriamo dal cartolaio.
Che riusciamo a stento a tenere tra le dita.
Si sarebbe potuto chiamarlo sua Rotondità ,ma forse e’ meglio tacere.
Dopo un colloquio molto intenso capii che la dimensione della sua corporatura era pari alla dimensione del suo cuore.
Enorme.
Era saggio ed amava il suo popolo,come pochi regnanti sanno fare.
Ci congedammo e, due matitine facenti funzione di dame di corte,mi accompagnarono al mio alloggio per quella notte.
La stanza era enorme.
Il letto di legno tutto colorato aveva lenzuola di cartapesta azzurrine , ed il cuscino sembrava il cassino che si usa per le lavagne, certo in dimensioni maggiorate ma pur sempre un cassino.
Soldati forbicine ,armati “di buona pazienza”, furono messi davanti alla mia porta per fare in modo che alcun curioso mi disturbasse.
Pronti a scattare all’ordine del generale Forbicione, un tipo vi assicuro davvero molto severo.
Responsabile della sicurezza del Re.
Passai buona parte della notte con gli occhi aperti.
Ero ancora talmente eccitato da quella giornata che solo alle prime ore del mattino mi addormentai.
Un orologio a cucù, mi diede la sveglia.
Anche gli orologi in quel luogo erano strani.
Non avevano lancette che indicassero minuti, ma solo stagioni.
Stagioni dipinte con colori ad olio.
Il cupo inverno sembrava anche esso bello disegnato da l’artista.
La vita non era davvero frenetica e le ore contavano poco.
Mi rivestii e scesi nel grande atrio.
Ma mi accorsi ben presto che ero rimasto solo.
Non c’era anima viva.
Sembravano fossero stati tutti inghiottiti nel nulla.
Mi incamminai verso il “Grande Giardino”.
Ed ecco che trovai il popolo intero, riunito.
Il Re Matitone scuro in volto , stava per parlare alla sua gente.
Pensavo fosse una cosa di routine.
Ma le parole di preoccupazione che vennero fuori inquietarono anche me.
Egli stava annunciando che le matite NERE stavano per invadere la loro terra.
Chiesi chi fossero.
Ma l’interlocutore iniziò a tremare e sudare freddo al sol pensiero.
Seppi in seguito che queste matite nere erano una popolazione che viveva al di qua di non lo so .
Ed erano terribili.
Avrebbero ridotto tutti in schiavitù.
-Meglio partire- disse il Re.
Un grido venne fuori dalla mia voce.
-No! Combattiamo-
Con l’impeto di coloro che avevano visto soffrire,abbandonare e non combattere.
Il mio quartiere popolare era stato anche quello scuola di vita.
Chiamai a me il Re ed i suoi più fedeli collaboratori.
Spiegai quello che avremmo potuto fare per contrastare l’invasione.
La notte trascorse organizzando il tutto.
Alle prime luci dell’alba le prime figure nere ed allungate del nemico si delinearono sui monti di fronte a noi.
Ma la resistenza era stata costituita.
Tutti erano stati coinvolti.
Anche piccole matitine,ancora col truciolo appena spuntato su capo erano li.
Tremanti ma fiere.
E gli anziani avevano con se,oltre l’esperienza,anche la voglia di riscattarsi.
Essendo con il tempo state poco presenti nella vita attiva.
L’armata nera intanto avanzava.
Ma tutto era pronto.
La battaglia ebbe inizio.
Le prime file iniziarono a rilasciarono biglie colorate che crearono scompiglio nella compagine nemica.
I loro corpi all’urto presero a volteggiare in aria spezzandosi sui massi presenti.
Le file secondarie presero a lanciare con degli elastici oggetti vari,facendo cadere come dei salami quei prepotenti.
Altri gruppi avevano cosparso di colla il percorso facendo immobilizzare all’istante quei brutti ceffi,che una volta catturati iniziavano ad ondeggiare come bamboline impazzite in un ballo apocalittico.
Puntine da disegno sparse bucavano intanto i piedi di quei legnacci neri.
L’esercito era schierato.
Matite piccole,grandi,colorate.
Matite scheggiate,con punte consumate che non gli si dava neanche più l’età.
Un esercito talmente motivato che spaventò i nemici.
Con un cuore davvero grande.
Insomma tutto volgeva al meglio.
L’armata nera era ormai sconfitta.
La sua sicurezza,la sua certezza,era stata scardinata.
Il bene aveva vinto sul male.
A breve la battaglia si dissolse.
Tutte le matite esultarono.
Alcune abbracciandosi forte tra di loro,altre urlando al cielo e battendosi il petto legnoso con vigore.
Altre lanciando compagni in aria e ,non tutti furono ripresi.
Vidi alcune di loro che con la manina si toccavano il fondoschiena.
Ma la mia ora era giunta.
La partenza era prossima.
La mia presenza in quel posto magico era stata chiarita.
Il Re fece di tutto per trattenermi nei giorni che seguirono.
Ma la lezione l’avevo capita
Come da piccole cose,avendo il cuore puro ed il coraggio opportuno,si possono ottenere grandi cose.
Mi volsi ancora un attimo indietro con lo sguardo.
Salutai e fui inghiottito dal tunnel.
Tornando verso casa passai davanti la scuola.
Mandai col pensiero un bacio a tutte quelle matite colorate che dentro,facevano felici bambini di tutte le età e di tutte le razze.


patapump

   
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